E’ una domanda interessante, che penso chiunque abbia giocato di ruolo si sia posto almeno una volta a proposito del proprio rapporto con il gioco stesso e il proprio personaggio.
Anch’io ci ho pensato, talvolta superficialmente, talvolta invece in modo molto profondo, domandandomi se nel mio livello di immedesimazione ci fosse qualcosa di “strano” di “patologico” perché molto spesso mi sono trovata a pensare nello stesso modo in cui avrebbe pensato il mio personaggio di turno.
Poi però ho capito una cosa, che mi ha rassicurata molto in effetti. I miei personaggi non si sono mai impadroniti di me costringendomi ad uscire dalla fantasia per vivere nel mondo reale al posto mio, ma è stato sempre il contrario, anche quando a prima vista poteva apparire così.
Ho capito che in effetti tutti i personaggi che ho inventato e che ho amato sempre con grande intensità, non erano altro che un riflesso di me. Magari non lo erano completamente, ma hanno sempre rappresentato qualcosa che io già ero e che voleva trovare una propria espressione allegorica in qualcosa di concreto.
Si potrebbe dire che quanto sto dicendo è molto contraddittorio, visto che i personaggi che ho creato nel corso della mia carriera di giocatrice sono sempre stati tutti tra loro molto diversi tra loro e anche molto diversi da me. Ho avuto maschi e femmine, in varie ambientazioni e in vari tipi di gdr e tra i miei pargoletti si contano un ladruncolo di strada, un’ingenua scienziata, un guaritore cieco mezzo-immondo, una dea buona, un poliziotto trasformato in vampiro, un ranger/druido alle prese con la sua ascendenza drow... Ma ho talvolta interpretato anche ruoli molto malvagi; una volta sono stata persino una succube e, anche se il gioco non è durato molto, devo dire che è stata un’esperienza di grande successo.
Ma in effetti la contraddizione è solo apparente, perché di fatto noi non siamo sempre uguali. Cresciamo, cambiamo, facciamo nuove esperienze e conosciamo nuove emozioni dentro di noi. I nostri alter-ego immaginari possono essere un modo per esprimere in modo cosciente delle emozioni che sono già in noi, ma resterebbero altrimenti a livello subconscio. In quest’ottica anche un’immedesimazione intensa non è un male, potrebbe essere perfino “terapeutica”. Basta effettivamente non rimanerne intrappolati e sforzarsi – come dice Sheyraen – di riemergere alla fine della sessione.
I sogni notturni hanno spesso una valenza simbolica, ma anche quelli che facciamo ad occhi aperti possono avere il suo messaggio recondito da consegnarci. Averne paura può essere controproducente e poi… toglie il divertimento.