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Philn si alzò a fatica e si accorse di avere dei fori nei vestiti, ma nessuna ferita evidente, se s’ignorassero i lividi. Una debolezza fisica, però, stagnava lì dove vi erano queste macchie nere. Senza darle importanza ripose la pistola e riprese a correre in maniera malferma, convinto di farcela.
Il tragitto era completamente in salita, e nonostante fosse costretto ad attraversarlo tramite labirintici vicoli privi di luce, sapeva che la strada era giusta grazie ad un progressivo miglioramento dell’asfalto: si stava dirigendo verso il quartiere ricco.
Dopo decine di minuti estenuanti di corsa, finalmente raggiunse la sua meta. Al di là del marciapiede in cui si trovava, separato solo da una striscia di strada, un’abitazione si presentava ai suoi occhi.
La casa era una villetta bianca a due piani, circondata completamente da un muro alto due metri e da un giardino di modeste dimensioni, nulla di differente da una delle altre abitazioni che facevano mostra nella via.
Fermatosi per riprendere fiato, Philnmore si accorse che il suo arrivo era stato intempestivo. Le nere creature avevano già circondato l’abitazione ed uno di loro si apprestava ad entrarvi passando attraverso le sbarre del cancello chiuso.
L’uomo si sentiva impotente di fronte a quella situazione. L’unica difesa che aveva era una torcia mezza scarica che non avrebbe retto a lungo. Era costretto a risparmiare le batterie e, di conseguenza, doveva essere il più cauto possibile. Il piano doveva essere messo in moto subito, ora più che mai, non aveva un attimo da sprecare.
L’assalto al cancello era da escludersi: il grosso del gruppo era lì, sorvegliato dall’ombra umana. Era più prudente entrare dal retro dove, almeno sperava, vi erano meno nemici, e per farlo doveva attraversare la strada, esposto allo sguardo delle creature. Doveva ragionare su ciò che sapeva e ciò che aveva scoperto, come faceva ogni volta che era in pericolo. Ed era ciò che lo salvava sempre. Pensando a ciò che gli era accaduto sino ad ora, elaborò un piano. Niente poteva confermare la sua riuscita, però ci sperava.
Ogni singolo lampione era spento, e ciò normalmente era un vantaggio. Ma non contro di loro. Philn aveva capito di dover creare la situazione opposta se voleva passare inosservato. Si chinò a terra cercando con la mano un oggetto simile ad una pietra. Dopo aver tastato il terreno, prese un ciottolo, poi mirò verso un punto preciso. Con tutta la forza che aveva nel braccio lanciò la pietra, colpendo la finestra di una delle ville dell’altro lato della strada, sfondandola in un fragore di vetri infranti. Il rumore fece voltare verso la fonte le creature che, soffiando come felini infuriati, si avvicinavano al nascondiglio di Philn. Si accese una luce.
La stanza con la finestra infranta s’illuminò di una forte luce elettrica e delle voci irritate ne fuoriuscirono. Come una reazione a catena s’illuminò ogni abitazione nei paraggi, piene di persone curiose. L’improvviso rischiarimento del viale prese di sorpresa le ombre, che si trovarono costrette a rifugiarsi.
Philn n’approfittò, e, raccolte le forze, corse a più non posso verso la casa assediata., con il rumore dei suoi passi coperto dal vociare. La distrazione durò più a lungo del previsto, dandogli il tempo di scalare le mura esterne e di intrufolarsi nel giardino della casa.
Oramai all’interno, Philn Garner osservò ciò che lo circondava, non dando per scontata la possibilità d’essere ancora scoperto. Le luci provenienti dalle case intorno erano scomparse improvvisamente insieme al vociare preoccupato. Era strana la velocità con cui era successo, ma non aveva il tempo per rifletterci su. Le ombre si sarebbero rimesse in azione entro poco.
Il giardino della villa era silenzioso come una cripta. I fiori e gli alberi che lo decoravano erano quasi invisibili nella densa oscurità. Piante di rampicanti adornavano le mura. Era grazie a quelle che era entrato. Nulla sembrava muoversi, neanche il sottile strato d’erba che attutiva i passi dell’uomo.
Arrivato alla porta secondaria della casa, Philp fece caso ad un particolare che gli era sfuggito. Sin da prima di entrare, le luci dell’abitazione erano spente e sembrava che nessuno si fosse svegliato nonostante il rumore della strada. Possibile che fosse già troppo tardi?
Agitato dal pensiero sfondò la porta con un calcio, ignorando la cautela, e penetrò nell’edificio.
Si era addormentato da molto, in maniera improvvisa, con il sonno di una persona che non dorme da diversi giorni. L’ultima cosa che ricordava era un odore dolce e delicato come quello dei fiori di camomilla che la mamma adorava e che erano appassiti in inverno. In seguito aveva sentito delle voci arrivare dalla strada, ma non riusciva a svegliarsi. Si sentiva costretto a dormire. Poi un rumore secco e fragoroso venne dalle scale, seguito dal suono di una porta che sbatteva. Il ragazzo aprì gli occhi.
Daniel, seduto sul suo letto, fissava le spoglie pareti della sua stanza con occhi atterriti. Lo sguardo sbarrato ed il volto grondante di sudore freddo come il ghiaccio. Il suo respiro era strozzato e affannoso come se fosse la prima volta che respirasse dopo tanto tempo. Guardandosi intorno si accorse che era ancora notte. Lo strano profumo di fiori aleggiava ancora nell’aria, ma era molto più debole e tendeva a dissolversi. Non vi era nessuno nella sua camera. Nessuna cosa o persona, nessuna stranezza. Forse aveva appena avuto un incubo.
Cercando di riprendersi, si alzò a fatica. La stanza era impregnata d’oscurità e non si riusciva a vedere se non a pochi passi di distanza. Muovendosi a tentoni raggiunse l’interruttore della luce. La lampada sul soffitto si accese illuminando la camera ed accecando momentaneamente il giovane. Passato l’abbaglio Daniel si sistemò al meglio i suoi capelli mori mesciati di biondo, interrompendosi ogni tanto per strofinarsi gli scuri occhi, provando a focalizzare meglio lo specchio davanti a cui si era posto. Poi si riposizionò sul suo letto. Aveva perso il sonno e non sapeva cosa fare.
La casa era silenziosa e solo lievi rumori di riposo serpeggiavano tre le mura antiche dell’edificio.
All’esterno tutto era tranquillo e l’assenza di luce dovuta alla mancanza della luna evidenziava le lontane zone illuminate.
Annoiato si affacciò alla finestra. Il suo sguardo s’inoltrò fra le vie più strette e sui palazzi più lontani, fino a quando la luce e la vista glielo permettevano. La tensione del risveglio, che lo aveva tenuto alzato, era sparita da molto, ma il sonno non si degnava ad affacciarsi. Dalla profondità dell’oscurità del cielo, aveva intuito che erano trascorse al massimo tre ore da quando si era coricato, verso le dieci delle sera
Stufo di non fare nulla, decise che era il caso che si rimettesse a dormire, quindi si mise sotto le coperte e chiuse gli occhi.
Dell’aria fredda entrava dall’esterno, quindi si costrinse ad andare a chiudere la finestra, ma sentì uno strano rumore. Un ritmico fischio di vento proveniva dal corridoio. Incuriosito andò a controllare.
Il corridoio era deserto, le finestre tutte chiuse e la luce proveniva solo dalla sua stanza. Ma il sibilo continuava a sentirsi. Scrutò meglio e si accorse che, stesi lungo il corridoio, vi erano i suoi genitori. Corse verso di loro e si tranquillizzò vedendo che erano solo addormentati. Cosa ci facevano lì per terra?
Neanche il tempo di pensarci che l’unica fonte di luce si spense come con un calo di tensione, facendolo rientrare nel buio che lo aveva visto svegliarsi. Daniel rientrò subito in camera. Le luci non si accendevano, ma oltre a questo nulla di strano e decise di tornare nel corridoio per cercare di svegliare i genitori. Ora, però, avvertiva qualcosa di differente.
L’andito era gelido come il ghiaccio, ed il sibilo di vento che aveva incuriosito il ragazzo era più forte di prima, come se fosse vicinissimo. Sui suoi genitori un’ombra mostruosa era avvinghiata ai corpi. Li stava divorando.
All’interno dell’abitazione sembrava non esserci nessuno. L’illuminazione era identica a quella dell’esterno, se non più ombrata. Centinaia d’oggettini, dipinti, tavoli e lampadari suntuosi adornavano i corridoi e le stanze. L’unico rumore che si sentiva era il riecheggiare del tonfo della porta, oramai distrutta e buttata sul pavimento. Philn si era già pentito dell’entrata che aveva fatto, rischiosa ed inutile. Preferiva non pensare a quante creature aveva attirato in quel modo. L’unica cosa che poteva fare, ora, era sbrigarsi a trovare i proprietari della villa.
Fatta una rapida ispezione, si diresse verso il piano di sopra. Il corridoio, partendo dalle scale, si piegava verso destra in un angolo di novanta gradi, impedendo la vista di ciò che c’era a più di dieci metri. In compenso non vi era nessuna stanza, quindi si poteva procedere direttamente all’angolo.
L’uomo si diresse lentamente verso l’angolazione, con passo leggero, in modo da controllare bene ciò che stava succedendo.
Dall’altro lato del corridoio una delle creature incorporee era ferma ed occupava la visuale di ciò che succedeva davanti. L’importante, però, era d’averla trovata.
Philnmore scattò verso la creatura, torcia in mano, pronta ad accenderla. L’ombra sentendolo arrivare si voltò. Gli occhi bianchi lo guardavano carichi d’odio e desiderosi della sua vita.
Le macchie nere sul corpo dell’uomo ricominciarono a fiaccare le sue energie ed un freddo intenso si fece strada nel suo corpo. Si fermò ansimante, e quando la creatura si scagliò su di lui, accese la torcia. L’ombra si dissolse come un incubo al risveglio, cancellando ogni traccia della sua esistenza, poi la luce illuminò il volto di un ragazzo.
Philn vi si avvicinò e lo vide atterrito, tremante. Il volto esprimeva ciò che non riusciva a dire. Era ancora in pigiama, si era svegliato da poco. Probabilmente avrebbe preferito non farlo. Philnmore s’inginocchiò davanti a lui e cercò di farlo calmare, ma non era possibile. Il ragazzo diceva parole sconnesse che per lui non avevano senso.
D’improvviso Philn si accorse di un dettaglio. Preoccupato dal ragazzo, non aveva notato che l’aura di gelo delle ombre non era scomparsa.
Si girò in tempo per vedere altre due ombre che lo attaccavano e le schivò prontamente, portandosi dietro il giovane. Le creature urtarono contro un muro senza creare rumore, divennero nubi oscure e riattaccarono riprendendo la loro forma. Philnmore, però, fece scattare in tempo la luce della torcia, dissolvendo in un fascio di luce anche quest’ultime. Stavolta il gelo scomparve.
Riprendendo fiato Philn si guardò intorno alla ricerca di qualcun altro, ma la casa era completamente vuota. Non vi era traccia dei genitori del ragazzo. Neanche cercando nelle stanze trovava qualcuno. Non c’era nulla. Nemmeno i cadaveri.
Solo per te mia prima lettrice