Qui potrete scrivere le vostre poesie o i vostri poemi epici che magari abbiano come protagonista (o antagonista) un elfo scuro o un vampiro. "L'arme, gli eroi, e i drow io canto..." ^_^
sab gen 07, 2006 14:08
L'intero castello era offuscato dal grigio manto della nebbia che avvolgeva le sue mura, i suoi ponti e le sue torri, così come la boscaglia che circondava il solitario maniero. Due carreggiate, l'una proveniente da Sud, l'atra da Nord, si inerpicavano per la cresta sulla quale sorgeva il castello.
Quella notte, oltre all'immancabile nebbia, spirava un forte vento il cui fischio avrebbero fatto irrigidire il più impavido condottiero. Qualche cosa di strano pareva respirarsi nell'aria, una strana percezione in grado di penetrare negli animi più scettici e materiali.
Immerse nella foschia ed avvolti da neri mantelli, avanzano sulla carreggiata sud due figure dal volto torvo. Non vi era dialogo tra i due, si limitavano ad avanzare silenziosamente ognuno immerso nei suoi pensieri cupi e tetri. Nessuno osava rompere quel silenzio, quasi fosse l'unico rifugio, l'unica possibilità di sfuggire ad un mortale pericolo.
-Il conte non la prenderà bene- disse un uomo dai capelli brizzolati ed il volto solcato dalla fatiche e dal tempo
-Non credo proprio- replicò il suo compagno di strada, rabbrividendo, forse, per una folata di vento.
Ma in Transilvania non si sa mai perché la gente rabbrividisce.
I due si gettarono uno sguardo, colmo di disperazione, poi ripresero la strada. Ad ogni passo pareva loro di avvicinarsi sempre più al patibolo; un peso calava sulle loro anime, schiacciandole nell'angoscia, e ciò pareva essere rispecchiato dalla loro postura con la schiena ricurva verso il basso.
Presto le mura del castello divennero visibile, nonostante la nebbia, e soprattutto apparve ai loro occhi la sguarnita entrata del castello.
Superato il ponte levatoio, essi varcarono la soglia. I loro passi echeggiavano in quella che pareva essere una vuota costruzione. Un muschio infingardo tappezzava le mura che parevano essere inutilizzate da secoli, sebbene non vi fossero crepe o altri segni d'usura sulle fredde pietre. Entrati nel cortile, proseguirono dritti verso la costruzione centrale, dove una porta aperta dava adito ad una sala immersa nell'oscurità. I due si fermarono a qualche metro dalla soglia e si fissarono negli occhi per qualche istante. In quegli sguardi era possibile leggere tutto ciò che provavano, tutta l'ansia e l'affanno. I loro volti erano di un pallore mortale accentuato dalle guance smunte e dalle labbra screpolate dal freddo. Emessero entrambi un sospiro, poi entrarono nella costruzione.
-Il conte vi sta aspettando- una voce fredda e monotonica interruppe il silenzio del luogo. Era impossibile distinguere, per l'oscurità, chi o cosa avesse parlato.
Ma in Transilvania è sempre difficile capire chi stia realmente parlando.
Appena la voce ebbe finito di echeggiare rimbalzando da un muro all'altro, le luci della stanza si accesero magicamente e la porta alle loro spalle si chiuse di botto.
I due si trovavano in un ampio salone, adibito ad atrio. Di fronte a loro vi era una lunga rampa scale che portava ai piani superiori della costruzione, mentre al lato sinistro era adibito un piccolo salotto formato da quattro poltroncine disposte attorno ad un basso tavolo di marmo ed una porta che conduceva ad altre sale. Sul lato destro, invece, vi erano due porte dalle quali fuoriuscivano uno stuzzicante odore di carne arrosto. Probabilmente in quella zona dovevano esserci le cucine e la zona della servitù.
Seduti sulle poltrone del piccolo salotto vi erano quattro figure maschili dal volto pallido i cui occhi erano ora fissi sui due nuovi venuti. Una di loro si fece segno ai due viaggiatori di avvicinarsi.
L'uomo, o ciò che pareva essere tale, aveva i neri occhi infossati da zigomi sporgenti ed uno sguardo feroce in cui scintillava una punta di disperazione. Le labbra violacee, serrate in una smorfia raccapricciante ed il cipiglio scontroso donavano al suo volto un aspetto terrificante ma al contempo attraente, forse per quel piccolo segno di un sentimento umano che balenava nei suoi occhi.
-Il conte arriverà tra poco- proferì la misteriosa figura -Gli altri sono già seduti in tavola. Raggiungeteli-
I due ubbidirono a ciò che sembrava essere più un ordine che un invito e non fecero l'errore di fermarsi all'apparenza.
In Transilvania niente è ciò che sembra.
Percorso un piccolo corridoio giunsero in un ampio salone illuminato a festa e riscaldato da due scoppiettanti camini posti ai due lati della sala. Al centro vi era una lunga tavolata su cui già sedevano e parlottavano gli invitati mentre servi, vestiti di abiti scuri erano impegnati a portare cibi e bevande di ogni tipo. Alla parte bassa della tavola, ossia quella più vicina dalla quale erano entrati i due viaggiatori, sedevano i servitori di spicco del conte. Tra questi il più importante era un uomo massiccio dallo sguardo selvaggio, il cui nome era Adrian. Era alto circa un metro e novanta ed aveva spalle possenti. Vicino a lui vi erano altri sette uomini della sua stazza. I suoi modi parevano decisamente rozzi, addirittura incivili ed il suo comportamento cozzava con il nobiliare portamento dei presenti. Nonostante ciò, nessuno pareva fare caso al modo di approcciarsi suo e di quelli che parevano essere i suoi compagni i quali tenevano un comportamento simile al loro capo Adrian. Vicino a questo gruppetto vi erano altre persone che avevano i classici lineamenti rumeni e non parevano differenziarsi particolarmente. Nella tavola alta, invece, risiedevano i famigliari del conte. Alla sinistra ed alla destra del posto vuoto del conte, vi erano sedute le sue due mogli i cui volti erano di una straordinaria bellezza. Ma il loro fascino pareva svanire nei confronti della figlia preferita del signore del luogo, la quale aveva l'onore di sedere alla destra della prima moglie. Ella era di una bellezza straordinaria. I lineamenti del suo viso erano delicati, a tratti addirittura dolci, e sulla candida pelle sprizzavano due occhi azzurri e profondi, a volte melanconici, a volte crudeli. Le labbra sottili ed i capelli corvini, che cadevano sulle guance accarezzandone le gote, completavano quel volto che pareva l'opera di una artista. I due le diedero uno sguardo veloce per poi andarsi a sedere al loro posto.
-Ecco gli ultimi mortali- disse una voce sprezzante -Ci siamo tutti, manca il conte-
Il signore del loco non si fece certo aspettare. Passarono circa cinque minuti, quando egli apparve dal nulla nella sala spegnendo con la sua comparsa ogni rumore.
Tutto di lui era in ordine e perfetto, dai visti ai neri capelli che parevano luccicare. La sua pelle era tremendamente pallida, quasi bianca e su di essa risaltavano le nere iridi che fredde scrutavano la sala e forse anche i cuori. Le labbra socchiuse lasciavano intravvedere la bianca dentatura, soprattutto i due canini superiori che risaltavano per la loro lunghezza rispetto agli altri denti. Un terribile ed oscuro fascino pareva circondare la sua figura. Egli non poteva essere ridotto alla categoria di bello. Non era solo il suo volto od il suo fisco ad essere attraente. Ogni suo movimento, ogni suo respiro sprigionava una forza misteriosa ed attraente, un qualcosa di infinito ed allo stesso finito, di vita e di morte, di gloria ed infamia.
Egli afferrò con delicatezza un calice ricolmo di vino, afferrandolo utilizzando l'indice ed il medio, quasi sfiorandolo coi polpastrelli e con un lento movimento lo portò all'altezza del suo volto
-Al nostro Clan- disse con la sua voce profonda che pareva prendere vita dalle viscere dell'animo umano.
-Al nostro Clan- risposero in coro tutti i famigliari del conte.
I restanti invitati, se così si possono chiamare, non parteciparono al brindisi essendo a loro proibito.
Neanche l'eccezionalità della situazione aveva cambiato le eterne regole dei Clan vampiri, sebbene, con molta sofferenza, la gravità dei fatti avesse permesso ai servi più importante del conte di poter sedere al tavolo con la “famiglia”.
-Allora, Mircea, Alexander, diteci cosa avete scoperto- disse il conte sedendosi a capotavola
-Notizie pessime, mio signore” replicò Mircea la cui voce pareva decisa. -Jacob ci è sfuggito” aggiunse. Solo in quel momento i lineamenti del volto si contrassero in una smorfia, forse causata dallo sguardo penetrante ed alterato che il conte aveva lanciato verso Mircea.
sab gen 07, 2006 22:50
Bello, mi piace lo stile del racconto, scorrevole, ma completo di particolari descrittivi che lo rendono caratteristico...
Unica critica, in diversi punti ci sono delle ripetizioni e qualche altro piccolo errore grammaticale, tipo pronomi o verbi, ma niente di grave
continua cosi!