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Re: Mastella "mi dimetto per senso dello stato"

mer mar 12, 2008 01:22

Come non essere d'accordo :D

Ma dirò di più:
il problema è chi vota.

Re: Mastella "mi dimetto per senso dello stato"

mer mar 12, 2008 13:36

Non andare a votare viene percepito come disinteresse.
Andare a votare per annullare la scheda invece viene percepito come disagio politico.
E sono due cose ben diverse...

Re: Mastella "mi dimetto per senso dello stato"

mer mar 12, 2008 16:55

Andare a votare e annullare la scheda (o scheda bianca) significa amio parere che, tra le varie opzioni, non si trova una rappresenzanza. Ma comunque hai assolto al tuo "compito" di elettore, e infatti ti timbrano la scheda elettorale personale, no?
Non andare a votare è vero, si corre il rischio di essere incasellati negli "indifferenti", nei "qualunquisti", cosa che del resto fa molto comodo agli stessi sostenitori del sistema; ma è anche rifiutare in toto il sistema di voto e il sistema di rappresentanza.

D'altra parte, volendo essere realisti, qualunque segno o dimostrazione di contrarietà al sistema verrà sempre tacciato, da parte dei diretti interessati, di ignavia o disinteresse. Non andrebbe certo a loro favore porre la questione su un piano culturale e politico. Molto più comodo sdoganarla con un "han scelto di non scegliere, quindi lo facciamo noi al posto loro", dimenticandosi volontariamente che anche il non votare è una scelta.

Re: Mastella "mi dimetto per senso dello stato"

mer mar 12, 2008 17:13

Meno persone votano, più rompipalle è la campagna elettorale per accaparrarsi gli 'indecisi' :sisi:

Re: Mastella "mi dimetto per senso dello stato"

mer mar 12, 2008 17:34

ggià... l'astensionismo in piccola misura fa comodo, quando eccede preoccupa.

Re: Mastella "mi dimetto per senso dello stato"

mer mar 12, 2008 17:37

Beh, rifiutare in toto il sistema di voto significa dichiararsi antidemocratici.
Io non penso che il sistema di voto sia poi così male, sono le persone che dovremmo eleggere il problema. :ahah:

Re: Mastella "mi dimetto per senso dello stato"

mer mar 12, 2008 18:12

Azrael The Dark ha scritto: Beh, rifiutare in toto il sistema di voto significa dichiararsi antidemocratici.

Oui, è proprio così :wink:
Oltretutto ritengo che questo sistema di voto distorca profondamente il concetto e il funzionamento di democrazia.
Azrael The Dark ha scritto: Io non penso che il sistema di voto sia poi così male, sono le persone che dovremmo eleggere il problema. :ahah:

Sai, non ho mai creduto a questa cosa.
Perchè i casi sono due:
O siamo veramente di uno sfigato tremendo, che su 60 e rotti anni di repubblica ci sono capitati una serie immane di infami, e solo due o tre personaggi diciamo moderatamente "corretti"... ma nemmeno troppo...
Oppure c'è qualcosa che non va nel metodo. In particolare, io credo che il sistema rappresentativo porti inevitabilmente una persona eletta nella posizione in cui prima o poi farà la mafiosata. Per forza.
Ok, l'ho detto semplicisticamente, ma il succo è questo.
Pretendere che una persona rimanga integra e integerrima in una simile condizione significa essere più ingenuamente utopistici degli anarchici (dei quali peraltro mi onoro di far parte), perchè significa non considerare alcuni ovvi e naturali aspetti dell'essere umano.

Re: Mastella "mi dimetto per senso dello stato"

mer mar 12, 2008 18:45

Potresti esprimerti un po' meno semplicisticamente, tanto per iniziare. :asd:

Re: Mastella "mi dimetto per senso dello stato"

gio mar 13, 2008 03:49

Va bene, posso provare a fare un discorso più organico. Non completo, perchè richiederebbe pagine intere, ma vediamo che posso fare.

L'idea generale che mi ha sempre lasciato perplesso, è la generale tendenza ad affermare che se le cose vanno bene è merito di un sistema che funziona, se le cose vanno male è colpa di singoli -o gruppi- deviati.
Questo modo di pensare mi è sempre parso applicato in particolar modo per lo Stato.
Se diamo uno sguardo complessivo alla storia repubblicana italiana (ma potremmo tranquillamente prendere in esame qualunque altra nazione), quelle che vengono comunemente definite malsane eccezioni a me paiono piuttosto la norma. Tant'è vero che ad oggi ricordiamo pochi casi di personaggi politici che, nonostante le ovvie luci e ombre che li accompagnano in quanto uomini, vengono definiti eccelsi, esemplari (mi vengono in mente Togliatti, Moro, Berlinguer e Pertini).
Questo loro stato di eccellenza, e di eccezionalità, è dovuto essenzialmente al loro elevarsi sopra la norma: una norma, possiamo dirlo, abbietta.

Il punto è questo: perchè la normalità della classe politica è così deprecabile?
Secondo me, il problema non risiede nel fatto che ci siano in parlamento gli uomini sbagliati. Anche perchè in 60 anni un ricambio parlamentare c'è stato: non quanto vorremmo forse, ma c'è stato.
Io sono dell'idea che qualunque uomo, se eletto, sia naturalmente portato dal sistema a diventare politico nel senso dispregiativo del termine, e questo principalmente per due motivi (più altri addizionali, o corollari, se preferisci).

Il primo è la struttura partitica; nessuno diventa deputato o senatore o ministro tutto d'un colpo: serve una carriera, un curriculum diciamo. Se questo ha il vantaggio di fornire esperienza, contiene in sè l'enorme fregatura per cui
1)l il soggetto in politica vive in una struttura che, nel tempo, ne altera la mentalità, spingendolo a considerare come accettabili o addirittura giuste pratiche che in origine considerava deprecabili
Spoiler: Visualizza

2) la carriera del giovane politico è soggetta al giudizio degli "anziani", i quali sono ovviamente portati a conservare quello status quo che ha loro permesso di ottenere il potere; si conseguenza permetteranno al giovane di raggiungere una certa importanza solo se avrà dimostrato d aver recepito il modus operandi e la mentalità politica in vigore, propria della sua struttura d'appartenenza, e di ottenere il diritto di successione solo se il giovane si sarà dimostrato degno erede del lascito che gli anziano riservano quando si ritirano.
Il cambiamento, quello reale, si verifica solo quando la conservazione dello status quo risulta impossibile, o addirittura deleterio per l'elite; in poche parole solo quando la società e il tempo costringono l'elite ad adeguarsi. In genere quest'ultima trova il modo di metamorfizzarsi mantenendo però inalterato ciò che le interessa: la proprietà della leva del comando. Un esempio extrapolitico (ma nemmeno molto) è la Chiesa Cattolica, costretta dalla modernità ad accettare cose fino a poco tempo prima ritenute impensabili per non rischiare di perdere il ruolo di guida della comunità crisitana cattolica. Ma politicamente parlando sono evoluzioni coatte che troviamo in qualsiasi storia di partito, di destra (Partito fascista-MSI-AN), di centro (DC-UDC-Rosa Bianca), di sinistra (PCI-PDS-Ulivo-PD): cambiano i contenuti, cambiano persino i valori (a volte leggermente modificati, altre stravolti), ma non cambia la volontà di mantenere la posizione di comando, perpetrata attraverso l'allevamento di nuove leve da parte dei padri-padroni-padrini.

il secondo motivo invece è legato proprio alla democrazia rappresentativa.
Il soggetto eletto viene messo nella condizione di godere della possibilità di modificare le regole della società. Ufficialmente (e ricordiamoci che in politica l'ufficialità è ciò che decretano i politici stessi) è tenuto ad attuare tali modifiche soltanto in base alle promesse fatte all'elettorato, e seguendo un programma di dominio pubblico grazie al quale egli ha ricevuto i voti. La realtà non è questa.
Trascuriamo di esplicitare nei dettagli il discorso per cui i cittadini italiani ad oggi non scelgono direttamente chi mandare o non mandare in parlamento: i nomi li scelgono le segreterie di partito, ai cittadini è demandato il compito di accettare questi candidati, visto che di fatto non c'è una valida alternativa: il cittadino non può dire "no quello no, mandate su quest'altro", ovvero non può proporre nominativi di propria iniziativa. Trascuriamo, ma ricordiamocelo, perchè a conti fatti troveremo che la cosa rientra perfettamente nella logica generale del sistema.
Ricordiamoci invece che gli elettori non hanno modo di incidere costantemente sulla carriera dei parlamentari: non esistono meccanismi per cui il mandato può essere ad un certo punto della legislatura interrotto dai cittadini; possono farlo, guardacaso, solo i parlamentari stessi (ricordate il recente caso Dell'Utri, ad esempio?). Il parlamentare può benissimo essere eletto per un motivo e poi fare tutt'altro. Certo non è stupido, e sa benissimo che il probabile prezzo da pagare sarebbe la non-rielezione (anche se la cosa non è così scontata). Ma anche considerando questo fatto, il problema è del singolo, non del sistema, che alla tornata elettorale successiva semplicemente cancellerà un nome e ne inserirà un altro, quello dell'ennesimo politico arrivato fin lì perchè cresciuto nella struttura e perchè spinto dal sistema partitico coi meccanismi che abbiamo visto prima.
Ma il discorso può essere reso anche da un punto di vista più intimistico: qualsiasi uomo posto nella condizione di trarre vantaggio dalla propria posizione, lo farà. E' una pulsione umana, quella dell'ambire a migliorare la propria condizione di vita, inestinguibile. Pretendere che questa pulsione sia ignorata è, come dicevo nel post sopra, ingenua utopia. Chi c'è riuscito? Forse, e nemmeno del tutto, quei pochi "illuminati" di cui parlavamo prima. Eccezioni appunto. E tra l'altro eccezioni figlie di una struttura, di un sistema antecedente a quello democratico. La loro forza è derivata anche dall'aver vissuto un periodo buio come quello fascista, e da lì aver compreso un pò più degli altri il valore della democrazia. Una combinazione di carattere e storia più unica che rara. Di certo non replicabile oggi.

Esempi? Uno forse abusato, ma chissà perchè nessuno dei parlamentari ha mai grossi problemi ad aumentare il proprio stipendio. Sono gli unici dipendenti che si auto-aumentano la retribuzione, invece di chiedere l'autorizzazione ai datori di lavoro (noi).
Certo, perchè se chiedessero (ad esempio con un referendum) si vedrebbero rispondere un bel "Ma vaff..."
E a proposito di referendum... altro strumento di illusoria volontà popolare. Gli unici referenda che sono durati nel tempo sono quelli "non-politici", quelli impossibili da cambiare finchè la società, almeno la maggioranza, li ritiene intoccabili. Il divorzio, ad esempio.
Ma quelli politici...
Dopo tangentopoli gli italiani decisero con un referendum che il finanziamento pubblico ai partiti era una maialata da non ripetersi. Pochi anni dopo la classe politica ha reintrodotto la pratica attraverso il cosiddetto "rimborso elettorale". [Pochi anni dopo ancora, con l'entrata dell'euro, tale rimborso elettorale fu portato da 800 lire a 1 euro a voto, conteggiato non sugli effettivi votanti, ma considerando l'intera popolazione avente diritto di voto e redistribuendo i voti mancati attraverso le percentuali di preferenza. In più, mentre prima se la legislatura decadeva decadeva anche il rimborso elettorale (perchè splamato sui 5 anni), oggi i partiti ottengono comunque il rimborso anche se la legislatura è finita: ovvero dopo le prossime elezioni i partiti piglieranno soldi sia per le elezioni scorse che per quelle 2008].
Ad un certo punto, non ricordo l'anno, gli ialiani stabilirono con un referendum la loro preferenza per il sistema maggioritario. Ad oggi i politici propongono ciascuno il sistema di voto che preferisce, ovvero quello che più premia il partito d'appartenenza, in spregio a qualcosa che dovrebbe essere già stato deciso dagli italiani, e la classe politica dovrebbe limitarsi ad accettare.
Pochi mesi fa, gli italiani chiesero con un referendum una riforma elettorale. Ad oggi, nulla di fatto, s'è andato ad elezioni anticipate. Peraltro promosse proprio da quelli che avevano promosso il referendum.
Infine, dulcis in fundo. A fine legislatura esiste per tradizione un maxi-decreto il cui nome particolare non ricordo ma era quantomeno esemplare. In questo decreto vengono inserite tutta una serie di miriadi di piccoli provvedimenti trasversali atti a fornire fondi ad iniziative proposte da singoli parlamentari. Provvedimenti che in genere, a fine legislatura e trattandosi di interventi minori, vengono tutti promossi. Ora... vi lascio solo immaginare a quale porcaio si lascino andare i cari eletti. Dimostrazione che, al di là delle grandi parole, alla fine il risultato è quello: che sia in sordina o meno, chi detiene il potere farà in modo che un vantaggio gli arrivi in tasca.


Potrei andare avanti, ma non serve a molto. Sono migliaia gli aspetti di un sistema politico (non solo italiano) costruito, di fatto, per far credere al cittadino di decidere.
Per far credere che lo Stato sei tu...

Due parole in favore della democrazia però le voglio spendere, perchè non si creda che io sia uno che dice "la democrazia è una merd*".
La democrazia è la più grande conquista del XX secolo, è la necessaria premessa per una società libera e giusta.
Tuttavia io considero il progresso come qualcosa che non si deve fermare. il benessere è arrivato a noi tramite il progressivo liberarsi della società dalle briglie autoritarie: prima le monarchie teocratiche, poi gli stati assoluti, poi i fascismi, gli stati socialisti, finalmente le democrazie.
Sbagliato è credere di essere giunti alla fine della corsa, di aver trovato la soluzione finale.
anzi, fermarsi è a mio avviso dare fiato ai possibili rigurgiti reazionari (reazionari nel senso di antitetici al progressismo) a cui assistiamo tutt'oggi. Soprattutto oggi.
Non sono un rivoluzionario, anzi penso che i rivoluzionari siano un pò ciechi nel contesto odierno; si dimenticano che l'uomo medio ha a cuore l'abitudine, mentre il cambiamento genera quell'incertezza che rischia di legarlo alla necessità di qualcuno di forte... e guai.
La progressione però non deve fermarsi, dev'essere costante, e al giorno d'oggi progredire significa, di fatto, meno Stato. Molto meno Stato.

Re: Mastella "mi dimetto per senso dello stato"

gio mar 13, 2008 07:26

bellissimo intervento Dmitrij, veramente interessante e ben formulato, e te lo quoto in toto :sisi:

Re: Mastella "mi dimetto per senso dello stato"

gio mar 13, 2008 16:43

Mi trovi completamente d’accordo con quasi tutto il post, il quale trovo bello e ben articolato.
Ma se non ti rompo un po non mi sento realizzato :clap:

Dmitrij ha scritto:perchè la normalità della classe politica è così deprecabile?
Secondo me, il problema non risiede nel fatto che ci siano in parlamento gli uomini sbagliati. Anche perchè in 60 anni un ricambio parlamentare c'è stato: non quanto vorremmo forse, ma c'è stato.
Io sono dell'idea che qualunque uomo, se eletto, sia naturalmente portato dal sistema a diventare politico nel senso dispregiativo del termine, e questo principalmente per due motivi (più altri addizionali, o corollari, se preferisci).

Il primo è la struttura partitica; nessuno diventa deputato o senatore o ministro tutto d'un colpo: serve una carriera, un curriculum diciamo. Se questo ha il vantaggio di fornire esperienza, contiene in sè l'enorme fregatura per cui
1)l il soggetto in politica vive in una struttura che, nel tempo, ne altera la mentalità, spingendolo a considerare come accettabili o addirittura giuste pratiche che in origine considerava deprecabili


Riguardo a questo punto mi viene subito in mente il mio professore di latino/italiano della 3° liceo. Lui era siciliano, trasferitosi a Bergamo da poco tempo ed era il primo anno che insegnava nel mio liceo. Il suddetto era uno dei professori più odiati per la sua rigidezza nei modi d’insegnamento e nei tempi (solito ragionamento adolescenziale), ma nel contempo molto rispettato perché pur non ostentandolo era uomo di grande cultura, essendo tra l’altro appena poco più di trentenne. Persona molto riservata non ha mai parlato della sua vita personale, tranne in un’occasione dove ci ha raccontato un aneddoto della sua città natale. (la quale ora non mi ricordo ma credo fosse un paesino vicino Catania). Ci ha raccontato di un sindaco eletto durante il primo governo Prodi che aveva cercato seriamente d’instaurare, badate bene, NON UNA LOTTA ALLA MAFIA BENSI UNA NON COLLABORAZIONE! Dalle sue parole questo sindaco non avrebbe retto la pressione per più di 2/3 mesi, dimettendosi subito dopo senza sopportare, corruzione, minacce, solitudine! Era una persona che non voleva mediare, non voleva concedere e non ha più potuto far parte della “politica”.
Da quel momento in poi il mio immaginario ha subito tradotto questo episodio di mafia a tutta la casta governante (nella vece di straniero nazionalizzato guardo si può dire “da vicino” sia la politica italiana che quella sudamericana, cosa che mi da una certa pluralità di punti di vista) e questa mia convinzione non ha fatto che affermarsi negli anni.
Ricordo anche l’esempio di Carlos Menem, ex presidente dell’Argentina (89-99), il cui figlio morì una decina di anni fa in circostanze che non ha pochi puzzarono di regolamento di conti; egli venne anche inquisito per reati patrimoniali e in seguito prosciolto anche grazie a provvedimenti legislativi ad hoc, nonché per traffico d’armi e arricchimento illecito. L’EX PRESIDENTE DI UNA DELLE NAZIONI PIU IMPORTANTI DI SUDAMERICA!!!
Purtroppo ciò che n’è ho dedotto non è una conclusione molto positiva; io vedo la politica come una mafia legalizzata, dove se cerchi d’agire nella legalità vieni escluso da una schiacciante maggioranza. E fin qui completamente d’accordo con te!!! :ok:

ma democrazia?

Dmitrij ha scritto:La democrazia è la più grande conquista del XX secolo, è la necessaria premessa per una società libera e giusta.
Tuttavia io considero il progresso come qualcosa che non si deve fermare. il benessere è arrivato a noi tramite il progressivo liberarsi della società dalle briglie autoritarie: prima le monarchie teocratiche, poi gli stati assoluti, poi i fascismi, gli stati socialisti, finalmente le democrazie.
Sbagliato è credere di essere giunti alla fine della corsa, di aver trovato la soluzione finale.
anzi, fermarsi è a mio avviso dare fiato ai possibili rigurgiti reazionari (reazionari nel senso di antitetici al progressismo) a cui assistiamo tutt'oggi. Soprattutto oggi.
Non sono un rivoluzionario, anzi penso che i rivoluzionari siano un pò ciechi nel contesto odierno; si dimenticano che l'uomo medio ha a cuore l'abitudine, mentre il cambiamento genera quell'incertezza che rischia di legarlo alla necessità di qualcuno di forte... e guai.
La progressione però non deve fermarsi, dev'essere costante, e al giorno d'oggi progredire significa, di fatto, meno Stato. Molto meno Stato.


Non so dove vedi la democrazia. Nella libertà di parola ed azione? nella libertà individuale? Potrei anche essere quasi d’accordo, ma io questo lo vedo di più come “un’assenza di regime” che una democrazia. Forse tu intendevi per democrazia più l’aspetto individuale che politico della parola, ma io mi sento in un’apparente libertà, una falsa libertà che ci inonda di conformismo ed adeguamento e niente più (a me in primis).

Bisognerebbe risvegliare Aristotele perché ci dia il nome della forma di governo alla quale siamo sottoposti… Ladrocrazia? Furbocrazia?… io ne vedo poco “Demos”… :lol:

Scherzi a parte …. io non la vedo questa suddetta democrazia, mi dispiace esser fatalista ed i più ottimisti di voi forse una soluzione la vedono. Ma in un paese (per entrare nel particolare) dove mi vedo quasi costretto a votare PD (pur non sentendomi rappresentato nelle loro idee) per attaccarmi all’ultima speranza di non essere governato da Berlusconi, non riesco a sentirmi partecipe di nulla.

Ps: quest’ultima è semplicemente l’ennesima opinione personale e spero nessuno la prenda a personale :roll:

Re: Mastella "mi dimetto per senso dello stato"

gio mar 13, 2008 23:59

Gilius ha scritto:Non so dove vedi la democrazia. Nella libertà di parola ed azione? nella libertà individuale? Potrei anche essere quasi d’accordo, ma io questo lo vedo di più come “un’assenza di regime” che una democrazia. Forse tu intendevi per democrazia più l’aspetto individuale che politico della parola, ma io mi sento in un’apparente libertà, una falsa libertà che ci inonda di conformismo ed adeguamento e niente più (a me in primis).

Ho usato il termine democrazia semplicemente come suggerisce qualsiasi dizionario, ovvero nell'accezione di forma di governo in cui la sovranità è detenuta dal popolo.
Chiaramente tutto il mio discorso è rivolto a dimostrare come in realtà la sovranità è sottratta al popolo, e finisce nelle mani di un'elite, quella politica, per effetto proprio del concetto di rappresentanza.
Comunque il tuo è ben più di un semplice "sentire": è la percezione del reale.
Gilius ha scritto:Bisognerebbe risvegliare Aristotele perché ci dia il nome della forma di governo alla quale siamo sottoposti… Ladrocrazia? Furbocrazia?… io ne vedo poco “Demos”… :lol:

Uhm... un utente poco tempo fa (mi pare fosse Azrael ma non sono sicurissimo) ha suggerito quello che secondo me è il termine ideale: cleptocrazia. Meravigliosa come definizione. :ahah:
Gilius ha scritto:Scherzi a parte …. io non la vedo questa suddetta democrazia, mi dispiace esser fatalista ed i più ottimisti di voi forse una soluzione la vedono. Ma in un paese (per entrare nel particolare) dove mi vedo quasi costretto a votare PD (pur non sentendomi rappresentato nelle loro idee) per attaccarmi all’ultima speranza di non essere governato da Berlusconi, non riesco a sentirmi partecipe di nulla.

Non so se il punto sia veramente questo... se ci fosse un paritito in cui tu ti identifichi, allora riterresti di vivere in una democrazia funzionante?
I paramentri attraverso cui dobbiamo giudicare non devono essere legati a noi stessi, o alla nostra personale soddisfazione politica.
Il punto è che il sistema rappresentativo crea l'illusione della scelta, attraverso quei (ed altri) meccanismi di cui parlavo in precedenza. il fatto che tu riesca o non riesca a trovare un partito che ti rappresenti conta poco, se non nel fatto che chi è scontento è più facilitato nel percepire la vanità della rappresentanza.
Ma se anche tu trovassi il partito ideale, ti ritroveresti a votare nomi scelti da loro, nomi di persone cresciute nell'ambiente e quindi avvezze ai costumi del politico medio nonchè cresciuti dai capi-partito, e dando loro il tuo voto li legittimerai a manipolare un potere che, inevitabilmente, finiranno per piegare ai propri interessi personali e di casta.
In Italia comunque i nostri politici sono particolarmente ...arditi nelle loro proposte di rappresentanza, e gli italiani particolarmente ingenui a farsi coinvolgere nel gioco del "io tifo per il mio partito".

Quel che però intendevo con "la democrazia è la più grande conquista del XX secolo" è semplicemente rilevare l'ovvio passo in avanti che la società ha fatto nel passare, a seconda dei vari casi storici, da regimi più autoritari a regimi di democrazia (socialista o liberale).
Voglio dire... ti renderai pur conto che possiamo giustamente rilevare tutte le pecche e le infamie di questo nostro attuale sistema che ci governa... ma non siamo più nella situazione di 70-80 anni fa... e questo forum e questa nostra discussione ne sono la dimostrazione.

Re: Mastella "mi dimetto per senso dello stato"

ven mar 14, 2008 16:54

Dmitrij ha scritto:Uhm... un utente poco tempo fa (mi pare fosse Azrael ma non sono sicurissimo) ha suggerito quello che secondo me è il termine ideale: cleptocrazia. Meravigliosa come definizione. :ahah:


Grazie, grazie, troppo buoni. :D
Comunque, mi trovi in massima parte d'accordo... Anche se credo che l'anarchia sia un'utopia più irrealizzabile del comunismo, decisamente.

Re: Mastella "mi dimetto per senso dello stato"

ven mar 14, 2008 17:22

Buh non mi sono soffermato a discutere sulla fattibilità dell'anarchia... non mi pareva argomento.
Ma del resto credo che qualunque sistema politico ideale sia utopico. Diciamo che c'è un'organizzazione sociale che più o meno si avvicina al modello.
In questo senso io ritengo tutti i modelli utopici, o se preferisci la democrazia non meno irrealizzabile dell'anarchia, e di riflesso l'anarchia non meno realizzabile della democrazia.
Lo svantaggio di quest'ultima è che è il tentativo di plasmare la società sul modello, mentre l'anarchia punta a plasmare il modello sulla società. Molto più facile a mio parere, perchè richiede meno sforzo da parte dei cittadini.
E poi c'è da dire un'altra cosa... di tutti i modelli possibili, l'anarchia è l'unico a non essere mai stato provato, quindi se si dice "irrealizzabile " lo si dice a priori, senza nessuna prova empirica a riguardo. Al contrario, il modello democratico è stato ampiamente sperimentato: con tutto ciò che ne è conseguito, di positivo e di negativo.

Io ho solo detto che al giorno d'oggi servirebbe meno Stato, e questo si può benissimo fare anche in ambito democratico.
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