Va bene, posso provare a fare un discorso più organico. Non completo, perchè richiederebbe pagine intere, ma vediamo che posso fare.
L'idea generale che mi ha sempre lasciato perplesso, è la generale tendenza ad affermare che se le cose vanno bene è merito di un sistema che funziona, se le cose vanno male è colpa di singoli -o gruppi- deviati.
Questo modo di pensare mi è sempre parso applicato in particolar modo per lo Stato.
Se diamo uno sguardo complessivo alla storia repubblicana italiana (ma potremmo tranquillamente prendere in esame qualunque altra nazione), quelle che vengono comunemente definite
malsane eccezioni a me paiono piuttosto la norma. Tant'è vero che ad oggi ricordiamo pochi casi di personaggi politici che, nonostante le ovvie luci e ombre che li accompagnano in quanto uomini, vengono definiti eccelsi, esemplari (mi vengono in mente Togliatti, Moro, Berlinguer e Pertini).
Questo loro stato di eccellenza, e di eccezionalità, è dovuto essenzialmente al loro elevarsi sopra la norma: una norma, possiamo dirlo, abbietta.
Il punto è questo: perchè la normalità della classe politica è così deprecabile?
Secondo me, il problema non risiede nel fatto che ci siano in parlamento gli uomini sbagliati. Anche perchè in 60 anni un ricambio parlamentare c'è stato: non quanto vorremmo forse, ma c'è stato.
Io sono dell'idea che qualunque uomo, se eletto, sia naturalmente portato dal sistema a diventare politico nel senso dispregiativo del termine, e questo principalmente per due motivi (più altri addizionali, o corollari, se preferisci).
Il primo è la struttura partitica; nessuno diventa deputato o senatore o ministro tutto d'un colpo: serve una carriera, un curriculum diciamo. Se questo ha il vantaggio di fornire esperienza, contiene in sè l'enorme fregatura per cui
1)l il soggetto in politica vive in una struttura che, nel tempo, ne altera la mentalità, spingendolo a considerare come accettabili o addirittura giuste pratiche che in origine considerava deprecabili
A questo proposito, proprio oggi su Repubblica, nella prima pagina della sezione Cultura, c'è la recensione dell'ultimo libro di Philip Zimbardo(psicologo sociale dell'Università di Stanford), L'Effetto Lucifero; al di là del titolo d'effetto, che ha comunque le sue ragioni, in sostanza il libro è il risultato di uno studio che dimostra come l'essere buoni o cattivi, corretti o scorretti, non è una proprietà intrinseca in ciascuno uomo (come ritiene, erroneamente, la psicologia), ma è l'effetto della struttura di appartenenza in cui siamo inseriti. Se hai la possibilità di leggere quantomeno la recensione (io penso proprio comprerò il libro) è davvero illuminante!
2) la carriera del giovane politico è soggetta al giudizio degli "anziani", i quali sono ovviamente portati a conservare quello status quo che ha loro permesso di ottenere il potere; si conseguenza permetteranno al giovane di raggiungere una certa importanza solo se avrà dimostrato d aver recepito il modus operandi e la mentalità politica in vigore, propria della sua struttura d'appartenenza, e di ottenere il diritto di successione solo se il giovane si sarà dimostrato degno erede del lascito che gli anziano riservano quando si ritirano.
Il cambiamento, quello reale, si verifica solo quando la conservazione dello status quo risulta impossibile, o addirittura deleterio per l'elite; in poche parole solo quando la società e il tempo costringono l'elite ad adeguarsi. In genere quest'ultima trova il modo di metamorfizzarsi mantenendo però inalterato ciò che le interessa: la proprietà della leva del comando. Un esempio extrapolitico (ma nemmeno molto) è la Chiesa Cattolica, costretta dalla modernità ad accettare cose fino a poco tempo prima ritenute impensabili per non rischiare di perdere il ruolo di guida della comunità crisitana cattolica. Ma politicamente parlando sono evoluzioni coatte che troviamo in qualsiasi storia di partito, di destra (Partito fascista-MSI-AN), di centro (DC-UDC-Rosa Bianca), di sinistra (PCI-PDS-Ulivo-PD): cambiano i contenuti, cambiano persino i valori (a volte leggermente modificati, altre stravolti), ma non cambia la volontà di mantenere la posizione di comando, perpetrata attraverso l'allevamento di nuove leve da parte dei padri-padroni-padrini.
il secondo motivo invece è legato proprio alla democrazia rappresentativa.
Il soggetto eletto viene messo nella condizione di godere della possibilità di modificare le regole della società. Ufficialmente (e ricordiamoci che in politica l'ufficialità è ciò che decretano i politici stessi) è tenuto ad attuare tali modifiche soltanto in base alle promesse fatte all'elettorato, e seguendo un programma di dominio pubblico grazie al quale egli ha ricevuto i voti. La realtà non è questa.
Trascuriamo di esplicitare nei dettagli il discorso per cui i cittadini italiani ad oggi non scelgono direttamente chi mandare o non mandare in parlamento: i nomi li scelgono le segreterie di partito, ai cittadini è demandato il compito di accettare questi candidati, visto che di fatto non c'è una valida alternativa: il cittadino non può dire "no quello no, mandate su quest'altro", ovvero non può proporre nominativi di propria iniziativa. Trascuriamo, ma ricordiamocelo, perchè a conti fatti troveremo che la cosa rientra perfettamente nella logica generale del sistema.
Ricordiamoci invece che gli elettori non hanno modo di incidere costantemente sulla carriera dei parlamentari: non esistono meccanismi per cui il mandato può essere ad un certo punto della legislatura interrotto dai cittadini; possono farlo, guardacaso, solo i parlamentari stessi (ricordate il recente caso Dell'Utri, ad esempio?). Il parlamentare può benissimo essere eletto per un motivo e poi fare tutt'altro. Certo non è stupido, e sa benissimo che il probabile prezzo da pagare sarebbe la non-rielezione (anche se la cosa non è così scontata). Ma anche considerando questo fatto, il problema è del singolo, non del sistema, che alla tornata elettorale successiva semplicemente cancellerà un nome e ne inserirà un altro, quello dell'ennesimo politico arrivato fin lì perchè cresciuto nella struttura e perchè spinto dal sistema partitico coi meccanismi che abbiamo visto prima.
Ma il discorso può essere reso anche da un punto di vista più intimistico: qualsiasi uomo posto nella condizione di trarre vantaggio dalla propria posizione, lo farà. E' una pulsione umana, quella dell'ambire a migliorare la propria condizione di vita, inestinguibile. Pretendere che questa pulsione sia ignorata è, come dicevo nel post sopra, ingenua utopia. Chi c'è riuscito? Forse, e nemmeno del tutto, quei pochi "illuminati" di cui parlavamo prima. Eccezioni appunto. E tra l'altro eccezioni figlie di una struttura, di un sistema antecedente a quello democratico. La loro forza è derivata anche dall'aver vissuto un periodo buio come quello fascista, e da lì aver compreso un pò più degli altri il valore della democrazia. Una combinazione di carattere e storia più unica che rara. Di certo non replicabile oggi.
Esempi? Uno forse abusato, ma chissà perchè nessuno dei parlamentari ha mai grossi problemi ad aumentare il proprio stipendio. Sono gli unici dipendenti che si auto-aumentano la retribuzione, invece di chiedere l'autorizzazione ai datori di lavoro (noi).
Certo, perchè se chiedessero (ad esempio con un referendum) si vedrebbero rispondere un bel "Ma vaff..."
E a proposito di referendum... altro strumento di illusoria volontà popolare. Gli unici referenda che sono durati nel tempo sono quelli "non-politici", quelli impossibili da cambiare finchè la società, almeno la maggioranza, li ritiene intoccabili. Il divorzio, ad esempio.
Ma quelli politici...
Dopo tangentopoli gli italiani decisero con un referendum che il finanziamento pubblico ai partiti era una maialata da non ripetersi. Pochi anni dopo la classe politica ha reintrodotto la pratica attraverso il cosiddetto "rimborso elettorale". [Pochi anni dopo ancora, con l'entrata dell'euro, tale rimborso elettorale fu portato da 800 lire a 1 euro a voto, conteggiato non sugli effettivi votanti, ma considerando l'intera popolazione avente diritto di voto e redistribuendo i voti mancati attraverso le percentuali di preferenza. In più, mentre prima se la legislatura decadeva decadeva anche il rimborso elettorale (perchè splamato sui 5 anni), oggi i partiti ottengono comunque il rimborso anche se la legislatura è finita: ovvero dopo le prossime elezioni i partiti piglieranno soldi sia per le elezioni scorse che per quelle 2008].
Ad un certo punto, non ricordo l'anno, gli ialiani stabilirono con un referendum la loro preferenza per il sistema maggioritario. Ad oggi i politici propongono ciascuno il sistema di voto che preferisce, ovvero quello che più premia il partito d'appartenenza, in spregio a qualcosa che dovrebbe essere già stato deciso dagli italiani, e la classe politica dovrebbe limitarsi ad accettare.
Pochi mesi fa, gli italiani chiesero con un referendum una riforma elettorale. Ad oggi, nulla di fatto, s'è andato ad elezioni anticipate. Peraltro promosse proprio da quelli che avevano promosso il referendum.
Infine, dulcis in fundo. A fine legislatura esiste per tradizione un maxi-decreto il cui nome particolare non ricordo ma era quantomeno esemplare. In questo decreto vengono inserite tutta una serie di miriadi di piccoli provvedimenti trasversali atti a fornire fondi ad iniziative proposte da singoli parlamentari. Provvedimenti che in genere, a fine legislatura e trattandosi di interventi minori, vengono tutti promossi. Ora... vi lascio solo immaginare a quale porcaio si lascino andare i cari eletti. Dimostrazione che, al di là delle grandi parole, alla fine il risultato è quello: che sia in sordina o meno, chi detiene il potere farà in modo che un vantaggio gli arrivi in tasca.
Potrei andare avanti, ma non serve a molto. Sono migliaia gli aspetti di un sistema politico (non solo italiano) costruito, di fatto, per far credere al cittadino di decidere.
Per far credere che lo Stato sei tu...
Due parole in favore della democrazia però le voglio spendere, perchè non si creda che io sia uno che dice "la democrazia è una merd*".
La democrazia è la più grande conquista del XX secolo, è la necessaria premessa per una società libera e giusta.
Tuttavia io considero il progresso come qualcosa che non si deve fermare. il benessere è arrivato a noi tramite il progressivo liberarsi della società dalle briglie autoritarie: prima le monarchie teocratiche, poi gli stati assoluti, poi i fascismi, gli stati socialisti, finalmente le democrazie.
Sbagliato è credere di essere giunti alla fine della corsa, di aver trovato la soluzione finale.
anzi, fermarsi è a mio avviso dare fiato ai possibili rigurgiti reazionari (reazionari nel senso di antitetici al progressismo) a cui assistiamo tutt'oggi. Soprattutto oggi.
Non sono un rivoluzionario, anzi penso che i rivoluzionari siano un pò ciechi nel contesto odierno; si dimenticano che l'uomo medio ha a cuore l'abitudine, mentre il cambiamento genera quell'incertezza che rischia di legarlo alla necessità di qualcuno di forte... e guai.
La progressione però non deve fermarsi, dev'essere costante, e al giorno d'oggi progredire significa, di fatto, meno Stato. Molto meno Stato.