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Fiore dei Liberi
Estratto da "Fiore di Battaglia - il Flos Duellatorum" di Fiore dei Liberi,
a cura di M. Rubboli, L. Cesari, nelle librerie da dicembre 2002.
Pubblicazione a cura della casa editrice "IL CERCHIO " di Rimini.
Il Primo Trattato Italiano di Scherma:
Il Flos Duellatorum di Fiore dei Liberi
"Io, Fiore Friulano dei Liberi, di Cividale della Diocesi di Aquileia, figlio del fu Messer Benedetto, a tutti coloro che desiderano dedicarsi al gioco delle armi, a piedi o a cavallo, rivolgo il mio saluto nel nome di Dio ed auguro una felice realizzazione dei loro desideri.
Essendo stato, fin dall'inizio della mia gioventù, per naturale inclinazione, propenso agli atti bellicosi, col crescere nacque il desiderio di impadronirmi di tutte le abilità di questa arte, sia della spada, della lancia e della daga, sia dei giochi di braccia (lotta), a piedi e a cavallo; e di tutte queste cose, per volontà di Dio, ho raggiunto la piena conoscenza grazie ai vari esempi di esperti maestri ed all'insegnamento di italiani e tedeschi, soprattutto del maestro Giovanni, detto Suveno che fu discepolo del maestro Nicola Toblem della Diocesi di Metz ed anche di molti principi, duchi, marchesi, conti e da molti altri e svariati luoghi e province.
Quando poi cominciò a venir meno la volontà di eseguire tali esercizi, onde non andasse perduta, per mia negligenza, tanta esperienza di combattimento, decisi di comporre un libro relativo alle cose più utili di questa raffinata arte, disegnandovi varie figure e fornendo degli esempi, poiché ciò si rivela come un utilissimo aiuto agli uomini esperti nelle guerre o in qualsiasi altra situazione pericolosa'; di quali metodi di attacco o di difesa e cosuomo d'armi od il lottatore."
In questo modo inizia il Flos Duellatorum, o Fior di Battaglia (1409), il primo trattato italiano conosciuto di Scherma e più in generale sul combattimento - oggi diremmo forse sulla Difesa Personale.
Le conoscenze marziali del nostro Autore spaziavano dalla lotta, in cui ci mostra tecniche anche molto dure e pericolose (e infatti consiglia prudenza a chi le praticasse per addestramento e non durante uno scontro reale), alla difesa contro un avversario armato di daga, all'uso di una gran varietà di armi, come la daga stessa, la spada a una mano, la lancia, la spada a due mani, l'azza (una sorta di grande martello da guerra dalla lunga impugnatura, che si maneggiava a due mani), e ci mostra anche come difenderci contro un avversario armato in modo diverso da noi (difesa con due randelli contro un nemico armato di lancia, difesa con una daga contro uno spadaccino).
Forse meno interessante e di più difficile applicazione appare oggi la parte del trattato dedicato al combattimento equestre, che viene trattato anch'esso con riferimento a diverse armi: la lancia e la spada, ma si trova anche una parte dedicata alla lotta a cavallo senza armi.
In complesso dunque l'insegnamento di Maestro Fiore non ha nulla da invidiare al programma di insegnamento di un moderno istruttore di arti marziali.
Giudichiamo pure da soli dalle sue stesse parole:
"Mostreremo le parate e le contrarie, la difesa, l'attacco e via di seguito...Vi saranno mostrate guardie con tutte le armi, giochi di attacco, difese, ferite, prese per immobilizzare, rotture e slogature di braccia e gambe, torsioni e contusioni nelle parti vitali del corpo, come questa arte insegna."
E come potrebbe essere da meno un uomo che, come lui stesso dice, ha studiato questa arte per cinquant'anni?
Altrettanto se non più degno di essere recuperato rispetto all'insegnamento tecnico è poi l'insegnamento morale che appare, frammisto a questi giochi rudi e violenti, sempre con grande umiltà e con poco rumore, rivolto solo a chi lo vuole e lo sa ascoltare.
Prendiamo per esempio questo richiamo alla coscienza degli istruttori, a volte poco propensi a considerare che uno sbaglio dell'allievo potrebbe in realtà essere dovuto ad un insegnamento poco chiaro e preciso: "...Non esisterà mai un buon scolaro se non vi è un buon maestro".
Ancora ricordiamo la raccomandazione di fare in allenamento le prese di lotta "d'amore e non da ira", anche se poi, quando è in gioco la vita, "sono prese e giochi che non si possono giocare di cortesia".
Consideriamo poi le quattro virtù necessarie per il gioco dello spadone, delle quali due sono fisiche (forza e velocità), ma due sono invece virtù dell'animo: prudenza e audacia, giustamente viste dal nostro Autore non come opposte ma come complementari.
Infine non va dimenticata la raccomandazione che il vecchio Maestro fa al lettore nel prologo del trattato, in cui afferma la necessità di tenere queste conoscenze segrete alla massa del popolo, e riservarle invece solamente ai nobili e ai cavalieri.
Il senso di una simile distinzione rapportato al mondo di oggi appare chiaro se non pensiamo alla nobiltà di sangue ma a quella interiore (all'epoca si riteneva infatti che le due coincidessero).
Fu dunque nell'anno 1409 che Messer Fiore, ormai in età avanzata, si accinse al non facile lavoro di trasferire su fogli di carta tutto quello che aveva imparato sull'arte del combattimento nel corso di una vita intera.
La sua soluzione fu quella di mostrare le diverse azioni tramite disegni semplici e precisi, commentati da pochi versi poetici (i versi possono essere considerati verosimilmente anche come un metodo di memorizzazione delle tecniche: in un'epoca prevalentemente analfabeta si poteva conservare meglio la conoscenza collegando parole a movimento, e movimento a parole. Ci conferma in questa opinione anche il fatto che nel trattato di Filippo Vadi, posteriore ma sempre del XV secolo, si ritrovano quasi le stesse frasi a commento delle stesse tecniche).
E' così che, oggi, ci troviamo di fronte ad un tesoro di conoscenze marziali della nostra tradizione, quasi nascosto in un carosello di frasi a volte enigmatiche e di figure la cui sequenza logica non sempre è immediata, nonostante gli sforzi di Maestro Fiore.
D'altra parte chi ha mai provato a spiegare come compiere un movimento complesso usando solamente parole (e mi rivolgo qui agli istruttori di qualunque disciplina sportiva) sa che non è semplice spiegarsi.
In questo caso la difficoltà di comprendere l'esecuzione dei movimenti e in generale la logica interna al trattato è ulteriormente accresciuta dai molti secoli che ci separano dal nostro Autore.
Fortunatamente sono disponibili altre fonti (per esempio altri trattati di epoche poco posteriori) che possono venire in nostro aiuto nel raggiungere un'esatta interpretazione, chiarendo alcuni aspetti e permettendo un confronto.
Ma è soprattutto con lo studio assiduo e la continua rilettura e reinterpretazione del testo alla luce dei principi schermistici e dei risultati della sperimentazione pratica in Sala d'Arme che si può sviluppare un lavoro di recupero anche del metodo di combattimento di Fiore dei Liberi e tentare di far rivivere l'arte dell'antico Maestro friulano.
Flos Duellatorum - Copia Collezione "Pisani-Dossi"
TRASCRIZIONE della parte Testuale
(Arte della Spada)
12B (12 VERSO)
Noy semo fendenti e façemo questione
De fender gli denti cum drita raxone :
Noy del ferir non auemo tardo
E tornamo in guardia de uargo in uargo.
Noy semo colpi chiamadi li sotani,
Che sempre may cerchamo de ferir le mani;
E dal zenochio in su façemo questione
E tornando cum fendenti fazemo lexione.
13A (13 RECTO)
Noy colpi meçani andamo trauersando;
Dal zenochio in su andamo guastando;
E rebatemo le punte fora de strada
E redopiando lo colpo de ferir è derada;
E si noy del meçano colpo intramo in fendent, .
Asay cum tali colpi guastamo zent.
Ponte semo de grandissima offensione
E a tuti colpi façemo questione;
Venenose semo più che serpente
E più che tuti colpi alczidemo zente;
E noy ponte a li colpi si disemo:
Tanto no taiaret che noy cusiremo.
Per lançare de spada e trare tayo e punta
Per la guardia che io ho niente me monta.
Vegna a uno a uno chi contra uole far,
Chè cum tuti io uoio contrastar.
E chi uole uedere couerte e ferire,
Tor de spada e ligadure senza falire,
Guardi ghi mie scolari corno san fare;
Se elli non trouan contrario non àno pare.
Cum passo ò fata couerta cum mia spada
E aquella in lo peto subito t'è intrada.
13B (13 VERSO)
Per ferirte anchora cum questa mia punta
La man sinistra a la spada si ò zunta.
Aqui io t'ò ferido in la tua testa
Per la couerta ch' i' ò fata acosì presta.
Per la ma ne ch' i' ò posta sotto tuo elzo,
Si tua spada non ua in terra dime guerzo.
Per tal modo te discrouo per ferirte de punta
Per uendegarme de ti d'ogni inçuria e onta.
14A (14 RECTO)
Anchora la testa t'ò ferida sença passare
Per la bona couerta ch'i' ò sapuda fare.
Per lo modo ch'i' ò presa la tua spada
Tosto della mane te l'auerò cauada.
Cum lo mio braço stancho lo drito t'ò ligado
E de molte feride saray apresentado.
Cum la man mancha io te farò uoltare
E in quello un grande colpo ti uoio dare.
14B (14 VERSO)
Per la uolta che per tuo cubito t'ò data
Meça la gola te creço auer taiata.
Aquesto è un bon rompere de punta a terra
E uen a esser streto per tal maynera.
De mandarte in terra y'ò mio pensir:
Anche è descouerto che ti posso ferir.
O la tua spada è piegada ouero ch'è rota
E cum la mia te posso ferir de sopra e de sota.
Flos Duellatorum - Copia Collezione "Pisani-Dossi"
TRASCRIZIONE della parte Testuale
(Arte della Spada a due Mani)
17A (17 RECTO)
Prudentia
Meio de mi louo ceruino non uede creatura
E aquello meto sempre a sesto e mesura.
Celeritas
Yo tigro tanto son presto a corer e uoltare,
Che la sagita del cello non me pò auançare.
Audatia
Più de mi lione non porta cor ardito,
Però de bataia faço a zaschaduno inuito.
Fortitudo
Ellefant san e uno castello ho per cargho,
E non me inçenochio ni perdo uargho.
Noy semo quatro animali de tal conplesione:
Chi uole armiçar de noy faça conparatione;
E chi de nostre uertù harà bona parte
In arme hauerà honor chomo dise l'arte.
17B (17 VERSO)
Sie magistri semo l'uno da l'altro deuisati;
L'uno fa per uno modo che non fa i altri:
E zaschadum de lor ten la sua spada in posta;
Ad aquello che le son ben diremo la mostra.
Per alançare e' son ben aparichiato;
De un grande passar farò merchato.
Contra tegner de man e anchora de lançare
Cum questa guardia ben me so reparare.
Per trare più longo e per più forte passar
Contra armato in tal ato uoio star.
Contra daga e contra spada armato
E disarmato a tal modo uoio esser trouato.
Questa presa è posta de dona l'altera:
De tagli e punte se deffende per ogni mainera.
Questa spada me scusa per spada e per aza:
In arme e sença chi me pò fare me faça.
18A (18 RECTO)
Poste e guardie chiamare per nome si façemo,
E una simille cum l'altra contrarie noy semo;
E segondo che noy staxemo e semo poste,
De far l'una contra l'altra façemo le mostre.
Tuta porta de fero son la piana terena
Che tagli e punte sempre si refrena.
Io son posta de dona soprana e altera
Per far deffesa in zaschaduna mainera;
E chi contra de mi uole contrastare
Più longa spada de mi conuen trouare.
Io son posta realle de uera finestra
E de in tuta l'arte sempre io son presta.
Meçana porta de fero 'son la forte
Per dare cum punta e fendenti la morte:
E per lungeça' de spada che io me sento
Del streto çogho sempre me deffendo.
18B (18 VERSO)
Io son posta longa cum mia spada curta
Che cum inçegno la golla spesso furta.
Posta frontalle e' son chiamata corona;
De tagli e de punte a nesum non perdona.
Anchora son posta de dona contra dent de zenchiar;
Cum malicie e ingani asa' briga io ghi ò a dar.
Io son la forte posta de dent de zenchiar.
Cum tute le guardie me son uso de prouar.
19A (19 RECTO)
Io son posta breue e ò de spada lungeça;
Spesso meto punta e in lei torno in freça.
Io son la stancha posta de uera finestra;
Cussì de la drita como de questa son presta.
Posta de coda lunga son in terra destesa;
Denançi e dedredo sempre io faço offesa:
E se passo innançi e entro in lo fendent,
E' uegno al streto zogho sença faliment.
Posta de bicornio io me faço chiamar;
Si io ho falsitade asay non men domandar.
19B (19 VERSO)
Per incrosar cum ti a punta de spada
De l'altra parte la punta in lo petto t'ò fermada.
Per lo ferir che dise el magistro ch'è denançi posto,
In la golla t'ò posta la punta de la spada tosto.
Per incrosar meça spada el braço stancho te ferirò;
Perchè lo tempo si è curto ben presto io lo farò.
Per lo magistro che incrosa a meça spada,
De quello che l'à dito de quello te faço derada.
20A (20 RECTO)
Anchora per quello proprio incrosare
Tua spada per questo modo io ho a pigliare:
E de inançi che tua spada me escha de mano
De ferir te tractarò como croyo uillano.
Lo dito del magistro denançi de quello non nè questione,
Che lo zogho che luy à dito io lo faço cum rasone.
Per passar fora de strada io t'ò ben discouerto
E il braçi toy io si ferirò in lo uoltare per certo.
Lo ferire de li braçi aquello zogho te faço,
E dal zogho streto io te farò altro impazo.
20B (20 VERSO)
Quando la spada per la gamba si uolla
O fendent far per testa o tondo per la golla:
Più tosto se guastaria li braçi che la testa;
Per più curto tempo la mesura è manifesta.
Quando io me incroso cum uno e uegno al streto,
Entro li chogiuni el fiero cum lo pe drito.
A questo è de punta un crudelle schanbiar:
In l'arte più falsa punta de questa non se pò far.
Tu me trasisti de punta e questa io t'ò dada;
E più seguro se pò far schiuando la strada.
Per tuo mantigner che io in mia man tegno
Cum la punta in lo uolto io te faço segno.
21A (21 RECTO)
Rebati tua punta in terra ben subito
E per tal modo io te fiero sença dubito.
Aqui stasemo noya terra incrosadi:
A più sauer li zoghi serano donadi.
Per lo incrosar de terra che fa lo scolar
Per mia prestisia lo uolto te uegno a taiar;
E tua spada romagnerà piegada o rota
E non la porà più ourar per negota.
Del çogho ch' è denançi entro in questo:
A taiarti el uolto el faço ben presto.
21B (21 VERSO)
Per pinçer lo tuo cubito io te farò uoltar
E in quello io te ferirò sença nessum tardar.
Per la uolta che t'ò dada per lo cubito
La testa io t'ò ferida de dredo ben subito.
Mostray de uegner dal drito, in lo riuersso intray
Per darte questa punta cum dolore e guay;
Punta falssa per nome io me faço chiamar;
Cussì son crudelle che de spada punta schanbiar.
Per punta falssa che tu me uolisti ferir
Voltando mi e la spada lo contrario ò fenir;
Si che la punta t'ò posta in lo uolto
Per modo che tuto lo zogho t'ò tolto.
22A (22 RECTO)
Per modo che noy stasemo aqui incrosadi,
A più sauer e presteça li zoghi sono dadi:
Però che multi zoghi se fano per tal incrosar,
Pur li più forti contrarij noy semo per far.
Per lo mantigner tuo che in man io tegno
E' te ferirò e tua spada serà mio pegno.
Per la mia spada che à receuudo colpo
E per la presa lo pomo te fier in lo uolto.
Aquesto è un altro ferir de mio pomo,
Segondo che l'arte e magistri presti sono.
22B (22 VERSO)
Io te mando in terra a questo partito;
De meterte la spada al colo non ò falito.
In mane ho la presa che tegho ò cerchada
Per meterte in terra cum la tua spada.
Per drita couerta io t'ò cussì ben preso,
Che te mandarò in tera longo disteso.
La tua spada cum lo mio braço ò intardada,
E la punta de la mia in lo uolto t'ò ficada:
E de tor de spada io si faço contrario
E li altri zoghi striti sempre suario.
23A (23 RECTO)
Toy braçi cum lo mio stancho sono seradi
E mior zogho è armadi che disarmadi:
Anchora de tor de spada son contrafator,
Segondo che me mete el magistro Fior.
La tua spada per l'elço si ò inpresonada,
De tagli e de punte te farò grande derada:
Anche contrario son de spada de man leuar ;
Ferir io te posso e non me la po' tochar.
Per questo modo e' t'ò ben ligado,
Che in arme e sença serissi inpresonado:
Ella tua spada contra mi non ual nient;
De tor de spada faço contra certament.
Serata t'ò la mane cum mia spada
E de molte feride in la testa te farò derada:
E del meçano tor de spada faço contra;
Questa ligadura ò fata che asay monta.
23B (23 VERSO)
Questa è couerta de la riuerssa mano
Per far zoghi de fortissimo ingano.
Per la couerta de la riuerssa mano aqui t'ò aserato:
De zogho streto e de feride non sera' guardato.
Questa è una forte presa che uen de man riuerssa:
De feride tu e' fornido e la tua spada è perssa.
Soto tuo braço mia spada uolisti serar
Ello contrario te fa aqui male ariuar.
24A (24 RECTO)
Per la couerta de man drita acossì io t'ò preso:
La mia spada in tuo uolto in terra serà disteso.
Questo tor de spada è chiamato lo soprano;
Che mille uolte e più l'à fato Fior furlano.
Lo meçano tor de spada aqui io faço,
E cum mia spada o tua te farò impaço.
Aquesto è lo tor de spada de soto:
Ben lo farà chi è magistro in l'arte doto.
24B (24 VERSO)
Questa spada io la tegno per mia:
In lo uoltar e tor io te farò uilania.