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 Oggetto del messaggio: D&D LIVE! ( chiariamo le idee ) tra storia e fantasy
MessaggioInviato: mer nov 17, 2004 20:12 
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Fiore dei Liberi

Estratto da "Fiore di Battaglia - il Flos Duellatorum" di Fiore dei Liberi,
a cura di M. Rubboli, L. Cesari, nelle librerie da dicembre 2002.
Pubblicazione a cura della casa editrice "IL CERCHIO " di Rimini.


 Il Primo Trattato Italiano di Scherma:

Il Flos Duellatorum di Fiore dei Liberi

"Io, Fiore Friulano dei Liberi, di Cividale della Diocesi di Aquileia, figlio del fu Messer Benedetto, a tutti coloro che desiderano dedicarsi al gioco delle armi, a piedi o a cavallo, rivolgo il mio saluto nel nome di Dio ed auguro una felice realizzazione dei loro desideri.

Essendo stato, fin dall'inizio della mia gioventù, per naturale inclinazione, propenso agli atti bellicosi, col crescere nacque il desiderio di impadronirmi di tutte le abilità di questa arte, sia della spada, della lancia e della daga, sia dei giochi di braccia (lotta), a piedi e a cavallo; e di tutte queste cose, per volontà di Dio, ho raggiunto la piena conoscenza grazie ai vari esempi di esperti maestri ed all'insegnamento di italiani e tedeschi, soprattutto del maestro Giovanni, detto Suveno che fu discepolo del maestro Nicola Toblem della Diocesi di Metz ed anche di molti principi, duchi, marchesi, conti e da molti altri e svariati luoghi e province.

Quando poi cominciò a venir meno la volontà di eseguire tali esercizi, onde non andasse perduta, per mia negligenza, tanta esperienza di combattimento, decisi di comporre un libro relativo alle cose più utili di questa raffinata arte, disegnandovi varie figure e fornendo degli esempi, poiché ciò si rivela come un utilissimo aiuto agli uomini esperti nelle guerre o in qualsiasi altra situazione pericolosa'; di quali metodi di attacco o di difesa e cosuomo d'armi od il lottatore."


 In questo modo inizia il Flos Duellatorum, o Fior di Battaglia (1409), il primo trattato italiano conosciuto di Scherma e più in generale sul combattimento - oggi diremmo forse sulla Difesa Personale.
Le conoscenze marziali del nostro Autore spaziavano dalla lotta, in cui ci mostra tecniche anche molto dure e pericolose (e infatti consiglia prudenza a chi le praticasse per addestramento e non durante uno scontro reale), alla difesa contro un avversario armato di daga, all'uso di una gran varietà di armi, come la daga stessa, la spada a una mano, la lancia, la spada a due mani, l'azza (una sorta di grande martello da guerra dalla lunga impugnatura, che si maneggiava a due mani), e ci mostra anche come difenderci contro un avversario armato in modo diverso da noi (difesa con due randelli contro un nemico armato di lancia, difesa con una daga contro uno spadaccino).
Forse meno interessante e di più difficile applicazione appare oggi la parte del trattato dedicato al combattimento equestre, che viene trattato anch'esso con riferimento a diverse armi: la lancia e la spada, ma si trova anche una parte dedicata alla lotta a cavallo senza armi.
In complesso dunque l'insegnamento di Maestro Fiore non ha nulla da invidiare al programma di insegnamento di un moderno istruttore di arti marziali.
Giudichiamo pure da soli dalle sue stesse parole:
"Mostreremo le parate e le contrarie, la difesa, l'attacco e via di seguito...Vi saranno mostrate guardie con tutte le armi, giochi di attacco, difese, ferite, prese per immobilizzare, rotture e slogature di braccia e gambe, torsioni e contusioni nelle parti vitali del corpo, come questa arte insegna."

E come potrebbe essere da meno un uomo che, come lui stesso dice, ha studiato questa arte per cinquant'anni?

   

 Altrettanto se non più degno di essere recuperato rispetto all'insegnamento tecnico è poi l'insegnamento morale che appare, frammisto a questi giochi rudi e violenti, sempre con grande umiltà e con poco rumore, rivolto solo a chi lo vuole e lo sa ascoltare.
Prendiamo per esempio questo richiamo alla coscienza degli istruttori, a volte poco propensi a considerare che uno sbaglio dell'allievo potrebbe in realtà essere dovuto ad un insegnamento poco chiaro e preciso: "...Non esisterà mai un buon scolaro se non vi è un buon maestro".
Ancora ricordiamo la raccomandazione di fare in allenamento le prese di lotta "d'amore e non da ira", anche se poi, quando è in gioco la vita, "sono prese e giochi che non si possono giocare di cortesia".
Consideriamo poi le quattro virtù necessarie per il gioco dello spadone, delle quali due sono fisiche (forza e velocità), ma due sono invece virtù dell'animo: prudenza e audacia, giustamente viste dal nostro Autore non come opposte ma come complementari.
Infine non va dimenticata la raccomandazione che il vecchio Maestro fa al lettore nel prologo del trattato, in cui afferma la necessità di tenere queste conoscenze segrete alla massa del popolo, e riservarle invece solamente ai nobili e ai cavalieri.
Il senso di una simile distinzione rapportato al mondo di oggi appare chiaro se non pensiamo alla nobiltà di sangue ma a quella interiore (all'epoca si riteneva infatti che le due coincidessero).    


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 Fu dunque nell'anno 1409 che Messer Fiore, ormai in età avanzata, si accinse al non facile lavoro di trasferire su fogli di carta tutto quello che aveva imparato sull'arte del combattimento nel corso di una vita intera.
La sua soluzione fu quella di mostrare le diverse azioni tramite disegni semplici e precisi, commentati da pochi versi poetici (i versi possono essere considerati verosimilmente anche come un metodo di memorizzazione delle tecniche: in un'epoca prevalentemente analfabeta si poteva conservare meglio la conoscenza collegando parole a movimento, e movimento a parole. Ci conferma in questa opinione anche il fatto che nel trattato di Filippo Vadi, posteriore ma sempre del XV secolo, si ritrovano quasi le stesse frasi a commento delle stesse tecniche).
E' così che, oggi, ci troviamo di fronte ad un tesoro di conoscenze marziali della nostra tradizione, quasi nascosto in un carosello di frasi a volte enigmatiche e di figure la cui sequenza logica non sempre è immediata, nonostante gli sforzi di Maestro Fiore.
D'altra parte chi ha mai provato a spiegare come compiere un movimento complesso usando solamente parole (e mi rivolgo qui agli istruttori di qualunque disciplina sportiva) sa che non è semplice spiegarsi.
In questo caso la difficoltà di comprendere l'esecuzione dei movimenti e in generale la logica interna al trattato è ulteriormente accresciuta dai molti secoli che ci separano dal nostro Autore.
Fortunatamente sono disponibili altre fonti (per esempio altri trattati di epoche poco posteriori) che possono venire in nostro aiuto nel raggiungere un'esatta interpretazione, chiarendo alcuni aspetti e permettendo un confronto.
Ma è soprattutto con lo studio assiduo e la continua rilettura e reinterpretazione del testo alla luce dei principi schermistici e dei risultati della sperimentazione pratica in Sala d'Arme che si può sviluppare un lavoro di recupero anche del metodo di combattimento di Fiore dei Liberi e tentare di far rivivere l'arte dell'antico Maestro friulano.
 

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Flos Duellatorum - Copia Collezione "Pisani-Dossi"  

TRASCRIZIONE della parte Testuale  

(Arte della Spada)

12B (12 VERSO)

Noy semo fendenti e façemo questione
De fender gli denti cum drita raxone :
Noy del ferir non auemo tardo
E tornamo in guardia de uargo in uargo.

Noy semo colpi chiamadi li sotani,
Che sempre may cerchamo de ferir le mani;
E dal zenochio in su façemo questione
E tornando cum fendenti fazemo lexione.



13A (13 RECTO)

Noy colpi meçani andamo trauersando;
Dal zenochio in su andamo guastando;
E rebatemo le punte fora de strada
E redopiando lo colpo de ferir è derada;
E si noy del meçano colpo intramo in fendent, .
Asay cum tali colpi guastamo zent.

Ponte semo de grandissima offensione
E a tuti colpi façemo questione;
Venenose semo più che serpente
E più che tuti colpi alczidemo zente;
E noy ponte a li colpi si disemo:
Tanto no taiaret che noy cusiremo.

Per lançare de spada e trare tayo e punta
Per la guardia che io ho niente me monta.
Vegna a uno a uno chi contra uole far,
Chè cum tuti io uoio contrastar.
E chi uole uedere couerte e ferire,
Tor de spada e ligadure senza falire,
Guardi ghi mie scolari corno san fare;
Se elli non trouan contrario non àno pare.

Cum passo ò fata couerta cum mia spada
E aquella in lo peto subito t'è intrada.



13B (13 VERSO)

Per ferirte anchora cum questa mia punta
La man sinistra a la spada si ò zunta.

Aqui io t'ò ferido in la tua testa
Per la couerta ch' i' ò fata acosì presta.

Per la ma ne ch' i' ò posta sotto tuo elzo,
Si tua spada non ua in terra dime guerzo.

Per tal modo te discrouo per ferirte de punta
Per uendegarme de ti d'ogni inçuria e onta.



14A (14 RECTO)

Anchora la testa t'ò ferida sença passare
Per la bona couerta ch'i' ò sapuda fare.

Per lo modo ch'i' ò presa la tua spada
Tosto della mane te l'auerò cauada.

Cum lo mio braço stancho lo drito t'ò ligado
E de molte feride saray apresentado.

Cum la man mancha io te farò uoltare
E in quello un grande colpo ti uoio dare.



14B (14 VERSO)

Per la uolta che per tuo cubito t'ò data
Meça la gola te creço auer taiata.

Aquesto è un bon rompere de punta a terra
E uen a esser streto per tal maynera.

De mandarte in terra y'ò mio pensir:
Anche è descouerto che ti posso ferir.

O la tua spada è piegada ouero ch'è rota
E cum la mia te posso ferir de sopra e de sota.

Flos Duellatorum - Copia Collezione "Pisani-Dossi"  

TRASCRIZIONE della parte Testuale  

(Arte della Spada a due Mani)

17A (17 RECTO)

Prudentia
Meio de mi louo ceruino non uede creatura
E aquello meto sempre a sesto e mesura.

Celeritas
Yo tigro tanto son presto a corer e uoltare,
Che la sagita del cello non me pò auançare.

Audatia
Più de mi lione non porta cor ardito,
Però de bataia faço a zaschaduno inuito.

Fortitudo
Ellefant san e uno castello ho per cargho,
E non me inçenochio ni perdo uargho.

Noy semo quatro animali de tal conplesione:
Chi uole armiçar de noy faça conparatione;
E chi de nostre uertù harà bona parte
In arme hauerà honor chomo dise l'arte.



17B (17 VERSO)

Sie magistri semo l'uno da l'altro deuisati;
L'uno fa per uno modo che non fa i altri:
E zaschadum de lor ten la sua spada in posta;
Ad aquello che le son ben diremo la mostra.

Per alançare e' son ben aparichiato;
De un grande passar farò merchato.

Contra tegner de man e anchora de lançare
Cum questa guardia ben me so reparare.

Per trare più longo e per più forte passar
Contra armato in tal ato uoio star.

Contra daga e contra spada armato
E disarmato a tal modo uoio esser trouato.

Questa presa è posta de dona l'altera:
De tagli e punte se deffende per ogni mainera.

Questa spada me scusa per spada e per aza:
In arme e sença chi me pò fare me faça.



18A (18 RECTO)

Poste e guardie chiamare per nome si façemo,
E una simille cum l'altra contrarie noy semo;
E segondo che noy staxemo e semo poste,
De far l'una contra l'altra façemo le mostre.

Tuta porta de fero son la piana terena
Che tagli e punte sempre si refrena.

Io son posta de dona soprana e altera
Per far deffesa in zaschaduna mainera;
E chi contra de mi uole contrastare
Più longa spada de mi conuen trouare.

Io son posta realle de uera finestra
E de in tuta l'arte sempre io son presta.

Meçana porta de fero 'son la forte
Per dare cum punta e fendenti la morte:
E per lungeça' de spada che io me sento
Del streto çogho sempre me deffendo.



18B (18 VERSO)

Io son posta longa cum mia spada curta
Che cum inçegno la golla spesso furta.

Posta frontalle e' son chiamata corona;
De tagli e de punte a nesum non perdona.

Anchora son posta de dona contra dent de zenchiar;
Cum malicie e ingani asa' briga io ghi ò a dar.

Io son la forte posta de dent de zenchiar.
Cum tute le guardie me son uso de prouar.



19A (19 RECTO)

Io son posta breue e ò de spada lungeça;
Spesso meto punta e in lei torno in freça.

Io son la stancha posta de uera finestra;
Cussì de la drita como de questa son presta.

Posta de coda lunga son in terra destesa;
Denançi e dedredo sempre io faço offesa:
E se passo innançi e entro in lo fendent,
E' uegno al streto zogho sença faliment.

Posta de bicornio io me faço chiamar;
Si io ho falsitade asay non men domandar.



19B (19 VERSO)

Per incrosar cum ti a punta de spada
De l'altra parte la punta in lo petto t'ò fermada.

Per lo ferir che dise el magistro ch'è denançi posto,
In la golla t'ò posta la punta de la spada tosto.

Per incrosar meça spada el braço stancho te ferirò;
Perchè lo tempo si è curto ben presto io lo farò.

Per lo magistro che incrosa a meça spada,
De quello che l'à dito de quello te faço derada.



20A (20 RECTO)

Anchora per quello proprio incrosare
Tua spada per questo modo io ho a pigliare:
E de inançi che tua spada me escha de mano
De ferir te tractarò como croyo uillano.

Lo dito del magistro denançi de quello non nè questione,
Che lo zogho che luy à dito io lo faço cum rasone.

Per passar fora de strada io t'ò ben discouerto
E il braçi toy io si ferirò in lo uoltare per certo.

Lo ferire de li braçi aquello zogho te faço,
E dal zogho streto io te farò altro impazo.



20B (20 VERSO)

Quando la spada per la gamba si uolla
O fendent far per testa o tondo per la golla:
Più tosto se guastaria li braçi che la testa;
Per più curto tempo la mesura è manifesta.

Quando io me incroso cum uno e uegno al streto,
Entro li chogiuni el fiero cum lo pe drito.

A questo è de punta un crudelle schanbiar:
In l'arte più falsa punta de questa non se pò far.
Tu me trasisti de punta e questa io t'ò dada;
E più seguro se pò far schiuando la strada.

Per tuo mantigner che io in mia man tegno
Cum la punta in lo uolto io te faço segno.



21A (21 RECTO)

Rebati tua punta in terra ben subito
E per tal modo io te fiero sença dubito.

Aqui stasemo noya terra incrosadi:
A più sauer li zoghi serano donadi.

Per lo incrosar de terra che fa lo scolar
Per mia prestisia lo uolto te uegno a taiar;
E tua spada romagnerà piegada o rota
E non la porà più ourar per negota.

Del çogho ch' è denançi entro in questo:
A taiarti el uolto el faço ben presto.



21B (21 VERSO)

Per pinçer lo tuo cubito io te farò uoltar
E in quello io te ferirò sença nessum tardar.

Per la uolta che t'ò dada per lo cubito
La testa io t'ò ferida de dredo ben subito.

Mostray de uegner dal drito, in lo riuersso intray
Per darte questa punta cum dolore e guay;
Punta falssa per nome io me faço chiamar;
Cussì son crudelle che de spada punta schanbiar.

Per punta falssa che tu me uolisti ferir
Voltando mi e la spada lo contrario ò fenir;
Si che la punta t'ò posta in lo uolto
Per modo che tuto lo zogho t'ò tolto.



22A (22 RECTO)

Per modo che noy stasemo aqui incrosadi,
A più sauer e presteça li zoghi sono dadi:
Però che multi zoghi se fano per tal incrosar,
Pur li più forti contrarij noy semo per far.

Per lo mantigner tuo che in man io tegno
E' te ferirò e tua spada serà mio pegno.

Per la mia spada che à receuudo colpo
E per la presa lo pomo te fier in lo uolto.

Aquesto è un altro ferir de mio pomo,
Segondo che l'arte e magistri presti sono.



22B (22 VERSO)

Io te mando in terra a questo partito;
De meterte la spada al colo non ò falito.

In mane ho la presa che tegho ò cerchada
Per meterte in terra cum la tua spada.

Per drita couerta io t'ò cussì ben preso,
Che te mandarò in tera longo disteso.

La tua spada cum lo mio braço ò intardada,
E la punta de la mia in lo uolto t'ò ficada:
E de tor de spada io si faço contrario
E li altri zoghi striti sempre suario.



23A (23 RECTO)

Toy braçi cum lo mio stancho sono seradi
E mior zogho è armadi che disarmadi:
Anchora de tor de spada son contrafator,
Segondo che me mete el magistro Fior.

La tua spada per l'elço si ò inpresonada,
De tagli e de punte te farò grande derada:
Anche contrario son de spada de man leuar ;
Ferir io te posso e non me la po' tochar.

Per questo modo e' t'ò ben ligado,
Che in arme e sença serissi inpresonado:
Ella tua spada contra mi non ual nient;
De tor de spada faço contra certament.

Serata t'ò la mane cum mia spada
E de molte feride in la testa te farò derada:
E del meçano tor de spada faço contra;
Questa ligadura ò fata che asay monta.



23B (23 VERSO)

Questa è couerta de la riuerssa mano
Per far zoghi de fortissimo ingano.

Per la couerta de la riuerssa mano aqui t'ò aserato:
De zogho streto e de feride non sera' guardato.

Questa è una forte presa che uen de man riuerssa:
De feride tu e' fornido e la tua spada è perssa.

Soto tuo braço mia spada uolisti serar
Ello contrario te fa aqui male ariuar.



24A (24 RECTO)

Per la couerta de man drita acossì io t'ò preso:
La mia spada in tuo uolto in terra serà disteso.

Questo tor de spada è chiamato lo soprano;
Che mille uolte e più l'à fato Fior furlano.

Lo meçano tor de spada aqui io faço,
E cum mia spada o tua te farò impaço.

Aquesto è lo tor de spada de soto:
Ben lo farà chi è magistro in l'arte doto.



24B (24 VERSO)

Questa spada io la tegno per mia:
In lo uoltar e tor io te farò uilania.

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Le Armi

La Spada da Lato

La Spada di una Nuova Era
La spada da lato, arma d'elezione della prima parte del XVI secolo, è un'evoluzione dalla spada medievale, della quale conserva la caratteristica di poter ferire con i due fili o con la punta.
Fu questa la spada che portò alla vittoria o alla morte tutti i più famosi condottieri e capitani di ventura del nostro Rinascimento.

L'arma ha mediamente un peso di circa 1,2 Kg, anche se esistono esemplari che pesano più di Kg. 1,5 ed altri che non arrivano ad 1 Kg, ed anche la lunghezza era molto variabile.
L'arma è composta dalla lama, dalla guardia o elsa con fornimenti, dal manico o impugnatura e dal pomolo.

I cambiamenti rispetto ai modelli più antichi di spada sono dovuti ad una maggiore enfasi sull'uso civile rispetto all'uso militare, ma anche ai cambiamenti della tecnica schermistica, che ormai si orienta verso un modo di impugnare la spada con il dito indice che passa sopra la guardia.
Infatti un'impugnatura di questo tipo permette una maggior precisione nell'indirizzare la punta e in generale un miglior controllo dell'arma.
E' evidente, però, che il dito indice è maggiormente esposto al pericolo di essere colpito.
Quindi la spada da lato viene ad essere caratterizzata da una parte da una lama che diventa più sottile e dall'altra da un fornimento che dalla semplice guardia a croce si arricchisce gradualmente di anelli, ponticelli, e comunque di elementi a protezione del dito indice e della mano.
Questa evoluzione porterà poi alla nascita della striscia vera e propria, arma di uso solo civile, dal fornimento molto elaborato e costruita per ferire quasi esclusivamente di punta.



Sola o Accompagnata

Mentre la spada medievale veniva usata principalmente accompagnata da scudi imbracciati, dalla rotella allo scudo triangolare da cavaliere (pensato per la scherma a cavallo), dallo scudo normanno a mandorla al targone, la spada da lato può venire accompagnata da una grande varietà di armi da usarsi con la mano sinistra.
Abbiamo infatti da un lato il permanere delle tecniche che fanno uso della rotella e del targone, e quindi esclusivamente militari, e dall'altro l'uso nella mano sinistra di armi tipicamente da strada e da duello, quali la daga e la cappa, che avranno poi grande fortuna in simbiosi con la striscia da duello.

Ma la spada da lato trova il suo alleato più tipico nello scudo impugnato, che sia brocchiero grande, brocchiero piccolo o targa (di forma quadrata "ondulata", invece che rotonda come il brocchiero).
Questo tipo di scudo, fabbricato in legno o metallo, di origine antichissima (si trova per esempio raffigurato nei graffiti preistorici della Val Camonica), venne molto usato nel Medio Evo per difesa propria da corpi come gli arcieri inglesi.

Nel Rinascimento conobbe grande fortuna, perché offriva una buona protezione senza troppo ingombro (veniva appeso alla cintura), e fu molto portato da militari e mercenari fuori dal campo di battaglia, ma anche nella vita civile da privati cittadini che conducevano vita pericolosa, viaggiatori, mercati, pellegrini, e insomma da quanti non si stavano apprestando ad uno scontro in campo aperto ma dovevano essere pronti a difendersi.



Adoperare l'Arme

Tecnicamente, va rilevato come certe azioni di base della scherma moderna, soprattutto di sciabola, si ritrovino già ben sviluppate nella scherma con la spada da lato della Scuola Bolognese, come la parata e risposta, il colpo in tempo e la cavazione.

Diverso è il movimento dei piedi, circolare piuttosto che in linea (anche se questo è più evidente per le tecniche di spada con un'arma nella mano sinistra che per quelle di spada sola), e diversa è anche l'impostazione "psicologica" del combattente, che viene portato a prediligere la difesa e non l'attacco, e a pensare sempre prima alla propria sicurezza che a colpire l'avversario.

Bisogna infatti considerare che quanto veniva insegnato nelle sale d'arme si doveva poi utilizzare in situazioni di pericolo mortale, e non in gare sportive, e di conseguenza tutte le azioni sono sempre tese a minimizzare le possibilità di essere feriti, venendo escluse azioni forse efficaci ma azzardate.



Le Fonti

Per quanto riguarda le fonti dell'insegnamento tecnico, i trattati più completi ed importanti che ci sono rimasti sono appunto quelli di due bolognesi: Achille Marozzo (che imparò la sua arte da Guido Antonio di Luca, il quale fu anche maestro d'armi del famoso condottiero Giovanni dalle Bande Nere), e Antonio Manciolino, ai quali va ad aggiungersi il recente ritrovamento degli scritti di un autore anonimo bolognese.

In Italia anche altri, in seguito, insegnarono questo tipo di combattimento, anche se nella generazione successiva si avverte già l'influsso della transizione alla striscia e alla scherma solo civile, con maestri come Dalle Agocchie e Viggiani (allievi di Marozzo), Di Grassi, e, fuori d'Italia, per esempio, il francese Sainct Didier.

In Inghilterra, poi, si occuparono della spada da lato l'oscuro maestro George Silver, alla fine del XVI secolo, ed ancora a XVII secolo avanzato, quando nel resto d'Europa s'insegnava nelle sale d'armi solo la striscia, il maestro Swetnam e l'anonimo autore del trattato "Pallas Armata" ci forniscono istruzioni per l'uso della spada da lato.
Ma ormai in questo periodo si parla esclusivamente della spada sola, senza addentrarsi nelle tecniche con mano sinistra armata, ed è evidente che la scherma comincia ad essere un discorso sempre più limitato al duello tra nobili, rimanendo escluso l'uso militare e sempre più limitato quello per difesa personale in strada.




Peso: mediamente 1.2 Kg

Lunghezza: mediamente 110-115 cm

Bilanciamento: 10-15 cm sopra la guardia

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La Daga e il Pugnale



NOTE SULL'ARTE DEL MANEGGIO DELLA DAGA E DEL PUGNALE DALL'ANTICHITA' AL RINASCIMENTO

di Marco Rubboli

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 L'Età della Pietra

Nulla, purtroppo, ci è possibile dire delle epoche più antiche, per le quali ci restano solo alcuni esemplari di coltelli e pugnali.
Si può osservare, però, come da subito venga differenziato il coltello dal pugnale, anche a causa della diversità dei materiali impiegati: il coltello è un utensile destinato a tagliare, il pugnale è un'arma corta, impiegata prevalentemente di punta.
I materiali, fino all'avvento della metallurgia, sono i più diversi, anche se i coltelli tendono ad essere fatti di pietre taglienti come la selce o l'ossidiana, a volte ottenuti fissando piccoli denti di questi materiali su una base di legno.
Per quanto riguarda i pugnali i materiali sono più vari, in quanto non è indispensabile che un pugnale sia tagliente, essendo sufficiente che abbia una punta per offendere.
Richard F. Burton per esempio riferisce di pugnali d'osso usati dai popoli nativi messicani, ma anche di un'antica daga irlandese (scyan) in osso e, per quanto riguarda le armi in corno, 6 pugnali in questo materiale ( e uno in pietra con manico in corno) ritrovati nelle vicinanze di Labach, sulle Alpi orientali.
Molto interessante è il coltello detto di Gebel-el-Arak, oggetto dell'Egitto predinastico, con lama in selce e impugnatura in avorio sulla quale sono scolpite scene di combattimento tra guerrieri armati di asce, mazze e coltelli, con diverse prese e azioni di lotta.

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L'Età dei Metalli

Una volta appreso a far uso dei metalli, coltelli e pugnali verranno fatto solo in questi materiali, prima in rame, poi in bronzo, per passare infine al ferro e all'acciaio.
Per quanto riguarda l'uso, sempre nella valle del Nilo, esiste un'interessante raffigurazione (ben più tarda del coltello di Gebel-el-Arak) che rappresenta un gruppo di cinque egiziani che si esercitano al lancio del pugnale, tenendo l'arma per l'impugnatura, caricando all'indietro (tenendo l'arma più in alto della testa) e scagliandola contro bersagli disposti orizzontalmente al suolo (io stesso ho sperimentato questo metodo di lancio del pugnale, e posso confermarne l'efficacia).
 
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 Il Periodo Romano

In età romana si trovano principalmente tre tipi di lame corte: il parazonium, a forma di triangolo isoscele, simile ai più antichi modelli in bronzo, la sica (da cui il nostro termine sicario), stretta e appuntita, usata in ambito civile per attentati o per difesa personale, e un terzo tipo di pugnale definito genericamente pugio, usato nell'esercito dai legionari.
In ambito militare il pugnale non è comunque molto usato, e si può ritenere che non facesse parte dell'equipaggiamento vero e proprio.
Il suo uso si diffonde a partire da quando viene adottata la lunga spada gallica, arma prevalentemente da taglio, in sostituzione della precedente spada corta di tipo ellenico, e torna ad essere più circoscritto dopo le guerre puniche, con l'adozione del gladius corto, a doppio taglio e punta acuminata, che fa sentire meno il bisogno di avere un pugnale al fianco come arma secondaria.
Dopo il I secolo a.C. è possibile che il pugio sia diventato un'arma standard per alcuni reparti, o per i militari con determinate funzioni.
L'impugnatura del pugio è dotata di avvallamenti atti a facilitare la presa delle dita, e la forma può variare, come la lunghezza e la larghezza della lama.
Viene portato al fianco sinistro se la spada è tenuta a destra, altrimenti può venir infilato nello schiniere.
L'uso civile del pugnale, e particolarmente della sica è più diffuso (ricordiamo ad esempio l'uccisione di Cesare), anche perchè sappiamo dal Satiricon di Petronio Arbitro (Libro XVI) che era proibito per i civili portare la spada, per lo meno in città e in età imperiale.

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L'Alto Medioevo

Con la caduta dell'Impero si verifica anche una rapida decadenza dei pugnali, sostituiti da coltelli come lo scramasax germanico, un coltello a lama singola lunga almeno 10 cm., appuntito, usato sia come utensile e coltello da caccia sia per difesa dal V al X secolo.
In questo periodo non c'è un confine netto tra lo scramasax e le spade ad un solo filo chiamate sax o sax lungo.
Un altro coltello dei "secoli oscuri" è il seax, sempre a lama singola, a volte col bordo posteriore appuntito (secoli X e XI), spesso troppo corto per essere usato per difesa, soprattutto in un' epoca in cui viaggiare armati era normale.
 
   
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 Il Basso Medioevo

Col XIII e soprattutto col XIV secolo inizia una rinascita dei pugnali, e in primo luogo di pugnali a lama stretta, usati per penetrare le maglie della cotta di ferro, o comunque l'armamento difensivo dell'avversario.

Bisogna però aspettare fino al XV secolo per poter avere un'idea più precisa di quale fosse l'antica arte del pugnale e della daga in Europa.
In Germania troviamo il trattatello del maestro Martin Hundsfeld "Das Fechten mit dem Degem", e il trattato di Hans Talhoffer "Fechtbuch aus dem Jahre 1442", dove si trova - ci riferisce il Novati, una "ricca e variata serie di giuochi".

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Fiore dei Liberi

Ma è proprio in Italia che troviamo, nel 1410, il trattato di Maestro Fiore dei Liberi da Premariacco, il "Fior di Battaglia" o "Flos duellatorum in armis, sine armis, equester, pedester", che ci fornisce un'interessante quanto efficace serie di tecniche per il combattimento con la daga o il pugnale.
Il trattato fu scritto all'inizio del XV secolo, ma riflette sicuramente un tipo di scherma risalente al secolo precedente, a causa dell'età ormai avanzata dell'autore al momento della stesura del trattato.
Inoltre anche l'armamento usato, dalle armature alla daga con fornimento "a rondelle", è caratteristico più del Trecento che del Quattrocento.
Dopo aver trattato della lotta tra avversari disarmati, Fiore dei Liberi passa ad illustrare l'arte del combattimento tra un uomo disarmato e uno armato di daga, preceduta da quattro figure introduttive, illustrando un totale di ben 59 fra tecniche e controtecniche.
Seguono 11 tecniche in cui entrambi i combattenti sono armati di daga, e poi ancora 7 con un contendente disarmato contro uno armato di daga.
Alla fine del trattato si trovano ancora una figura introduttiva e 8 tecniche che trattano della daga, questa volta però contrapposta alla spada.
Di solito, anche se non sempre, la daga è tenuta con un'impugnatura "a martello", e le tecniche sono spesso basate sulla lotta, con prese, chiavi articolari ecc...
Manca invece totalmente una posizione di guardia iniziale.
L'impugnatura "a martello" è una posizione più adatta a sferrare colpi in grado di trapassare un'armatura di qualche tipo, anche se i contendenti vengono rappresentati senza armatura, ma è anche atta a finire rapidamente un avversario che non si aspetta di essere attaccato.
Infatti un colpo sferrato dall'alto in basso nell'incavo tra il collo e la clavicola risulta ben spesso mortale.
Se nel trattato (cosa che possiamo soltanto supporre) si prende in considerazione un attacco con la daga portato di sorpresa da un sicario, si spiegherebbe anche perchè manca una posizione di guardia definita, in quanto la risposta dovrebbe essere immediata, partendo da una qualsiasi posizione di riposo.
 
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 Filippo Vadi

Il trattato italiano successivo disponibile è quello di Filippo Vadi "De arte gladiatoria dimicandi", scritto tra il 1482 e il 1487.
In questo trattato l'arte della daga si trova alla fine, ed ha inizio con 2 tecniche di disarmato contro armato di daga, seguono 8 tecniche di daga contro daga, una di disarmato contro daga, 2 di daga contro daga ed ancora 22 di disarmato contro daga.
Troviamo poi la forma e le misure che deve avere la daga e, dopo alcune tecniche che non riguardano la daga, 8 tecniche rappresentate in due tempi, prima e dopo l'azione, di cui 2 di daga contro daga, una di daga contro spada e le altre 5 che riguardano il combattimento senza armi contro un avversario armato di daga.
L'arte della daga insegnata dal Vadi è estremamente simile a quella insegnata più di settanta anni prima da maestro Fiore, con tecniche assimilabili quando non addirittura identiche.
Si può notare dunque come ben poco sia cambiato tra i due autori e le due epoche in questione.
L'unica vera differenza che si riesce a notare è come, nel combattimento di daga contro daga si trovi più spesso nel Vadi una presa non "a martello" ma "a cacciavite".

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Achille Marozzo

Nel XVI secolo, con il Rinascimento, cambiano la forma e lo stile dei trattati di scherma, ma nel testo del bolognese Achille Marozzo "Opera nova chiamata duello..." troviamo, relegate ormai alla fine del trattato e isolate dal resto, 19 prese di daga, tecniche di difesa per un disarmato contro un armato di daga, pressoché identiche alle tecniche del Fiore.
La novità è rappresentata da due brevi sequenze didattiche per il combattimento che nel libro secondo, seguendo l'impostazione del resto del trattato ed usando le stesse guardie della spada, trattano del combattimento con il pugnale, e con pugnale e cappa.
Si noti che la situazione presa in esame in queste sequenze didattiche è diversa da quella delle prese di daga, in quanto qui si trattra di un duello vero e proprio, sia pure con arma corta.
Nella sequenza di pugnale la guardia di partenza è con la gamba destra avanzata, il corpo piuttosto profilato, l'arma tenuta con impugnatura "a cacciavite", l'altra mano non viene usata per parare i colpi fermando il braccio dell'avversario, ma tenuta indietro, appoggiata al fianco sinistro, e scatta in avanti per andare alle prese.
Per avanzare di solito si porta avanti il piede sinistro, ma si utilizza anche il passeggio schermistico adottato universalmente nei secoli successivi (con la gamba destra sempre avanzata).
Nell'assalto di pugnale e cappa si sta più frontali, le guardie usate sono più spesso con la gamba destra avanzata, ma anche a volte con la sinistra, e la cappa viene usata per parare i colpi e per bloccare il braccio armato del nemico.
Tutte le guardie utilizzate per questi assalti sono adattate da quelle di spada, e la derivazione dalla spada può essere forse il limite del metodo di Marozzo, in quanto trasferire tecniche e metodi da un'arma all'altra a volte può andare a scapito dell'efficacia.
Nonostante questo, l'adattamento fatto dal maestro rinascimentale bolognese è fatto con criterio e buon senso: per esempio i colpi di taglio sono limitati ad alcune zone vulnerabili (la mano, il braccio armato, il viso e la gola), mentre il corpo è un bersaglio solo per le più letali punte.

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Tamburo basso
o dei Lanzichenecchi

Il tamburo dei Lanzichenecchi, denominato "TIEFE RUHRTROMMEL", nel Rinascimento poteva essere di legno o di metallo, veniva colpito sulla pelle superiore con due bacchette di legno e aveva nella membrana inferiore una sola corda. Dalla testimonianza del dipinto "I tre Soldati" di Pieter Bruegel il Vecchio e da uno scritto di T. Arbeau del 1589 sembrava avere le dimensioni di circa 70-80 cm. di altezza per ugual diametro. Le due pelli, anticamente di capretto o cane, erano arrotolate sopra di un cerchio di legno o metallo poste alle estremità di un cilindro e tese mediante controcerchi esterni. Questi erano legati tra loro con una cordicella a V e la tensione era controllata con lacci di cuoio inseriti tra ogni V.
Lo strumento moderno è di 40-50 cm. di diametro e sempre di 70-80 cm. di altezza. Le pelli di vitello sono tese mediante blocchi di metallo e viti tiranti. Sotto la membrana inferiore ci sono 4-5 corde di minugia tese con uno speciale meccanismo. Sul fusto sono disposti alcuni piedini per regolarne l’altezza in orchestra. La sonorità forte e cupa è dovuta alla grande distanza tra le membrane.

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La spada

La grande spada a due mani era un’arma affidata ad uomini di grande valore, prestanza fisica, i quali, pesantemente corazzati, assomigliavano più agli uomini d’arme del primo quarto del XV° secolo.
Con gli spadoni rompevano le lunghe picche della formazione avversaria permettendo così ai loro compagni armati d’alabarda, o stocco, di incunearsi nelle formazioni avversarie al fine di aprire varchi utilizzati dalla cavalleria.
La spada era costituita da una lama larga a due fili con punta acuminata, pomolo e guardia estremamente semplici, questo tipo era detta da botta e stocco.
Nella prima metà del XVI° secolo è stata introdotta la lama dritta, a punta smussata, lunga 80 cm. circa, questa spada era detta KATZBALGER.

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ERA DIFFICILE SE NON IMPOSSIBILE INCONTRARE UN SOLDATO ARMATO CON LA SOLA SPADA A DUE MANI.
I VOSTRI PG ARMATI DI SPADONI NON SAREBBERO TATTICAMENTE CORRETTI SE USASSERO SEMPRE E SOLO QUELLI


L’alabarda arma regina dei Lanzi

A differenza degli svizzeri, i Lanzichenecchi usavano, nei combattimenti, l’alabarda anziché la picca che, in mano ad un soldato ben addestrato, era veramente un’arma terribile.
Costituita da un manico di legno, dalla lunghezza variabile tra i 120 e 180 cm, sulla cui sommità era infissa una lama tagliente simile ad una scure e dotata di una punta superiore e di un uncino collocato nella parte posteriore.
Differentemente dalla ingombrante picca svizzera, essa poteva essere usata sia come stocco (perforante) sia come botta (tagliante – fratturante) o strappante, era usata sia per il combattimento tra fanti che tra fanti e cavalieri.


Le tattiche di combattimento

L’adozione d’armi diverse, comportava anche l’impiego di "nuove" tattiche ed i Lanzichenecchi, in questo, furono maestri. Riscoprono l’ordinamento compatto, forte ma estremamente agile, manovriero e tipico delle antiche legioni imperiali romane, dividendo l’armata in formazioni più piccole, anch’esse agili e manovriere, composte da compagnie d’uomini ben affiatati.
Il comando di queste formazioni era affidato alla nuova figura dell’Ufficiale subalterno ed ai suoi sottoposti, proprio come il centurione romano e l’optio di 1500 anni prima.
Questi ufficiali subalterni garantiranno per lunghi secoli la continuità della linea di comando anche in situazioni critiche esprimendo con direttive personali, ma rispettose della strategia del comandante supremo, la necessaria flessibilità tattica sul campo come ottimale risposta alle necessità tattiche locali.
Dopo 15 secoli la legione romana torna sui campi di battaglia grazie alle sue tattiche e servizi logistici sempre attuali. In questo contesto la cavalleria vede un pesante ridimensionamento dovuto in primo luogo alle innovative tattiche della fanteria ed in secondo luogo all’introduzione delle armi da fuoco portatili, efficaci, leggere e meno costose, quali l’archibugio ed il moschetto.
Il cavaliere si deve corazzare sempre più pesantemente e con lui anche il destriero riducendo così la velocità d’azione e limitandola solamente ad azioni aggiranti o di locale sfondamento delle linee avversarie.
Il rinascimento, pertanto, grazie a Massimiliano I° ed ai suoi Lanzichenecchi, segna la rinascita di un esercito stabile e professionale. Le guerre non saranno più le stesse: ordine, disciplina e flessibilità tattica consentiranno anche a formazioni relativamente piccole di riportare grandi successi strategici ed in battaglia.
Nomi come Giovanni dalle Bande Nere o Giovanni L’Acuto, nome italianizzato di John Awhkeye mercenario inglese che stabilitosi in Italia fondò la "compagnia bianca", evocano ancor oggi nella mente di storici e non, gloriose gesta consegnando i loro nomi alla storia.


L'abbigliamento dei Lanzichenecchi

L’abbigliamento del soldato di quell’epoca seguiva un po’ la moda civile: calzoni di lana o pelle estremamente aderenti, quasi come calzamaglie, sopra i quali venivano indossate brache cortissime lunghe al massimo fino al ginocchio e contraddistinte da ampi spacchi, sbuffi e fiocchi al pari del corsetto, quasi sempre in cuoio tinto in vari colori e, nel caso del soldato, imbottito di crine di cavallo o feltro pressato a protezione parziale dei colpi di fendente.
Una protezione più efficace era costituita dalla "panziera" che lo proteggeva solo nella parte anteriore, mentre la schiena era protetta da un corsetto di cuoio bollito (questa strana protezione era dettata dal fattore risparmio sul costo e dal minor peso).
La parte superiore della gamba era raramente protetta da lamine metalliche sovrapposte, un po’ come il guscio di un gambero, mentre il capo era protetto, se così si può dire, da un cappello di pesante feltro rinforzato con strisce metalliche all’interno. Tale abbigliamento distingueva i Lanzi dagli italiani i quali adottavano una protezione più leggera per il corpo, mentre per il capo non mancava mai l’eccellente protezione metallica della barbuta fiorentina.

SPERO DI AVERVI DATO QUALCOSA DI BUONO SU CUI BASARE I VOSTRI PG DI "FORZA" SIANO ESSI DA LIVE O CARTACEI

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MessaggioInviato: mer nov 17, 2004 21:47 
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Il materiale è ottimo Nosfy!  :wink:

[OT]
Un consiglio per il futuro... spezza i post lunghi in post + corti, guadagni lettori e leggibilità.
I primi perchè molti si scoraggiano, la seconda perchè è più facile interrompere e ritrovare il punto in cui ci si era fermati.
Alla prossima!!!  :d
[/OT]

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Siamo simili in molti modi, tu ed io. C'è qualcosa di oscuro in noi. Oscurità, dolore, morte. Irradiano da noi. Se mai amerai una donna, Rand, lasciala e permettile di trovare un altro uomo. Sarà il più bel regalo che potrai farle.
Che la pace favorisca la tua spada. Tai'shar Manetheren!


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Grande Nosfy! Continua così!!
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"[...]vedete dei marinai che stanno scaricando delle tasse..."
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vi ringrazio messeri

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MessaggioInviato: ven nov 19, 2004 15:33 
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1  Introduzione
Anteprima della sezione

Guerra Conflitto armato che oppone, in combattimenti di vasta portata, più stati o più popoli. Alla base di una guerra vi possono essere motivazioni diverse, di solito dipendenti da più fattori (economici, politici, religiosi ecc.) spesso inestricabilmente intrecciati. Molti conflitti, anche in epoca contemporanea (come ad esempio nel Ruanda e nella Iugoslavia), si sono sviluppati anche a causa di contrasti etnici e razziali. Nel caso in cui il conflitto esplode tra gruppi compresi in una stessa nazione o in uno stesso stato, si parla di “guerra civile”.

Nella storia dell’umanità, la guerra ha fatto ben presto la sua comparsa, accompagnando le vicende di gran parte delle società e degli stati. La strategia militare (dal modo di armarsi a quello di condurre una battaglia) nel corso dei secoli ha subito un’enorme evoluzione, determinata dagli sviluppi tecnologici e scientifici, nonché da quelli politici, sociali e culturali. Dall’epoca medievale, l’attività bellica è stata progressivamente regolata, dando vita, nel tempo, a una normativa che oggi costituisce la base di numerosi trattati e di un diritto internazionale.

A partire dall’antichità, l’uomo ha affrontato l’argomento della guerra in migliaia di opere letterarie, teatrali, pittoriche, musicali ecc. Da un punto di vista politico-filosofico, la guerra può essere considerata come il tentativo e la tecnica di soluzione dei conflitti che la politica (e quindi il dialogo, la mediazione, la diplomazia) non è riuscita a comporre; se da una parte è quindi l’antitesi della politica, dall’altra è – come suggerisce Karl von Clausewitz – la sua “continuazione ... con altri mezzi”.

2  Dall'antichità al medioevo
Anteprima della sezione

Nelle prime fasi della storia dell’uomo, le guerre si manifestarono tra gruppi sociali che perseguivano obiettivi diversi e contrastanti, di norma legati al territorio e alle sue risorse; condotte con strumenti e strategie primordiali, erano essenzialmente mirate a scacciare il gruppo rivale dal territorio conteso e a stabilirvi il controllo. Un importante cambiamento nel modo di attrezzarsi alla guerra e nella definizione degli obiettivi si ebbe con l’apparizione delle città-stato. A partire dal medioevo si fece strada la riflessione sulla legittimità della guerra.

Continua la lettura dell'articolo

 

2.1  Comparsa degli eserciti

I primi eserciti della storia comparvero in Medio Oriente, nella cosiddetta “mezzaluna fertile” (la regione che si estende dal Golfo Persico al Mediterraneo), nel IV millennio a.C. I più potenti eserciti del vicino oriente furono quello assiro e successivamente quello persiano. Entrambi schieravano in campo cavalieri, fanti e arcieri. L’introduzione del carro da guerra nel 1800 a.C. condusse a una rivoluzione nell’arte militare. Le città-stato greche utilizzavano una fanteria dotata di armamento pesante (scudo, lancia, spada) e organizzata in schiere serrate, le falangi, efficaci nell'urto frontale ma difficili da manovrare. Alessandro Magno impiegò le falangi, la fanteria leggera e la cavalleria in una potente forza d'attacco e nel giro di pochi anni distrusse l'esercito persiano, creando il più grande impero fino allora esistito.

I romani superarono largamente i loro predecessori nell’arte della guerra. I fanti delle legioni dell'impero romano disponevano di un armamento ridotto (scudo, gladio, giavellotto) ed erano suddivisi in tre schiere (hastati, principes, triarii) dai compiti diversi (primo assalto, sostegno, rinforzo). Perfettamente addestrate, disciplinate e in grado di compiere lunghe marce di trasferimento, le legioni romane estesero il dominio di Roma sull'Europa e sul bacino del Mediterraneo, conservandolo fino al V secolo d.C., quando l’impero romano d’Occidente cedette sotto l'urto di successive invasioni barbariche.

L'Europa fu in parte riunificata solo nell'VIII secolo d.C. sotto l'impero carolingio. Risale a quel periodo l'adozione delle staffe, che consentivano ai guerrieri di brandire più saldamente spada e lancia contro il nemico. Dalla caduta dell’impero romano, anche l’arte militare aveva subito una battuta d’arresto, mentre in Oriente i bizantini avevano sviluppato sofisticate tattiche e sperimentato efficacemente l’impiego di arcieri a cavallo.

Nel Medioevo, la fanteria subì il predominio della cavalleria, la cui capacità offensiva venne tuttavia presto contenuta dall’introduzione di nuove armi. Durante la guerra dei Cent'anni (1337-1453) gli inglesi impiegarono infatti con successo l’arco lungo e nello stesso periodo la fanteria leggera venne munita di balestre, meno rapide degli archi ma più potenti e con una gittata maggiore.

2.2  La “guerra giusta”

Nella Grecia antica e nell’impero romano prevaleva l’idea che fosse compito dei popoli evoluti sottomettere, con ogni mezzo, i popoli barbari, considerati inferiori. In questa visione il nemico era privo di ogni diritto; i popoli vinti potevano legittimamente essere spogliati di tutto e asserviti.

Nei secoli successivi si sviluppò una profonda riflessione etica e filosofica sulla liceità della guerra, soprattutto tra ebrei e cristiani. Per molto tempo, questi ultimi considerarono illecita la guerra, poiché contraria al principio dell’amore universale tra gli uomini. In seguito, prima con Agostino e poi con Tommaso d’Aquino, in ambito cristiano si precisò invece la distinzione tra guerra illecita e “guerra giusta”; questa rispondeva a precise condizioni: essa non solo doveva rispondere a una “giusta causa” ed essere guidata dalle “giuste intenzioni” di imporre ordine e giustizia (e quindi non motivata da scopi economici o di dominio politico), ma doveva anche essere promossa da un’autorità sovrana riconosciuta (“giusto titolo”).

Nel Medioevo venne introdotta una distinzione tra conflitti armati “privati”, combattuti ad esempio tra feudatari, e guerre tra stati. Sotto l’influenza della Chiesa, venne elaborato un codice di cavalleria rivolto soprattutto a tutelare la popolazione civile e a garantire i diritti dei vinti. Queste regole non si applicavano di solito agli “infedeli”, contro i quali vennero lanciate diverse crociate. Dal XIV secolo, le regole in precedenza stabilite vennero travolte dalla comparsa nei conflitti di altri protagonisti, i condottieri e le compagnie di ventura, che ignoravano i codici della cavalleria; peraltro, la distinzione tra soldati e popolazione civile venne resa molto ardua dall’esplosione di violentissime guerre di religione.

3  Verso la guerra moderna
Anteprima della sezione

L’introduzione di nuove tecnologie e di nuove strategie militari coincise con un’evoluzione del concetto di guerra, ormai considerata come un atto politico rispondente a una logica di relazioni internazionali basata sulla potenza e sull’equilibrio.

3.1  Sviluppo degli eserciti e delle strategie militari

Ancora più decisiva per il ridimensionamento del ruolo dei soldati a cavallo fu l'introduzione della polvere da sparo, utilizzata prima con le armi pesanti – bombarde e cannoni – e in seguito con le armi portatili a canna liscia e ad avancarica, come gli archibugi nel XV secolo e in quello successivo i più veloci ed efficaci moschetti, che resero definitivamente obsolete le balestre.

Insieme alla polvere da sparo, nel XVI secolo andò diffondendosi fra gli stati europei il ricorso alle truppe mercenarie. Spesso ben organizzate e armate, queste non erano tuttavia vincolate al committente se non da un patto economico e risultavano così poco affidabili; assoldate peraltro con contratti per lo più di breve durata, non consentivano campagne militari prolungate.

3.2  La rivoluzione di Gustavo II Adolfo di Svezia

Durante la guerra dei Trent'anni (1618-1648), Gustavo II Adolfo di Svezia rivoluzionò le tecniche belliche dividendo la sua fanteria in unità minori, disposte su linee parallele, in grado di generare un fuoco ininterrotto, grazie all’utilizzo di armi più moderne che permettevano una cadenza di tiro più elevata e al rapido avvicendamento delle linee di moschettieri. Questa tecnica di combattimento necessitava di un buon addestramento; essa imponeva ai soldati di marciare al passo, ordinatamente, e di caricare e fare fuoco a comando. Venivano ancora utilizzati i soldati mercenari, ingaggiati però per periodi più lunghi e sottoposti a una severa disciplina per scoraggiare le diserzioni.

3.3  Il predominio della Prussia

Nel XVIII secolo la potenza di fuoco della fanteria fu accresciuta da ulteriori innovazioni, come la definitiva diffusione del meccanismo a pietra focaia e l'introduzione della cartuccia, che riuniva polvere di lancio e innesco.

Nella guerra dei Sette anni (1756-1763) la fanteria prussiana di Federico II, disciplinata ed efficiente grazie al ferreo addestramento, dominò i campi di battaglia contro nemici numericamente superiori.

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MessaggioInviato: lun nov 22, 2004 17:06 
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Artiglio Nero
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ho finalmente letto tutto anche i post precendenti..  :d
complimentoni...  :d  :d

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Le fanterie comunali si svilupparono ed ebbero importanza là dove, in opposizione al regime feudale, fiorirono le libere comunità, quindi particolarmente nell'Italia centro- settentrionale e nelle Fiandre.
In Italia queste fanterie erano organizzate in società o compagnie che corrispondevano ai quartieri della città. Tutti i cittadini erano descritti e in pratica inseriti nell'elenco di coloro che dovevano prendere parte alle azioni militari, a Savona era fra i 18 e i 70 anni. I descritti erano obbligati ad esercitarsi con le armi in determinati giorni. A differenza delle fanterie feudali queste erano non soltanto più addestrate, ma presentavano anche un elevato spirito di corpo.
Le città italiane avevano i propri sistemi amministrativi ed erano in realtà città- repubbliche nelle quali il patriottismo locale era molto sviluppato. Le città erano inoltre ricche grazie al fiorire del commercio e delle industrie e le fanterie potevano così essere ben armate. Il sentimento d'unità nell'ambito di ciascuna città creava la necessaria solidarietà fra i soldati.
Le fanterie comunali italiane fiorirono tra il XI e il XIII secolo. Grazie alla coesione, all'addestramento e all'abilità tattica, riuscirono a contrastare efficacemente ed anche a battere la cavalleria pesante.

SUDDIVISIONE TATTICA DELLE FANTERIE

Le fanterie possono essere distinte in fanteria pesante e fanteria leggera in base al tipo d'armamento e di tattica di cui facevano uso.
Le caratteristiche fondamentali della fanteria pesante sono l'armamento uniforme, l'uso della picca, lo schieramento in formazione, il combattimento in ordine chiuso, la possibilità di resistere ad una carica di cavalleria in campo aperto.
Condizioni essenziali per l'utilizzo di questa fanteria sono : la possibilità di effettuare lo schieramento e cioè disponibilità di un terreno non accidentato o rotto, sufficientemente ampio, addestramento che consenta agli uomini la manovra d'insieme o per lo meno il mantenimento di una posizione ben definita rispetto a quella dei compagni nell'approccio al combattimento e durante il combattimento stesso.
La fanteria leggera era dotata d'armamento non uniforme, combatteva in ordine sparso, aveva scarso addestramento, non era in grado di resistere ad una carica di cavalleria. Fanno eccezione i tiratori, di solito professionisti mercenari, sia per quanto riguarda l'armamento, uniforme, sia per l'addestramento.

ARMAMENTO DELLE FANTERIE E MODO DI COMBATTERE

Anche per l'armamento dobbiamo tenere presente la distinzione fondamentale tra fanteria pesante e fanteria leggera.
La fanteria pesante si costituiva in corpi armati uniformemente, l'arma tipica di questa fanteria era la picca lunga (3 mt), per la fanteria pesante era essenziale mantenere l'ordine chiuso in ogni fase del combattimento, attacco, difesa, eventuale ritirata, nell'ordine chiuso risiedeva la sua forza e il suo grande valore tattico.
Il compito della fanteria di linea non era tanto in genere quello di manovrare, quanto di resistere sul posto se sottoposta ad una carica di cavalleria o, meno frequentemente, a quella d'altri picchieri, e di caricare a massa quando doveva cercare di rompere un analogo schieramento di fanti.
Per le fanterie comunali italiane questo compito di resistenza sul posto era spesso condizionato dalla presenza del >pavese<. Lo schieramento dei picchieri che doveva sostenere una carica vedeva nelle prime file gli uomini che, piegato il ginocchio destro, fissavano il calzo della picca a terra contro il piede sinistro e ne indirizzavano con la mano destra la punta verso il petto del cavallo o del cavaliere avversario. Con la mano sinistra si proteggevano con un pesante scudo "IL PAVESE" che, poggiato a terra, copriva tutta la persona. Esistevano anche specialisti "I PAVESARI" che imbracciavano solo il pavese con il compito di coprire il picchiere o il balestriere. Se era utilizzato il pavesarlo, il picchiere aveva la possibilità di impugnare la picca con le due mani invece che con la sola destra.
Lo schieramento per la battaglia poteva avvenire disponendo le truppe dei due eserciti:
1. In linea su fronti paralleli secondo quello che potremo definire il metodo classico, con un centro, un'ala destra e un'ala sinistra.
2. In profondità, incolonnando le truppe, suddivise in più corpi, generalmente tre, secondo un asse longitudinale rispetto al fronte del combattimento.
Sia nel caso 1° sia nel caso 2° per ogni corpo le truppe erano schierate in questa successione : FANTERIA DI LINEA, TIRATORI (arcieri, balestrieri), CAVALLERIA PESANTE.
I tiratori erano spesso collocati anche avanti allo schieramento e iniziavano il combattimento cercando di provocare il maggior danno possibile.
Principio tattico che collega questi schieramenti è quello di scompaginare in anteprima la fanteria dell'avversario, togliendo così alla sua cavalleria un prezioso e insostituibile supporto, i tiratori contribuivano con il tiro al di sopra della propria fanteria a danneggiare quella avversaria prima dell'attacco o mentre questa era impegnata.
Nel caso 2° i tre corpi agivano in successione : il secondo aveva azione di sostegno, il terzo di riserva.
L'insieme dei picchieri era ordinato su più righe a formare un rettangolo o un cuneo, quest'ultima formazione, adatta esclusivamente per l'attacco, dava maggiori possibilità di effettuare lo sfondamento ma richiedeva picchieri particolarmente addestrati, con questo sistema, una volta cominciata la penetrazione, la compagine dei picchieri avversari, sottoposta ad azioni laterali cui non poteva più opporre uno schieramento efficace, si disgregava.
I picchieri potevano assumere anche uno schieramento a cerchio che consentiva di resistere alle cariche di cavalleria evitando di essere presi alle spalle, all'interno del cerchio i picchieri potevano ospitare la propria cavalleria per farle riprendere fiato tra una carica e l'altra, per rompere il cerchio l'avversario utilizzava fanti armati con armi in asta diverse dalle picche, per ovviare a quest'azione avversaria erano intercalati tra le righe fanti con armi in asta più corte delle picche, più adatte alla mischia poiché la picca, data la sua lunghezza diventava inutile.
La fanteria leggera, armata in modo vario e priva della possibilità di resistere all'urto sia della cavalleria pesante sia della fanteria di linea, trovava limitato impiego sul campo di battaglia, ed era utilizzata in operazioni belliche che richiedevano formazioni aperte e il combattimento individuale, per il fante che combatteva nella fanteria leggera aveva molto più importanza il valore individuale e l'azione isolata.
La fanteria leggera comprendeva : - TIRATORI ( arcieri, balestrieri e poi archibugieri e moschettieri) - ARMATI CON ARMI DIVERSE dalla picca più adatta al combattimento individuale e alla mischia, armi quindi con asta più corta della picca lunga e ferro più sviluppato. L'azione di questa fanteria poteva avvenire in battaglia e non.

IN BATTAGLIA :

TIRATORI , arcieri e balestrieri che erano collocati : - dietro la fanteria di linea per colpire gli avversari tirando sopra la propria fanteria (Bouvines 1214) - innanzi a tutti per aprire il combattimento arrecare il maggior danno possibile, cercando di scompaginare il fronte avversario (attaccante o da attaccare) e poi ritirarsi per lo più sul retro (Crecy 1346).
ARMATI CON ARMI IN ASTA, - una parte poteva essere mescolata alla fanteria pesante a sostegno delle picche (Bouvines 1214, Courtrai 1302) - una parte poteva essere mescolata ai tiratori per aprire il combattimento - una parte poteva essere collocata sul retro dello schieramento con il compito di guardare i bagagli, i prigionieri e di intervenire per sfruttare la vittoria (Azincourt 1415).

NON IN BATTAGLIA :

Quando un esercito era in guerra, anche se non s'incontrava con l'avversario per <fare giornata> e vale a dire per fare battaglia, era in ogni modo coinvolto in una serie d'operazioni che a seconda dei luoghi e dei tempi richiedevano specifiche azioni tattiche, utilizzando elementi dotati d'abilità individuale senza particolare addestramento alle azioni di gruppo, ma sufficientemente abili nel maneggio dell'arma preferita, in genere un'arma in asta o arco o balestra.
Le operazioni più ricorrenti consistevano in : OPERAZIONI D'ASSEDIO, assalti alle mura, forzamento o difese delle brecce, sortite, trinceramenti di blocco, intercettazione dei soccorsi ecc.
OPERAZIONI DI GUASTO, molto usate nel medioevo ed erano più micidiali e dannose di una vera battaglia, coinvolgendo la popolazione e ogni sua risorsa, comprendevano, distruzione di raccolti e fonti d'approvvigionamento, distruzione di ponti, acquedotti e mulini, abbattimento d'opere di difesa.
OPERAZIONI VARIE, ricerca e avvistamento, presidio di postazioni, rocche, città conquistate o da difendere, imboscate, scaramucce, scorta delle salmerie e del bagaglio, scorta di comandanti, ambasciatori, personaggi importanti.

ARMI IN ASTA

· Ascia da fante
· Berdica
· Coltello inastato e da breccia
· Falce da guerra
· Falcione
· Forca da guerra
· Grande ascia
· Picca
· Picca lunga
· Roncola da guerra
· Ronca
· Spiedo da guerra
· Quadrellone

PROTEZIONI PERSONALI

· Cervelliera
· Cappello di ferro
· Casacca imbottita
· Giaco in maglia di ferro, corto
· Corpetto di cuoio
· Guanti in maglia di ferro
· Scudo di derivazione normanna, appuntito alla base e dritto in cima, alto 1,50 m
· Scudo tavolaccio, di forma rettangolare, alto 1,30 m
· Scudo boccoliere, piccolo scudo rotondo da impugnare

ARMI OFFENSIVE

· Coltellaccio
· Ascia da una mano
· Baculum, asta di legno con applicate punte metalliche acuminate
· Spada, misura dai 90 ai 100 cm e pesa dai 1300 a 1900 gr la lama a fili paralleli e larga sotto l'elsa circa 6/8 cm ed è attraversata longitudinalmente, nella parte più spessa, da una scanalatura centrale, la sua estremità non termina a punta ma ad ogiva, poiché in questo periodo non è utilizzata di punta bensì di taglio, il pomo, in Italia, ha la forma di spicchio d'arancio con la parte concava in basso e la parte convessa verso l'alto, o di forma circolare, come si può vedere nelle miniature della "bibbia maciejowski" 1250 circa, l'elsa è una piccola barra metallica diritta o leggermente incurvata verso la punta, l'impugnatura di legno, di corno o d'osso, ricoperta di cuoio per una presa migliore.
· Utensili da taglio di derivazione contadina
· Frombola
· Fustibale
· Mazza d'arme all'italiana

UTILIZZO SPECIFICO DI ARMI IN ASTA

· Per tagliare le picche lunghe : falcione, coltello da breccia, ronca, roncola da guerra
· Per deviare le picche lunghe e trattenere gli uomini : forca da guerra
· Per fermare i cavalli : picca lunga
· Per sgarrettare i cavalli : ronca, roncola da guerra, falce da guerra
· Per disarcionare : falcione, ronca
· Per disarcionare agganciando o strappando : grappino
· Per sferrare un forte fendente di taglio : berdica, falcione, grande ascia, coltello da breccia, ascia da fante, ronca, roncola da guerra, falce da guerra
· Per sferrare un forte fendente fratturante : ronca, ascia da fante
· Per alzare le scale d'assedio : forca da guerra
· Per guardie di palazzo: coltello da breccia, falcione

Bibliografia:
LE ARMI IN ASTA delle fanterie europee (1000 - 1500)
Mario Troso
Istituto Geografico De Agostani


Chi era il soldato semplice? Era uno tra le centinaia di migliaia di altri individui con una vita propria da condurre.
Poteva provenire da un villaggio, da un borgo o, da una città. Poteva essere un viandante senza radici, un criminale incallito, un artigiano annoiato, un piccolo commerciante alla ricerca d'avventura, un apprendista in fuga o un servo obbediente del suo padrone. Poteva adempiere i suoi obblighi legali insieme ai suoi vicini o fuggire l'aratro per trovare la gloria o seguire gli oscuri sogni di bottino.
Poteva essere un professionista, un ben pagato veterano di molte campagne con denaro sonante nella sua scarsella o un disorientato contadino coscritto, ferito e malato, abbandonato in un fosso durante una ritirata. Per alcuni rappresentava una carriera promettente.

Oltre alle armi e all'armatura che era tenuto a portare in guerra, e forse alla giubba imbottita o all'abito fornito dalla città, l'equipaggiamento del soldato non includeva altro che quegli effetti personali che poteva trasportare durante la marcia: una scarsella, un coltello da cucina, un cucchiaio, una ciotola, dei vestiti, indumenti intimi, scarpe, una mantella e biancheria da letto, portata da casa.
Viaggiando normalmente in piccoli gruppi per raggiungere i luoghi di adunata, i soldati condividevano le pentole da cucina, le razioni e i pochi arnesi, mentre i più fortunati anche un carretto o un animale da soma.

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Complimenti Nosfy!!! :clap:  :clap:  :clap:  :clap:
Bisognerebbe farteli solo per l'impegno tralasciando l'ovvia utilità dei tuoi post!! :mega:

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PER QUALSIASI RIMOSTRANZA SU TORTURE O AVVELENAMENTI O OMICIDI SIETE PREGATI DI NON SCASSARMI LE COSIDDETTE, MA DI RIVOLGERVI AL MIO AVVOCATO...ORE PASTI, CHE NEL RESTO DEL TEMPO LAVORA ALACREMENTE PER CONQUISTARE IL MONDO!!!


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Ottimo materiale!

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