Il forum dei Drow, dei Vampiri e delle creature dell'oscurità
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 Oggetto del messaggio: (FC3) Salone d'accoglienza. Il Palazzo della Dea
MessaggioInviato: gio ott 08, 2009 19:14 
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Immensa, la statua metallica della Dea, grande forse quanto un Grande Dragone, si ergeva a ridosso della parete nord della sala ottagonale dall'alto soffitto. La figura di Lloth si stagliava imponente; il pungiglione saldamente infisso nella roccia; le otto zampe in adamantio poggiavano su altrettanti pilastri; il ventre era esposto; Il volto della Dea era sereno e terribile al tempo stesso.
Tutta la sala era in pietra scura, ornata da drappi viola recanti gli stemmi delle Casate di Valm Neira e da affreschi nella parte superiore, rappresentanti la nascita della razza Drow.

Otto lunghi tappeti viola e oro, conducevano dagli ingressi al centro del salone, dove si riunivano in una circonferenza ornata con fini e preziosi ricami.
Gli esperti progettatori di questa sala avevano avuto un unico scopo: instillare reverenza, timore ed eventualmente terrore a quanti avessero osato varcarne le soglie. Un elaborato motivo sulle pareti dirigeva lo sguardo dei presenti verso l'alto e il pavimento, costruito con lievi pendenze o sottili scanalature, attirava impercettibilmente i visitatori verso il centro, dove lo sguardo della Dea si posava in tutto il suo furore.

Ora il Salone di Accoglienza era affollato, diciassette Matrone, disposte al centro, in semicerchio, in piedi dinanzi ad altrettanti scranni, erano circondate dai rappresentanti più influenti delle loro rispettive corti. Decine di importanti funzionari cittadini e rappresentanti delle altre Casate erano invece disposti su due file a ridosso di opposte pareti, dinanzi alla statua.
Il portone principale, opposto alla statua, era spalancato ed affacciava su una lunga scalinata. Quest'ultima conduceva nella piazza centrale della Città Sotterranea.
La folla adunata per assistere all'arrivo dei Combattenti, poteva scorgere, aguzzando la sua acuta vista, la grande statua della Dea e sentire il suo sguardo intenso su di se.

Visto dalla città, il Palazzo era imponente, vistoso e carico di un'aura mistica, sennon tangibile, di potere.
Una doppia fila di Guardie era disposta lungo tutta la scalinata. Le Guardie di Lloth erano il corpo militare imperante nella capitale del culto; in loro la forza era seconda solo alla fede.

Da secoli combattenti di ogni sorta si sfidavano e perivano fra le braccia della Grande Madre Oscurità, sotto il suo allettante sguardo. I vincitori acquisivano gloria imperitura tra le città del Sottosuolo e alcuni dei sovrani più illuminati dei territori baciati dal sole, ricercavano e accoglievano a barccia aperte questi potenti individui.

Diciassette Matrone, i loro seguiti e la Città tutta, attendevano l'arrivo di coloro che si batteranno nella loro prestigiosa Arena, per portare, almeno secondo i loro piani, gloria e fama alla Dea ed a Valmn Neira tutta.
Ma di loro solo una, la Prima Matrona X'indress, sospettava che qualcosa di imprevisto, questa volta, si stesse muovendo contro di loro.

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 Oggetto del messaggio: Re: (FC3) Salone d'accoglienza. Il Palazzo della Dea
MessaggioInviato: gio ott 08, 2009 23:21 
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Iscritto il: gio ott 11, 2007 11:40
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Tutto iniziò con una rivoluzione, perché ogni grande storia inizia così. Presentazione dei personaggi, ambientazione, rottura dello status quo.

Il suo nome era Don Josè Luis de Jesus de Miranda, proveniva da terre lontane, dalla Landa Gemente. Poco si sa della sua infanzia poiché i testi che ci tramandano la sua vita sono spesso frammentari, interrotti, allegorici ed interpretativi. Si sa di certo però della portata della sua opera, ricordato come primo fondatore della chiesa del Sovereign Host, uomo pio, pastore unico, fidato amico per tanti.
Nato in un mondo oltremodo ostico e duro, il deserto, il peggiore dei tali; un terra invasa e governata dal “Signore delle lame” e a suo nome da forgiati che spadroneggiavano nella regione abusando di ogni umanoide di “carne e sangue” che si recasse o cercasse da vivere in tale terra”.
In un simile contesto nacque questo piccolo umano, figlio adottivo di uno sconosciuto falegname e di un’amorevole casalinga il cui nome ci è giunto come Doña Juana Maria de Fonseca, ma anche in questo caso le fonti al riguardo sono incerte.
La vita di questo piccolo si ricoprì di mistero sin dalla nascita, non ha mai conosciuto il suo vero padre, alla fatidica domanda la cara madre che chiameremmo semplicemente Maria per comodità rispondeva sempre “Un giorno un Solar venne e mi disse che ero incinta, ed eccoti” risposta quantomeno insoddisfacente ed evidentemente elusiva perfino per il piccolo Josè Luì.
Così Josè Luì crebbe e si fecce uomo nelle fatiche quotidiane, aiutare al lavoro suo padre, aiutare qualche pescatore che lo pagava a cottimo ed esentasse, un vita di stenti e fatiche. Ogni notte, quando tornava a casa egli pregava, pregava per una vita migliore, pregava affinché qualche dio gli riportasse suo padre, perché la storia del Solar non la beveva nemmeno lui diciamocelo.
Ma Josè Luì non pregava un solo dio, gli pregava tutti, un po’ nella ricerca di un infantile sicurezza, “che ne so io quale mi vorrà ascoltare” un po’ perché nel deserto c’era solo la sabbia e ci si annoiava.
Il giovane crebbe e divenne uomo. Un uomo fortemente religioso, la fede lo confortò nella sua crescita, gli fornì quel ruolo paterno che tanto gli era stato assente.
Così nella quotidianità e nella più grande sorpresa giunse il giorno dell’illuminazione.
Durante il festeggiando del suo trentatressimo compleanno egli capì una delle fondamentali leggi che oggi reggono la chiesa del Sovereign Host,
Pregare tutti gli dei singolarmente era una spessa inutile di tempo, che se uno ama la creazione in modo puro e completo la si può amare anche venerando un solo dio, e che quello per lui poteva non solo rappresentare una bella ora e mezza in più al giorno, bensì un profondo credo filosofico che poteva rispecchiare le necessità di tanti suoi coetanei.
Così per diversi mesi Don Jose Luis de Jesus de Miranda si aggirò per tutta la Landa Gemente, insegnando il monoteismo e l’amore nel Sovereign Host attirando numerosi seguaci e tanta attenzione, forse troppa.
Fu catturato dai forgiati, fu catalogato come rivoluzionario, pazzo e sotto questa luce condannato.
Criptiche e premonitorie erano le parole che il suo più grande amico Piere gli diceva di continuo “’atti i ‘azzi tua”, profonde parole dal criptico significato ma che oggi vengono sommariamente tradotte come un gentile ammonimento a non dare nell’occhio.
Don Josè Luis de Jesus de Miranda fu condannato a tortura e morte come un semplice criminale, ma ai suoi carcerieri non riuscì il funesto intento. Dato per morto e sepolto il Jesus scappò dal proprio sepolcro giurando vendetta contro chi lo volle assassinare, per chi lo derise, per chi lo costrinse ad una vita di spostamenti e privazioni.
Come sia giunto infine a Valm Neira e il suo coinvolgimento nel millenario torneo sono un’altra storia.

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:balla:

“Per sfuggire ad un nano furibondo occorrono gambe leste. E ricorda: dovrai sempre essere più svelto dell’ascia che ti scaglierà dietro.
Se gli sfuggi, modifica il tuo aspetto: egli possiede una memoria incredibile. Può così accadere che, dopo venti cicli solari, un boccale ti si fracassi all’improvviso sulla testa e la risata rabbiosa del nano ti risuoni sulle orecchie”


"Una volta la morte andò da un nano e voleva prenderlo con sé, ma il nano piantò bene gli stivali sulla pietra su cui stava, abbassò la fronte con fare testardo e disse di no. La morte passò oltre"

Le cinque stirpi, La guerra dei nani, Markus Heitz


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 Oggetto del messaggio: Re: (FC3) Salone d'accoglienza. Il Palazzo della Dea
MessaggioInviato: ven ott 09, 2009 02:03 
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Di Túnír Moondark si sa che è stato abbandonato in fasce di fronte alla tenuta dell'imponente famiglia Moondark di Evermeet. La famiglia, essendo facoltosa e rispettabile, non poté rifiutarsi di crescere il bambino, anche se erano evidenti le differenze tra il trattamento che i genitori riservavano a lui e i suoi fratellastri.
Oltre ad essere un bambino adottato Túnír aveva delle evidenti differenze fisiche rispetto ai suoi fratelli e alla gran parte della popolazione di Evermeet, tra cui spiccavano quegli occhi così strani che lo portarono ad essere emarginato e discriminato.
Questa situazione di inferiorità e solitudine andò avanti finché Túnír non si iscrisse alla scuola di magia. Lì il suo talento fu subito riconosciuto e gli insegnanti furono lieti di avere un discepolo così zelante negli studi e produttivo, per quanto fosse manifesta un'anima ribelle che voleva manifestarsi e dimostrare la sua personalità. Túnír decise di focalizzare i suoi studi sulla trasmutazione, perché era la scuola che meglio gli permetteva di plasmare la realtà a suo piacimento, in modo che le ingiustizie di quella società fossero colmate dalla magia.
Il giorno della laurea il suo grande maestro Lolindor gli comunicò che credeva di aver capito il perché dei suoi occhi completamente neri. Gli confidò che aveva svolto delle ricerche in biblioteche lontane e aveva trovato una soluzione verosimile, che gli raccontò. Colto dall'entusiasmo Túnír volle subito testare la veridicità delle parole del suo maestro e apportò al volo una modifica alla prova pratica dell'esame di laurea, ma questo non portò al risultato sperato. Tutti i presenti impallidirono. Qualcuno sembrava ammirato, ma in realtà il sentimento che sembrava prevalere nella sala era assolutamente di odio e di disprezzo, d'altronde gli elfi sono conosciuti per la loro diffidenza verso chiunque sia diverso, e lui era diverso.
Túnír fu cacciato da Evermeet e i suoi studi arcani si dovettero interrompere. Il suo anziano maestro, per protesta verso questo gesto, decise di partire insieme al suo pupillo per insegnargli come sopravvivere nel “mondo esterno” da solo...
Da qui in poi le notizie su Túnír si fanno più rade. Si sa solo che si presenta al torneo, presso una casata drow a testa alta, e accompagnato da un piccolo famiglio.


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 Oggetto del messaggio: Re: (FC3) Salone d'accoglienza. Il Palazzo della Dea
MessaggioInviato: ven ott 09, 2009 13:09 
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“Irhir ssifisv persvek Sjach
erekess Sjach yth gherisy
ekes haurach lorsvek.”


“La vera conoscenza giace nell’Ombra
Attraverso l’Ombra noi giungeremo
Al destino ineluttabile.”

Sjachvrak Bejik al termine del Rito della Migrazione Draconica.
Fece incidere la frase sul suo Bastone.



La lunga storia di Sjachvrak, che in draconico significa indicativamente Progenie dell’Ombra, incomincia ben prima della sua nascita.
L’uovo che lo conteneva fu consegnato alla sua tribù da una drow, una creatura che giunse inaspettatamente presso la tribù di coboldi stanziata alle pendici del Grande Ghiacciaio, presso la Foresta Gelata, e che i racconti descrivono bellissima e terribile.
Giunse in una notte senza luna, e lasciò l’uovo avvolto in un panno nero e viola, con la raccomandazione di conservarlo non in un luogo caldo e asciutto, com’è normalmente uso per favorirne la schiusa, ma nella più profonda, buia e fredda delle caverne del clan. Con esso venne affidato al clan un bastone di un pregiato legno quasi nero e dalle forme morbide e contorte.
I capoclan, con l’aiuto degli stregoni, compresero la reale natura dell’elfa scura: non una vera drow, ma un antico drago d’ombra sotto altre sembianze. Turbati dalla richiesta, non osarono disobbedire e rinchiusero l’uovo in un’angusta cella negli abissi del loro complesso di gallerie sotterranee, ponendo il bastone accanto ad esso.
Dapprima l’uovo fu gelosamente custodito e sorvegliato, poiché in molti attendevano la schiusa e la nascita di un essere assai misterioso e consideravano il compito affidato loro dal drago un sommo onore. Tuttavia il tempo trascorreva senza che nulla accadesse, il normale periodo della nascita si allontanava sempre più, e in molti ritenevano che chiunque ci fosse stato in quell’uovo, se ci fosse stato, era ormai morto.
Ci volle tre volte il tempo usuale perché alla fine Sjachvrak nascesse.
Nessuno assistette all’evento, visto che ormai solo un pugno di coboldi si recavano in quelle profondità, e più per curiosità o abitudine che per reale convinzione.
Il neonato fu rinvenuto quattro giorni dopo la nascita, quattro giorni in cui era rimasto in quella cella solo, al freddo, senza cibo né acqua. Come sia sopravvissuto è tutt’oggi un mistero, mentre la leggenda che ormai si è consolidata attorno alla sua figura narra che in mancanza d’altro, Sjachvrak si sia nutrito delle ombre stesse.
Visto quel che accadde in seguito, non si fatica a capire come un’idea simile possa essere così diffusa nelle tribù dei piccoli rettiloidi, e il dubbio s’insinua anche nelle menti più scettiche di altri popoli.
Il fatto poi che la sua pelle e le sue scaglie fossero nere e fumose come quelle di un drago d’ombra non fece altro che alimentarne il mito.

La giovinezza di Sjachvrak fu simile a quella di molti altri coboldi che rivelano il naturale talento per la stregoneria, e fu cresciuto quindi con tutte le attenzioni della tribù. I coboldi tengono in gran conto coloro che si dimostrano magicamente abili, poiché in essi il sangue del drago si manifesta più puro e nobile.
Sjachvrak, che oltre a ciò portava sul suo stesso corpo i chiari segni della sua discendenza, fu sommamente considerato.
Tuttavia a differenza degli altri egli non mostrava il consueto attaccamento alla tribù e lo spirito di fratellanza che distingue il popolo coboldo. Anzi, il suo carattere si formava sempre più intollerante ed iroso nei confronti di tutti, compreso se stesso, e più volte fu udito esprimere il desiderio di “tornare nell’ombra”.
Soltanto molto tempo dopo, Sjachvrak avrebbe raccontato ad alcuni a lui vicini di come egli conservasse, inspiegabilmente perfetto ed integro, il ricordo della sua permanenza all’interno dell’uovo, il benessere e la pace dati da quel luogo angusto, silenzioso, buio, e di come la nascita e la sua comparsa nel mondo fosse stata dolorosa e straziante.
Questo ricordo ebbe un impatto fondamentale nella vita del coboldo, sia a livello conscio che inconscio: lo portò a maturare un innato odio per tutto ciò che è vivo, che viene creato o generato, e il desiderio e l’ambizione di riportare tutto l’universo a quella condizione originale e primigenia di nulla e oscurità assolute che unicamente avrebbe garantito la quiete eterna.

Con lo scorrere degli anni il giovane coboldo compì scelte che gli procurarono il biasimo, e talvolta l’odio e il rancore, di tutta la sua comunità.
Incominciò a coltivare lo studio della magia al modo dei maghi, una prassi che, nel migliore dei casi, era stigmatizzata come ridicola da parte di un popolo che credeva fermamente nel potere della magia spontanea che nasce dal sangue dei draghi, e nel peggiore era aspramente avversata come un sacrilego tentativo di imitare i grandi rettili. Più volte fu accusato di tradire la sua eredità, e la sua stessa gente, ma Sjachvrak si dimostrava sordo ad ogni ammonimento o consiglio, e di certo non sentiva alcun legame o debito nei confronti degli altri coboldi che lo circondavano.
Quando giunse il tempo del Rito della Migrazione Draconica, che conduce i giovani stregoni nell’età adulta, Sjachvrak tenne un discorso che giace indelebile nella mente di tutti i coboldi della sua tribù, un discorso che generò, e che tutt’oggi genera, aspri dibattiti e liti furiose tra coloro che infine decisero di intraprendere il suo stesso cammino e coloro che invece rimasero fedeli alla tradizione e alla tribù.
Il discorso terminò con la celebre frase “Irhir ssifisv persvek Sjach, erekess Sjach yth gherisy ekes haurach lorsvek.”, e segnò non solo l’addio di Sjachvrak, ma l’inizio di una profonda scissione nella comunità.
Coloro che decisero di seguire il coboldo nella sua ricerca cominciarono a chiamarsi i Kosjach, le Piccole Ombre, e per essi egli divenne il Bejik, il Profeta.

Sjachvrak e i suoi seguaci fondarono una propria colonia, basata sulla dottrina e la ricerca del Ritorno.
Il Bejik tuttavia non risiedeva spesso tra di essi: impegnato ed ossessionato dall’acquisizione del sapere e dei segreti celati nel Vuoto Eterno, era costantemente sulle tracce del grande dragone d’ombra, o meglio dragonessa, il cui nome è Saakashvilij.
La ritroverà a Valm Neira, una città drow nelle profondità del sottosuolo, e da essa verrà a conoscenza dell’esistenza di un oscuro personaggio, con il quale ha molto in comune…


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 Oggetto del messaggio: Re: (FC3) Salone d'accoglienza. Il Palazzo della Dea
MessaggioInviato: ven ott 09, 2009 14:54 
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Figlio di Awar Dundragon e Lyneth Dulsaer, Xandros è l’ultimo discendente di una nobile famiglia di maghi guerrieri al servizio della causa del giusto uso della magia.
Da generazione i Dundragon si sono dedicati ad estirpare ogni setta o credo che sfruttava la magia per atti crudeli, schierandosi principalmente contro la magia dell’Ombra.
Dati i continui attacchi alla sua chiesa ed ai suoi fedeli, Shar , irata, impose una maledizione sulla famiglia. La maledizione colpì ogni essere senziente che avesse servito la famiglia mettendo a nudo il loro lato più oscuro.
In un anno i Dundragon vennero distrutti dai suoi stessi membri. La maledizione era lenta ed inesorabile e trasformava pian piano ogni alleato ed ogni servitore in un’ombra aggressiva e malevola. I Dundragon stessi sentivano crescere dentro di loro un male incurabile che li stava facendo divenire delle tenebre prive di ogni scrupolo.
Lyneth ed Awar, prima che fosse troppo tardi, portarono il loro primogenito appena nato tra le cure di un monastero scoperto tempo prima durante una loro crociata. Il bambino sembrava non essere ancora stato colpito dalla maledizione ed i suoi genitori speravano che la presenza del santo che presiedeva il monastero ne avrebbe annullato gli effetti, o perlomeno li avesse mitigati. Il monastero era posto sulla cima di una delle più alte montagne della regione ed era sommerso dalla luce del sole, ed i due erano sicuri che li il loro piccolo si sarebbe trovato bene.
In loro ricordo lasciarono al piccolo Xandros la spada guardiana di famiglia.ed il loro grimorio.
Xandros fu addestrato dai monaci del tempio alle loro arti per tutta l’infanzia. Aeron stesso, il capo del monastero, lo seguiva da vicino per controllare che non ci fosse nessun segno della maledizione.
Il piccolo passava le giornate tra gli addestramenti all’autocontrollo e gli allenamenti con gli altri orfani ospitati.
Più gli anni passavano, però, e più il destino dei Dundragon si avvicinava. Ogni anno la pelle del bambino si faceva più scura ed intorno a lui la luce diveniva sempre meno luminosa.
Una notte, al compimento del suo decimo anno di vita, Xandros si svegliò di soprassalto mentre si sentiva avvolgere da un freddo intenso. La sua pelle stava divenendo sempre più scura ed il suo aspetto prese definitivamente forma nei tratti delle tenebre. I capelli neri si ingrigirono, il colore degli occhi si spense mentre le luci delle torce che illuminavano la stanza sembravano emanare un fuoco senza luce.
Preso dal panico Xandros si abbracciò ai manufatti della famiglia quando una voragine nera si aprì sotto i suoi piedi come una gigantesca bocca senza fine. Il grimoriò e la spada sfuggirono di mano al piccolo mentre tentava di aggrapparsi al bordo del letto su cui fino a poco fa era sdraiato. Dalla voragine uscivano dei suoni terrificanti facendo stringere ancor di più la presa al bambino. Ma il piccolo era ancora debole per poter resistere al vuoto e cadde nel nulla senza essere riuscito ad emettere un solo suono, senza essere riuscito a chiedere aiuto.
In pochi secondi Xandros si ritrovò scaraventato da un mondo luminoso ed amato quale era il monastero ad un crudo e cupo universo fatto di ombre e buio infinito dove ogni angolo poteva essere letale. L’unica ancora a cui poteva appoggiarsi erano i manufatti dei genitori, in attesa di trovare un modo per rivedere l’alba.
Da allora di lui non si seppe più niente. Nessuno ha più visto il suo volto, nessuno che fosse rimasto vivo per raccontarlo. Delle poche visite al piano materiale si conoscono dati incoerenti, più simili a leggenda che a storie vere. Le uniche cose certe sono che si presenta solo di notte ed al mattino del luogo da lui visitato non vi è rimasta traccia. Nessuno ha mai capito con quale criterio scelga gli obiettivi, ne se ne abbia veramente.
L'ultimo obiettivo di Xandros sembra essere quello di presentarsi al torneo in Valm Neira, ma neanche lui ne conosce il vero motivo.

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 Oggetto del messaggio: Re: (FC3) Salone d'accoglienza. Il Palazzo della Dea
MessaggioInviato: ven ott 09, 2009 16:24 
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Iscritto il: mar set 23, 2008 21:38
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Località: Calimport - San Mauro Pascoli
Hazarael Phemt nasce 27 anni fa nel maniero di Heonidas Phemt, suo padre e Signore delle 10 città della Valle del Vento Gelido. Fin da piccolo dimostrò di essere tutto l'opposto del padre. Odiava tutte le forme di disciplina che il genitore gli imponeva, combinava disastri e tentava di riversare la colpa sul gemello, Edel, di indole tranquilla e pacifica. Hazarael venne ben presto additato da tutti all'interno del maniero, dai cuochi agli stallieri, come una peste tanto da affibbiargli anche quelle -poche- colpe che non erano sue. Le punizioni del padre diventavano sempre più dure e dolorose ma Hazarel sopportava in silenzio, covando un profondo odio verso Heonidas e per tutti quelli che non erano lui stesso.
Intorno ai 14 anni si verificò uno strano cambiamento in lui: smise completamente di creare disordini nel castello, dedicandosi anima e corpo agli allenamenti coi maestri d'arme che Heonidas gli procurava. Inoltre si chiuse in uno strano mutismo, che interrompeva solo per sfidare il fratello. Un giorno poi venne in visita un uomo del sud che portava una spada a due mani stranamente ricurva: un falchion. Hazarael lo sfidò, curioso di vedere le peculiarità dell'enorme arma. Un solo fendente bastò allo straniero per liberarsi di lui, e il ragazzo decise che quello doveva essere il suo maestro. Questi gli insegnò la Via Sublime, fino a che Hazarael non capì che aveva imparato tutto quello che poteva da lui.
Lo straniero cadde a terra decapitato in un giorno d'autunno: quel giorno Hazarael compiva 20 anni e non fu più rivisto al maniero fino a 2 anni dopo, quando tornò intenzionato a liberarsi del suo passato. Edel lo stava aspettando, fuori dalle mura, arma in pugno: combatterono per 3 giorni e 3 notti fino a quando Balthan, potente mago amico di Edel, decise che il compagno aveva lottato abbastanza. L'incantatore pronunciò potenti versi spedendo Hazarel sottoterra.

Folle, pagherai la tua pazzia fratricida: mai più vedrai la luce del sole!
Nel buio di una grotta del sottosuolo rieccheggiarono potenti le parole di Balthan. Vagò giorni, settimane, forse mesi senza nulla vedere, uccidendo mostri di chissà quali tipi e dimensioni, fino a che fu catturato.
Gli Illithid sanno riconoscere bene i combattenti che hanno un futuro nell'arena ma la sua carriera di servo-gladiatore non fu lunga. Un misterioso drow gli preparò una via di fuga ed Hazarael non ci pensò due volte a seguirlo. L'elfo scuro si rivelò essere nientemeno che Jarlaxle, capo della più famosa gilda di mercenari di Menzoberranzan. Arrivato nella città drow non impiegò molto tempo ad ambientarsi. Divenne ben presto la punta di diamante dell'esercito di Jarlaxle e veniva mandato senza esitazione a fare strage delle sacerdotesse nemiche della famiglia che pagava per i suoi servigi. Alcuni giorni fa è stato invitato dalla matrona del primo casato, che occupava quella posizione grazie all'ultima sua prodezza. Un inviato di Lolth lo aspettava.
Tu, maschio umano, non vieni toccato nemmeno dall'ira delle sacerdotesse che hanno il favore della Regina Ragno, pertanto tu stesso sarai il suo campione al torneo di Valm Neira: per aiutarti nel tuo compito è stato forgiato dal migliore fabbro dell'abisso "Ghaun'Uel", Sterminatore sacro: ora prostrati e ricevi la benedizione di Lolth.
Hazarel non ci pensò due volte: lui, umano, stava ricevendo un'onoreficenza che neanche il più forte dei maschi drow avrebbe mai potuto sperare di ottenere. Nel momento in cui si inginocchiò sentì la potenza della dea scorrergli nelle vene. Riferisci alla Regina Ragno che non la deluderò. Disse il guerriero in un sommesso e roco sussurro. Sarà meglio per te.

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"Anything you can think to do, you can do. But not if you're looking at your character sheet for inspiration, because they can't possible outline every possible action, no matter how many powers you have."

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 Oggetto del messaggio: Re: (FC3) Salone d'accoglienza. Il Palazzo della Dea
MessaggioInviato: lun ott 12, 2009 21:42 
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Passi rieccheggiarono empi nella sala, la Corte del Trono di Caino faceva adesso la sua entrata dai due portoni laterali. La loro presenza, numerosa, in abiti da cerimonia poneva l'accento sulla formalità del momento e sottolineava l'importanza dell'incontro. L'attuale sovrintendente al trono era Lord Demos, che staccatosi dalla Corte, prese posto nella schiera delle Matrone.

I nove concorrenti erano stati condotti a Palazzo dalle loro guide, piccoli drappelli di elementi scelti per selezionare e contattare i potenziali Fighters, recare loro i saluti e gli omaggi di Madama Valm Neira ed invitarli a partecipare al Fight Club.
Tra i loro compiti c'era quello di, sempre se gradito, istruire i Contendenti sugli usi e i costumi della Città e rispondere a qualunque domanda essi avessero.
Pochi dei drappelli di guide avevano fatto ritorno... quelle presenti in sala, che si fecero cordialmente da parte per lasciare il campo ai loro Ospiti.

Al centro della sala, dell'attenzione e sotto lo sguardo della Dea, i nove Combattenti furono interpellati da Lord Demos in persona.

"Esimi Willyhob; Don Josè Luis Jesus De Miranda, predicatore della Sovreign Host; Hazarael Phemt, discendente del famoso Phetm Signore delle Dieci Città; Gwot; Victor; Sjachvrack, il Bejik; Tùnir, l'Arcanista esiliato; Riizhet; Xandors.
Siamo onorati di accogliervi nella nostra Cittadina, umile dimora dello spirito di Lolth. Vogliate essere i benvenuti. La Corte del Trono tutta e la cittadinanza di Valm neira vi augurano una buona permanenza."

Sorrise e con un'occhiata penetrante alle nove figure, arretrò oltre la fila delle matrone, sempre alla vista di tutti.

Una delle matrone parlò e la sua voce suonò chiara e limpida.

"Ancora benvenuti, Fighters. Io sono Serena X'indress e possa questo Palazzo, così come la città tutta, essere per voi luogo di meditazione. I vostri appartamenti nei pressi dell'Arena erano stati studiati per darvi una panoramica del luogo dove sarete chiamati a confrontarvi. Speriamo abbiate gradito l'ospitalità."

Con un sorriso, anche Serena terminò.

L'attenzione di tutti era, ora, sui Contendenti.

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 Oggetto del messaggio: Re: (FC3) Salone d'accoglienza. Il Palazzo della Dea
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Iscritto il: mar nov 25, 2008 23:04
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Lightning, come preferiva farsi chiamare, analizzava con interesse il vasto salone, studiando sia l'abiente, che le persone che lo circndavano in quel momento. Nella sua molto lunga esistenza si era gia trovato in situazioni simili, ma per quanto simile ogni esperienza non era mai uguale. E quel poco di differenza per lui significava molto. Tento di memorizzare volti, gesti, simboli. Un mezzo sorriso comparve sul suo pallido volto. Sperava che la sua guida avesse molta pazienza, perche nelle sue prossime ore avrebbe dovuto rispondere a piu domande di quante potesse immaginare. Sempre che rispondesse. I Drow erano famosi per la loro segretezza.
Finalmente si riscosse da quel misto di paranoia e sete di conoscenza che lo pervadeva ogniqualvolta si trovava in presenza di qualcosa di sconosciuto. L'educazione prima di tutto si disse, facendo un gesto di saluto alle persone che, come lui, si trovavano al centro del salone. Un fruscio di seta accompagno il gesto, mentre il fodero allacciato alla sua cintura strusciava contro la sua tunica, di un grigio lucente. Nel fodero vi era la sua spada, sottile, lunga, e ,in mani esperte, micidiale. Fatta modellare su sua esplicita richiesta nella forma di una saetta.
Infine si rivolse in maniera formale alla matrona, rispondendo al suo saluto.
La ringrazio, Serena, per l'ospitalita offerta, e ancora di piu per l'pportunità che ci presenta. Sono onorato di essere stato accolto in questa ristretta cerchia di privilegiati, e sara per me un onore impegnarmi per ricambiare quest'opportunita facendo del mio meglio per rendere questo evento memorabile per i secoli a venire
Davvero, odiava questi salamelecchi. Ma ad ognuno il suo, e lui si vantava di essere un ospite modello.

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can anyone as limited as you possibly stand against me?"

Oslavan Kaligos, the Night-Bearer, Eldritch Theurge

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 Oggetto del messaggio: Re: (FC3) Salone d'accoglienza. Il Palazzo della Dea
MessaggioInviato: mar ott 13, 2009 12:38 
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L'anziano coboldo, attorniato da un piccolo gruppo di suoi fedeli, i Kosjach, ascoltò in totale silenzio i discorsi tenuti da Matrona X'indress e dal nobile sconociuto, che pur rivolgendosi ai nuovi arrivati aveva volutamente taciuto la propria identità.

Pur non conoscendone il nome, Sjachvrak sapeva con certezza che il nobile faceva parte di un potente gruppo di vampiri che non solo condivideva con i drow lo spazio della città sotterranea, ma con molta probabilità godevano anche di una discreta fetta di autorità e di potere. Cosa non da poco, in un luogo dove le intricate ragnatele della potente e gelosa Dea Ragno, pur nella loro perenne incomprensibilità, dettavano legge.

Che strano però...
Avrebbe giurato che qui, nel cuore del loro dominio, del loro potere e della loro cultura, le grandi matrone avrebbero dato sfoggio del loro orgoglio e della loro presunta supremazia. Si era atteso un benvenuto che ben lontano dal candore e dalla benevolenza testé dimostrate avrebbe dovuto avere tinte ben più intense ed oscure, un benvenuto che avrebbe messo subito in chiaro chi deteneva lo scettro di padrone di casa, e chi si trovava nella precaria posizione di ospite invitato.

Che Valm Neira fosse una città diversa, e che i suoi tenebrosi abitanti fossero distanti dal grande disprezzo razziale tipico della cultura drow?
Sjachvrak ne dubitava: per quanto la città fosse indubbiamente unica nel suo genere, brulicante di diversità e apparentemente tollerante nei confronti di essa, tanto da coinvolgere nel proprio governo creature che con i drow avevano poco o nulla a che fare, nonostante tutto questo l'anziano arcanista sapeva che l'errore più folle che poteva commettere era concedere fiducia.
Quello che invece doveva fare, era partecipare alla grande recita a cui le matrone li stavano invitando: pericoloso, ma necessario.

Uno straniero aveva nel frattempo parlato. Sjachvrak aveva dedicato ben poca attenzione a quanto aveva detto: immerso nei suoi pensieri, riteneva fosse meglio non avere a che fare con estranei che nulla avevano a che fare con i motivi del suo viaggio nella città drowish.
Tanto che si sentiva visibilmente seccato dal fatto che i governanti di Valm Neira lo avessero confuso con uno dei partecipanti ad un non ben specificato torneo del quale poco sapeva e con il quale nulla intendeva avere a che fare.

Quando lo straniero ebbe terminato, stanco di pazientare e di cerimoniali che, per parte sua, erano vuoti e insignificanti, Sjachvrak Bejik rivolse un flebile cenno con il capo a due membri della delegazione di sei Kosjach che lo accompagnava.
Con devota obbedienza i due, vestiti con talari blu scuro, si staccarono dal gruppo portando ciascuno uno scrigno d'ebano.
Quando furono giunti ad alcuni metri dalle matrone, si fermarono, e parlarono all'unisono con voci magicamente alterate, giacché ciascun uditore le percepì nella propria lingua natale:

Salute a voi, Potenti Matrone, e a voi, Antichi Nobili. Sjachvrak Bejik Vi ringrazia e si dice onorato della Vostra ospitalità nella magnifica città di Valm Neira. E come segno di riconoscenza ed apprezzamento, Egli Vi offrè questi umili doni, confidando che siano di Vostro gradimento. Fiducioso attende la possibilità di un privato colloquio, se le Vostre signorie lo desiderano e avranno la gentilezza di concederlo.

Così dicendo, i Kosjach s'inginocchiarono, aprendo gli scrigni che rivelarono il loro contenuto.

Umili doni... pensava nel frattempo tra sé il Bejik mentre assisteva alla scena. Una scena opportunamente pensata e preparata, sulla cui veridicità c'era ben poco da credere, ma sulla cui efficacia il coboldo contava molto.
Aveva personalmente scelto gli oggetti in dono, ed erano serviti diversi mesi e molte, molte energie e risorse per recuperarli. E se la Lama di Mezzanotte contenuta nel primo scrigno sarebbe stata sicuramente apprezzata dai Lord Nobili, di certo il secondo dono, quello destinato alle matrone, avrebbe fatto strabuzzare gli occhi a molte di esse: non si riceveva tutti i giorni un Uovo di Lloth.
Senza poter nascondere un lieve sorriso, che comunque sarebbe stato scambiato come di cortesia, Sjachvrak non potè fare a meno di chiedersi quale delle diciassette grandi sacerdotesse avrebbe rivendicato per sé la proprietà del prezioso artefatto.

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 Oggetto del messaggio: Re: (FC3) Salone d'accoglienza. Il Palazzo della Dea
MessaggioInviato: mar ott 13, 2009 14:56 
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La tenebra aveva fisicità di umano. Di postura leggermente ingobbita, nel tentativo di osservare la sala dall'altezza dei suoi proprietari, non dimostrava il suo metro e settantasei. La pelle color grigio scuro , nero polveroso. Capelli lunghi fino al collo, grigio chiaro, come fosse invecchiato troppo velocemente, con sprazzi di ciuffi neri, facevano notare il fatto di non essere mai stati pettinati e si ergevano scomposti e caotici per tutta la loro lunghezza. Il volto era giovanile, asciutto come il suo fisico, con occhi neri velati da una patina che ne sfocava il colore ed enormi, profonde occhiaie visibili anche tra le tinte scuro del suo viso.
I suoi abiti erano composti da una veste aperte, indossata come fosse un lungo cappotto, un paio di pantaloni ed un paio di scarpe in cuoio, il tutto tinto di nero, come si confà alla sua specie. Le parti di pelle esposta - il petto, le braccia, il volto e le mani- erano ricoperte di profonde e crudeli cicatrici ramificate su tutto il corpo come se ricalcassero lo scheletro. sul dorso della mano destra risaltava il tatuaggio della famiglia Dundragon, la sua famiglia di origine- l'occhio della conoscenza poggiato su uno spadone-, simbolo conosciuto ed odiato da ogni cultista di Shar. Alla schiena portava Ares, lo spadone gigante eredità di famiglia, protettore da generazione di ogni primogenito Dundragon, ed una lancia della stessa taglia, ma che non dimostrava neanche un centesimo della forza magica di Ares. Krav, il suo pipistrello, era poggiato sulla spalla destra.
Xandros fissava la statua di Lolth senza mai staccare lo sguardo. Aveva udito ciò che i rappresentanti di quello strano posto stavano dicendo, i salamelecchi che ognuno esponeva, ma ogni parola era spesa a vuoto. La sua mente era occupata dai suoi pensieri.
A bassa voce Xandros sussurrava un discorso solitario.
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<<Ho paura, qui è tutto buio...>>
<<No, Xandry, piccolino, non vedi che ci sono delle luci? Calmo, calmo. Ares, digli tu qualcosa...>>
<<Zitto, moccioso. Alla tua età non puoi avere paura del buio. Pensa invece al sangue che puoi spargere anche solo in questa sala. Sono tutti traditori. Ti vogliono tutti uccidere. Ma non lo potranno fare se li ammazzi prima tu...proprio come hai fatto a quegli sciocchi che ci hanno chiamato>>
<<Fate quello che volete, ma lasciatemi uno di quei drow intatti, devo studiarli, tagliarli, sezionarli mentre ancora gemono, conoscere ogni loro espressione di dolore, ogni loro caratteristica, ogni loro...>>
<<Avete visto il culo enorme di quella statua! Ci si potrebbe organizzare una piazza su quella dea culona.>>
<<Non credo sia la cosa più saggia insultare la loro dea. Calmiamoci e stiamo ad ascoltare...>>
<<Hai paura Javandar?>>
Xandros alzò di scatto la schiena continuando ad osservare la statua della dea ragno, la voce non più sussurrata ma rideva senza controllo <<AHAHAHAHAH!...RAGNA CULONA, RAGNA CULONA...AHAHAHAHAHAHAH!>>

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 Oggetto del messaggio: Re: (FC3) Salone d'accoglienza. Il Palazzo della Dea
MessaggioInviato: mar ott 13, 2009 19:40 
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Xandros vide gli occhi della statuta farsi lucenti, sempre più brillanti, abbaglianti e poi...
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Il tempo sembrò fermarsi per Xandros. Si trovava sospeso in uno spazio indefinito, tutto era nero e uniforme, non si scorgeva orizzonte, nè cielo, nè terra.
Prima che potesse prendere confidenza con lo spazio attorno a se, improvvisa e terrificante, la figura della Dea Ragno incombè su di lui. Sembrava occupare ogni spazio possibile, era ovunque e i suoi occhi rossi come magma e il suo aspetto terrificante...


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...marchiarono a fuoco la coscienza del discendente Dundragon. Per un attimo il puro terrore lo invase, mentre una voce imperiosa risuonò nella sua mente, gli occhi della "Dea" fissi nei suoi.

Nessuno osa mancare di rispetto alla Regina due volte, mortale, che ti serva di lezione.

La memoria del dolore e dell'accaduto scomparvero subito dopo dalla mente di Xandros, riportandolo alla realtà. In lui rimase solo un vago e inconscio timore. Per quanto vi tentasse, era al momento impossibile per lui, tornare a fissare il volto della Statua.



Agli occhi degli altri, il discendente Dundragon si irrigidì per un intero secondo, prima di ritornare in se distogliendo violentemente lo sguardo dal volto di adamantio.
Le Matrone si scambiarono un'occhiata, i nobili rimasero impassibili ai propri posti, i vampiri sorrisero e si scambiarono alcune parole fra loro.


Gli sguardi di tutti ancora una volta puntati sui Fighters.

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 Oggetto del messaggio: Re: (FC3) Salone d'accoglienza. Il Palazzo della Dea
MessaggioInviato: mer ott 14, 2009 02:42 
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Túnír Moondark a primo sguardo poteva sembrare un tipico elfo delle nevi un po' più robusto rispetto ai suoi simili. Portava dei lunghi e ordinati capelli rossi che gli cadonevano sulle spalle fino a coprirgli metà schiena, leggermente ondulati e con delle venature bianche, aveva una carnagione pallida tipica dei popoli del nord e un fisico agile e scattante. Non portava barba né basette e aveva una cicatrice molto ampia sulla guancia sinistra, forse il ricordo di una battaglia.
Un occhio attento poteva però notare i suoi occhi, interamente neri, tanto che non si riusciva mai a capire precisamente dove stesse guardando.
Indossava una lunga tunica di seta blu bordata oro che copriva con una specie di panno rosso molto vaporoso che non permetteva di distinguerne bene le fattezze fisiche. Sul capo portava una fascia, al collo una collana dorata, alle mani dei guanti di pelle finemente lavorata e sul polso sinistro aveva un bracciale metallico che conteneva quelle che a colpo d'occhio potevano essere delle bacchette o delle verghe. Il dito medio di entrambe le mani era impreziosito da un anello, quello sinistro semplice d'argento, l'altro di oro bianco con un rubino incastonato. Ai piedi portava dei sandali di cuoio che sembravano quasi stonare con lo stile appariscente che prediligeva nel suo look e legato alla cintola si mostrava fiero un martello dall'aspetto particolarmente pesante e massiccio.
Al suo fianco si poteva notare una palla di luce, che prese la parola con una voce molto melodiosa:
Ho paura Túnír, perché siamo venuti fin quaggiù? Non vedi che gente c'è?
La voce di Túnír invece non era altrettanto melodiosa, anzi, era un po' bassa per essere la voce di un elfo:
Beh, ci hanno convocato, il minimo che potevamo fare era presentarci, non ti pare? Non essere scortese coi presenti, lo sai che non sopporto discriminazioni aprioristiche, non ti pare?
Sì, ma non sono aprioristiche le mie discriminazioni... Cioè... Guarda che facce... E l'hai visto quello? Parlava da solo e poi è rimasto pietrificato da qualcosa, sono quasi sicuro che si tratti di un effetto magico
Smettila Fash, quando mai ti ho messo in un vero pericolo? Ce la caveremo come al solito...

La conversazione tra la palla di luce e il giovane elfo dai capelli rossi continuò ancora per un po', a voce molto bassa, come se non volessero disturbare i presenti.


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 Oggetto del messaggio: Re: (FC3) Salone d'accoglienza. Il Palazzo della Dea
MessaggioInviato: mer ott 14, 2009 22:23 
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Località: Ragusa
Nei millenni le divinità avevano constatato che quando nel mondo una delle due fazioni tra bene e male prendeva il sopravvento, il mondo si avviava verso il declino, e per questo motivo alcune divinità si misero d’accordo per eleggere al compito di “Giudice” un mortale che si fosse distinto per bravura nel combattere, nelle decisioni prese e che avesse dimostrato di essere assolutamente neutrale ed imparziale.
Finito il torneo Axell fu contattato da queste divinità che gli proposero il ruolo di Giudice, il ruolo dello psionico sarebbe stato quello di assicurarsi che nel mondo regnasse l’equilibrio, le divinità concessero all’individuo da loro scelto piena libertà e l’unica limitazione sarebbe stata dettata dall’equilibrio.
Axell decise di accettare l’incarico e fu portato dal suo nuovo maestro. Quell’uomo era colui che fino a quel momento aveva svolto il compito di Giudice, ma che a causa della sua veneranda età aveva perso parte delle sue capacità fisiche che lo rendevano idoneo per quel compito, quindi divenne il maestro di Axell e il suo ruolo lo impegnava all’addestramento del ragazzo.
Gli anni passavano, le capacità crescevano sempre di più e Axell comprendeva meglio il suo ruolo, capì che per mantenere l’equilibrio non bisognava per forza uccidere, ma si poteva intervenire facendo redimere una creatura che aveva preso la strada del male o al contrario corrompere una creatura pura, o addirittura si poteva intervenire facendo accadere eventi intorno ad individui per condurli dove lui voleva. Trascorsi tre anni lo psionico terminò l’addestramento ereditando il ruolo di Giudice; da quel momento in poi Axell lavorò per le divinità, egli non ne traeva alcun vantaggio, se non il rispetto delle divinità, il timore dei mortali ed il libero arbitrio per quanto riguardava il compito che doveva svolgere.
Dopo qualche ann, si ritrovò di fronte alla minaccia di una casata di Eberron che rischiava di influenzare il mondo negativamente. Questa casata aveva appena visto nascere i prossimi due eredi, ma essendoci un complotto tra i sottoposti del patriarca della casata questi due gemelli non sarebbero mai arrivati ai due anni di vita.
Axell decise che almeno uno dei gemelli dovesse vivere e in un secondo momento riportare la casata sulla giusta via in quanto un massacro avrebbe portato solo più squilibrio. Deciso lo psionico nel giorno in cui si scatenò il colpo di stato, si recò nella stanza dei neonati dove trovò la madre che urlò per lo spavento, egli le disse che un grave pericolo incombeva sulla famiglia della donna e che suo marito era appena morto per cercare di proteggere lei e i suoi bambini. La donna si agitò ancora di più e Axell sentì gli aggressori avvicinarsi e dovette pensare in fretta, prese la madre i due bambini e si teletrasportò a una distanza notevole dalla casata, poi diede il tempo di riprendersi alla donna e quando fu abbastanza tranquilla iniziò a spiegare:

“Donna io sono colui che decide del destino dei mortali, tu e i tuoi figli siete stati graziati, ma ora te la dovrai cavare da sola e cosa ancor più grave, mi dovrai affidare un figlio in quanto devo essere sicuro che almeno uno sopravviva per riprendersi ciò che gli spetta”.

Quando finì di parlare, la donna si mise a piangere mentre lo psionico si indirizzò verso i bambini e guardandoli con occhi indagatori cercò di capire quale dei due fosse più incline a diventare il suo discepolo, dopo una attenta analisi si girò verso la madre e disse:

“Lui, come si chiama lui?”.

La donna piangendo rispose:

“Victor, ma ti prego non portarmelo via”.

Axell rispose alla donna dicendo:

“Donna non posso rischiare che entrambe i bambini muoiano, portandone uno con me sarò sicuro che sopravvivrà, non temere lo farò diventare il mio discepolo e a tempo debito gli rivelerò le sue origini e lo ricondurrò da te, tu ora pensa solo a scappare insieme all’altro bambino e a sopravvivere fino a quel momento”.

Poi prese il bambino, gettò una borsa di monete d’oro ai piedi della madre spiegandogli che gli potevano servire per scappare e scomparve.
Gli anni passarono e Axell si prese cura del bambino, ma non gli disse delle sue origini, gli raccontò di averlo preso in affidamento da sua madre perché ella non poteva prendersi cura di lui; quando all’età di 12 anni Victor manifestò i suoi poteri Axell incominciò a fargli da maestro adempiendo comunque ai propri doveri da Giudice. Axell aveva visto bene, il ragazzo possedeva i suoi stessi poteri ma con l’ aggiunta dell’ eredità della sua casata, eredità che si manifestò successivamente all’età di 15 anni quando sull’avambraccio sinistro si venne a creare un tatuaggio molto particolare che lo rendeva degno di diventare il patriarca della casata ormai in rovina. Anche se occupato nel ruolo di Giudice e di maestro, lo psionico non perdette mai di vista la madre di Victor che nel frattempo trovò un posto dove vivere in anonimato con Gwoz che nel frattempo, rimasto con la madre, trascorse i suoi anni d’infanzia in modo spensierato in quel villaggio dove la genitrice trovò rifugio. In giovane età giocava con gli altri bambini, aiutava nel villaggio a svariati lavori ricevendo doni o comunque retribuzioni senza che lui le richiedesse. Vicino al villaggio si trovava una torre dove un grande mago dimorava e addestrava i propri allievi; nessuno sapeva quanti anni potesse avere il maestro anche se all’apparenza sembrava dimostrarne una cinquantina: perfino gli anziani del villaggio ricordano il suo volto di cinquantenne quando loro stessi erano piccoli. Tutti infatti credevano fosse talmente potente che si vociferava avesse usato un incantesimo che gli allungasse la vita… ma ciò è quello che credevano. All’età di 6 anni Gwoz cominciò a manifestare il suo potere arcano incosciamente e senza controllo, anche se questo non causava danni agli altri. Consapevole di ciò, la madre decise di mandarlo alla torre dove poteva studiare e imparare a controllare questo potenziale, indi si incamminò col figlio a parlare col maestro della torre… il mago Zenith. Giunti, la madre cominciò a parlare in privato delle varie manifestazioni avvenute in casa e ascoltando, il maestro decise di prenderlo tra le sue schiere di allievi che comunque non superavano la decina. Gwoz frequentava la torre quotidianamente, tranne in estate inquanto le lezioni terminavano e dava una mano nei campi o ovunque ci fosse bisogno nel villaggio. Col passare del tempo, Gwoz si distinse nella pratica arcana e diventava ogni giorno sempre più forte, anche perché nel tempo libero durante le pause estive, si esercitava molto. Zenith ovviamente era un mago potente, ma le potenzialità di un uomo non gravano sull’allineamento: infatti era pratico nel suo lavoro e nel’uso della magia, ma in alcuni lavori privati era alquanto maligno e perfido. All’età di 16 anni Gwoz era già un ragazzino pratico per la sua età e spesso svolgeva diverse mansioni assieme a Zenith finchè un giorno, giunse in laboratorio dove il maestro lo attendeva e sentì vociare dentro e la porta era rimasta socchiusa; odendo le prime parole della discussione, si affiancò alla porta per veder bene e ascoltare di nascosto: vide un uomo legato e imbavagliato al tavolo sgombro e un altro in ginocchio innanzi Zenith, entrambi tremavano dalla paura.

Zenith: “E così non l’hai ancora ucciso. Diamine non vi si può affidare un incarico così semplice e fallire!!! Cos’è stato questa volta a mettervi i bastoni tra le ruote?”

Uomo: “M-m-maestro… era accompagnato da guardie del corpo ben addestrate… non abbiamo potuto fare nulla… Capisco che siate arrabbiato, ma vi prometto che la prossima volta non falliremo…”

Zenith: “Comprendo, comprendo. E sono sicuro che la prossima volta non fallirete… vi ho già incaricato 2 volte e ancora niente… mi spiace ma non ci sarà una terza volta perché me ne occuperò di persona… dopo avervi punito.”

Uomo: “Cosa?! No maestro, v prego… vi scongiuro… nooooooo!!!!!!”

Terminato di parlare Zenith allungò una mano verso l’umano inginocchiato e farfugliò alcune parole sottovoce, nel frattempo il corpo dello sfortunato si paralizzò mentre sangue sgorgava da molti capillari del suo corpo uccidendolo pian piano in grida di dolore e sofferenza mentre veniva dissanguato. Gwoz inorridì a quella vista, ma non poteva farsi vedere altrimenti sarebbe morto anch’egli. Zenith uccise il sicario e si avvicinò all’uomo sul tavolo allungando una mano e poggiandola sul petto nudo del prigioniero.

Zenith: “Quanto a te, non farai la stessa fine del tuo compagno, ma mi sarai utile allungandomi la vita!!!”

A quel punto la mano di Zenith s’illuminò di una luce verde chiaro e il petto dell’uomo cominciò a dolere e bruciare, finche si illuminò anch’esso di verde e scomparve alla vista, mentre un’aura invadeva Zenith per pochi istanti: ecco svelato il come di una lunga vita. A quel punto Gwoz si allontanò e focalizzò quel ricordo perché voleva migliorarsi sempre di più e superare il suo maestro. Aveva comunque ibero accesso ai vari Tomi del maestro tranne alcuni, considerati Proibiti. Quando possibile però, e senza l’osservanza di Zenith, Gwoz li visionava e imparava ciò che vi era dentro senza far sapere nulla al maestro. Il tempo passava e ormai Gwoz aveva 20 anni e fu chiamato dal maestro per svolgere un incarico. Gwoz entrò nel laboratorio e notò che Zenith era strano.

Zenith: “Gwoz, mio allievo prediletto, ti ho convocato per salutarti. Sei stato il migliore tra i miei studenti, ed è per questo che devo ucciderti. Muori!!!”

Zenith lanciò un’incantesimo verso Gwoz, che però lo dissolse tempestivamente e lanciando subito un incantesimo contro l’avversario: l’incantesimo che focalizzò nel ricordo

Zenith: “No… non è possibile… come puoi tu battermi???... e soprattutto come conosci questo incantesimo…”

Gwoz: “Come dicevi tu stesso Zenith, sono il tuo migliore allievo, e ho anche visto cosa hai fatto a quei tuoi sottoposti 4 anni fa. Da quel momento ho studiato anche i Tomi proibiti per non seguire la loro stessa fine e la tua magia ti si rivolta contro… povero sciocco. Muori Zenith e addio.”

Con queste ultime parole Gwoz sconfisse Zenith diventando così il nuovo reggente e maestro della torre. Ma sapendo di avere un gemello, decise di partire in viaggio alla sua ricerca tornando ogni mese tramite un teletrasporto per controllare la situazione nella torre lasciata ai Suoi sottoposti e a vedere la salute della madre.
Al 22° compleanno di Victor, Axell rivelò al ragazzo le sue vere origini parlandogli della madre e del gemello, il discepolo ascoltò attento e al termine restò molto scosso e incominciò a farsi parecchie domande a cui il maestro rispose senza esitazioni. All’inizio Victor fu in collera con il suo maestro e scappò indirizzato al luogo dove viveva la sua famiglia. Arrivato nel villaggio fu scambiato da più persone per un certo Gwoz che capì dover essere quel fratello gemello perduto in passato; dopo una piccola ricerca Victor scoprì dove abitava la madre e vi si recò.
Arrivato Victor ebbe un momento di ripensamento, ma poi si decise e bussò alla porta, pochi passi si sentirono dietro la porta prima che una donna aprì. Ella appena vide il ragazzo lo abbracciò stretto in quanto capì subito di avere di fronte il suo primo figlio. Dopo un momento di commozione la madre chiese al figlio di entrare, lui entrò e passarono ore a parlare di ciò che era accaduto negli anni in cui erano stati separati, dalla discussione usci fuori che Gwoz crescendo aveva imparato ad usare la magia, e che da quel momento in poi egli viaggiò per ritrovare il fratello perduto e incrementare le sue capacità magiche, ma la cosa che più rese felice Victor fu la notizia che Gwoz stava per tornare a casa.
Victor rimase in quella casa e dopo cinque giorni giunse il gemello: quando vide Gwoz gli sembro strano, era come vedersi allo specchio anche se il fratello possedeva qualche cicatrice in più e non aveva il tatuaggio. Dopo un attimo di commozione i due fratelli vollero mettersi alla prova con un piccolo scontro, che fu interrotto ancor prima dell’ inizio da Axell che apparso tra i due disse:

“Non abbiamo tempo per queste prove di forza: è giunto il momento che riprendiate ciò che vi spetta. Entriamo in casa, vi devo parlare!”.

I due incuriositi lo seguirono dentro casa, lì lui incominciò:

“Allora, pensatela come volete sulle mie azioni, ma ho dovuto agire così, e mi aspettavo che almeno tu Victor avresti capito che c’è qualcosa che va al di là del giusto e sbagliato. Comunque non divaghiamo, come ormai sapete entrambi fate parte della casata dei trasportatori che al momento è sul orlo del baratro, non posso dire di non sapere che sarebbe successo, ma ora è il momento giusto per agire e riportare le cose come devono essere. Voi due avete il compito di presentarvi alla casata e riprendervi il titolo che vi spetta, Victor possiede il tatuaggio che testimonia la vostra legittimità. Detto questo ora andate, io vi osserverò da lontano e agirò solo se lo riterrò necessario”.

I due ragazzi erano felici di quelle parole, finalmente era giunto il momento per la vendetta, si prepararono e quando furono pronti partirono. Giunti al cancello della casata i due non furono riconosciuti dai guardiani, e grazie a questo fu più facile penetrare all’ interno e arrivare alla sala dove abitualmente stava il capofamiglia colui che prendeva tutte le decisioni importanti. Arrivati in quella sala vi trovarono il proprio zio nonché autore della rivolta avvenuta venti anni prima, che appena li vide chiese:

“Chi siete? Questa zona non è aperta a chi non fa parte della casata”.

A queste parole Victor rispose:

“Sciocco! Non ci riconosci? Noi siamo i degni eredi di questa casata e questo conferma le mie parole”

E mentre parlava si scoprì l’ avambraccio sinistro per fare vedere il marchio di Siberys e poi aggiunse:

“Ora fatti da parte e dacci quello che ci spetta!”

Lo zio sbigottito dal fatto di trovarsi di fronte i due nipoti che credeva morti era anche preoccupato per la possibilità di perdere il potere sulla casata e per questo estrasse la spada e si avventò su di loro.
Come è ovvio l’ attacco non sortì alcun effetto su i due che negli anni di allenamento divennero esperti nei combattimenti, così ad agire questa volta fu Gwoz che rese lo zio inoffensivo castando un incantesimo, poco dopo sentita le urla lanciate dal capofamiglia mentre caricava entrarono le guardie della casata che si trovarono davanti ad una scena inquietante, in quanto l’ incantatore arcano per punire lo zio stava procedendo a fargli uscire tutto il sangue del corpo.
Davanti a quella scena le guardie impietrite dalla paura riuscirono solo a formulare due domande:

“Ma voi chi siete? Che state facendo?”

E sempre Gwoz rispose:

“Non temete stiamo solo punendo l’ usurpatore della nostra casata, se ci giurerete fedeltà a voi non vi sarà fatto nulla”

A queste parole due tra le guardie che erano i fedeli dello zio si lanciarono alla carica contro i fratelli, carica che risultò vana perché fu intercettata da Victor il quale manifestando un potente raggio li uccise sul colpo.
Dopo questa manifestazione di forza nessun altro provò a intervenire, tuttavia i due fratelli non erano assassini a sangue freddo e decisero di non uccidere lo zio ma di lasciarlo in condizioni pietose con la raccomandazione di non tornare se teneva alla sua vita, poi lo fecero svenire e lo teletrasportarono fuori dalla città, si girarono verso le guardie e Gwoz esclamò:

“Siamo Gwoz e Victor figli di Aldir e siamo ritornati per cacciare l’ usurpatore e riprenderci la casata, ora dite a tutti del nostro ritorno perché da ora riprendiamo noi il controllo della casata e chi si ribellerà sarà punito”.

E cosi da quel giorno la madre e i due gemelli vissero alla casata amministrandola e riportandola agli antichi splendori; la vita trascorse normalmente fino a quando la madre di Victor e Gwoz morì, infatti in seguito alla morte della madre i due presero una decisione molto importante, rimanere a capo della casata per sempre!
Gli anni passarono e in un giorno come tutti gli altri i due fratelli ricevettero la visita di una persona che non vedevano più da un mucchio di tempo, Axell si presentò a loro per comunicargli che era stato indotto un torneo da una dea e che per il bene di tutti essi avrebbero dovuto parteciparci, quindi prese Victor di lato e gli diede una spilla dicendogli:

“Questa è una spilla donatami da una divinità, prendila! Ma ricorda che verrò a richiedertela quando il torneo finirà. Ora andate!”
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Per quanto uno ci provi la perfezione è irraggiungibile, di fatti l' uomo può solo cercare di avvicinarcisi il più possibile


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 Oggetto del messaggio: Re: (FC3) Salone d'accoglienza. Il Palazzo della Dea
MessaggioInviato: mer ott 14, 2009 23:19 
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I due gemelli, molto simili nell'aspetto, eccetto qualche particolare, oservano la statua della Dea... silenti mentre i ricordi e pensieri futuri basati sugli scontri con gli altri Fighters invadono le loro menti. Victor si mostra agli altri più chiuso e di fatti non parla molto se non col gemello Gwoz. Udito il discorso delle matrone, in sintonia anuiscono rivolgendovisi e a quel punto Gwoz, posto alla Sx di Victor, volge il capo alla propria Sx lasciandola ruotare verso Dx squadrando ogni singolo Fighters; nel contempo Victor esegue lo stesso gesto partendo dalla Dx e spostandosi verso la Sx e quando entrambi si incrociano, l'uno sussurra all'altro ciò che ha notato... particolari riferiti all'abbigliamento e lo scambio di qualche consiglio e parola sono il succo del loro breve discorso udito solo dalle loro stesse orecchie. Indi lo sguardo torna alla statua della Dea, in attesa di nuovi ordini o comandi. Entrambi i Gemelli sembrano taciturni eccetto tra loro... un sorriso lieve spicca nei loro volti, orgogliosi di partecipare a questo grande Torneo.


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 Oggetto del messaggio: Re: (FC3) Salone d'accoglienza. Il Palazzo della Dea
MessaggioInviato: gio ott 15, 2009 17:49 
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Località: Calimport - San Mauro Pascoli
La nera figura china su se stessa ebbe un sussulto all'udire il pazzo Xandros inveire contro la statua. Alzò il volto, coperto da una maschera, su cui ricadevano lunghi capelli neri e lisci, ma unti e stopposi, incolti. Un invisibile ghigno illuminò il volto di Hazarael Phemt mentre si godeva la scena del pazzo prima bloccato, e poi visibilmente turbato.
Il guerriero si guardò attorno, gli occhi che brillavano dal desiderio. Notò che nessun' altro si faceva avanti per presentarsi.
"Prima ce la sbrighiamo con questi inutili convenevoli e prima possiamo passare alla fase divertente." Fu il suo pensiero, così si alzò.
Il nero mantello si aprì, rivelando piastre di un'armatura smaltata in verde scuro, le cui violente chiodature andavano a forare il mantello nella zona delle spalle. Dietro ad esse spuntavano due lunghe else istoriate, due spanne di impugnatura per ciascuna. Con un gesto fluido, Hazarael tolse la maschera e mostrò il suo pallido volto, le pupille rosse che brillavano all'interno di occhi circondati da cicatrici che si dipartivano a raggera. Con voce roca e talmente piano da essere appena udibile, cominciò:

Il mio nome è Hazarael, vengo da Menzoberranzan.

E concluse, tornando a sedersi con la schiena china in avanti, i gomiti sulle ginocchia, la maschera a coprire il viso.

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"Anything you can think to do, you can do. But not if you're looking at your character sheet for inspiration, because they can't possible outline every possible action, no matter how many powers you have."

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