Il forum dei Drow, dei Vampiri e delle creature dell'oscurità
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 Oggetto del messaggio: II CONCORSO GOTICO
MessaggioInviato: mer nov 28, 2007 12:48 
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Signore di Necropolis
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Ebbene sì, miei graditi ospiti

Il Tempo è giunto
E' giunto il Tempo di ripopolare l'Auditorium
E' giunto il Tempo di affilare nuovamente parole e pensieri
E' giunto il Tempo di evocare ancora una volta i demoni che si agitano nella vostra anima

C'è stato un tempo in cui la Necropoli s'è animata di gotiche ed orrorifiche sfide
C'è stato un tempo e questo Tempo c'è ancora

Benvenuti alla SECONDA EDIZIONE DEL CONCORSO GOTICO organizzato da Valm Neira

Tra le antiche pareti dell'Auditorium coloro che desiderano cimentarsi con i segreti della letteratura nera e gotica hanno ora la possibilità di mostrare il lato oscuro del proprio animo, la sensibilità melanconica dello spirito, il terrore partorito dai propri incubi peggiori.

Seguiteci dunque ancora una volta miei impareggiabili ospiti e scopriremo quale tra i novelli scrittori che si nascondono nei tortuosi meandri di Valm Neira saprà far tremare il nostro cuore, accendere la nostra immaginazione più nascosta.

Come da tradizione, il Vincitore sarà insignito della simbolica, ma prestigiosa e potente reliqia conosciuta con il nome di Artiglio Nero di Necropolis, arcana riconoscenza che si vedrà riconosciuta all'interno del forum, ricevendo inoltre la splendida T-shirt in edizione limitata che porta incise a sangue le parole immortali del "Vampiro" di Baudelaire

Accorrete numerosi pertanto, siate voi amici o nemici, seguite la macabra melodia che saprà guidarvi attraverso le paludi di Necropolis a questo sperduto luogo di cultura e battaglia.

Prendete posto dove più vi aggrada, la sfida sta per cominciare


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Ultima modifica di MasterMind il mer nov 28, 2007 13:51, modificato 6 volte in totale.

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MessaggioInviato: mer nov 28, 2007 12:54 
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Signore di Necropolis
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MODALITA' DI PARTECIPAZIONE

- Può partecipare qualunque utente iscritto al forum di Valm Neira;

- Ciascun partecipante può postare 1 solo racconto breve;

- Il racconto dovrà avere un titolo, essere originale ed in prosa breve (max 80 righe - con una fascia di tolleranza estrema di 10 righe - secondo il formato del forum e NON oltre: per visionarne la lunghezza utilizzare l'opzione ANTEPRIMA), essere titolato ed avere ad oggetto un racconto gotico, nero, horror, o, comunque lo vogliate definire, appartenente al filone oscuro.
Qui di seguito trovate un Esempio

- I racconti non conformi o non a tema non saranno ammessi alla votazione finale.

- Sono ammessi solo i post dei racconti: verrà creato un post gemello per i commenti. Tutti i post non contenenti il racconto verranno cancellati

- Il concorso scade il 20 febbraio 2008

- Le votazioni si terranno a partire dal 21 febbraio 2008 e saranno effettuate da una giuria non partecipante di 5 membri anziani di Valm Neira scenta discrezionalmente dal Signore di Necropolis, organizzatore dell'evento

- Il vincitore sarà proclamato il 29 febbraio 2008 e riceverà una maglietta personalizzata con il testo del Maestro Baudelaire "Vampiro" (di cui a breve una foto), nonchè il titolo di "Artiglio Nero" da esibire al di sotto del proprio Nikname nel forum di Valm neira, sino alla proclamazione del nuovo vincitore del successivo concorso gotico.


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MessaggioInviato: gio nov 29, 2007 17:40 
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Signore di Necropolis
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Iscritto il: mer mar 24, 2004 14:59
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eccellente amici miei

Una nota per tutti: qui devono apparire SOLO i racconti che posterete, per evitare che si disperdano tra altri topic e siano tutti rapidamente consultabili
Vi prego pertanto di postare qualsivoglia ulteriore intervento nella sez COMMENTI

I Vampiri ringraziano :wink:

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MessaggioInviato: lun dic 03, 2007 12:37 
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Iscritto il: lun lug 16, 2007 17:08
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Il vampiro (liberamente tratto dalla mia fantasia).

Notti che si accavallavano una sull'altra, tutte uguali e appartentemente senza senso. In una di queste decido di uscire per nn lottare con i miei pensieri. Vorrei morire. Ho bisogno di uscire. Esco, comincia a piovere forte e questa pioggia mi costringe ad entrare in un locale notturno. C'è tanto fumo, ma nn lo sento, nn sono un fumatore, ma nn mi da fastidio. Vedo un ragazzo giovane seduto solo, mi avvicino, gli chiedo se aspetta qualcuno, forse penserà che sono un gay, ma nn me ne curo. Alza la testa, gli chiedo "chi sei" . E' bellissimo, capelli lunghi neri fino alle spalle leggermenti ricci e bagnati di pioggia; è vestito di nero, con un cappotto di pelle e i baveri alzati, stivaletti rigorosamente neri, con la punta di latta. Mi guarda con curiosità e mi risponde "sono un vampiro". Lo guardo, vedendo in lui tanta solitudine. Vuoi fare 2 chiacchere gli chiedo? Perchè no? mi risponde con un aria sbarazzina che mi impazzire, con quella sfrontatezza che solo i giovani hanno. Usciamo in strada, camminiamo per un pò, parlando di lui e di me. Passiamo sotto casa mia, lo invito a salire, e nn mi dice di no. Si siede sul divano, lo guardo con la bramosia di chi ha trovato un amico vero. Vuoi qualcosa da bere? "Si grazie" mi risponde sorridendo. Ma tu nn bevi mi chiede? No, ora nn mi va, ma tu fa pure come se fossi a casa tua. -Io nn ho una casa- mi dice, vivo solo da tempo. Mi cresce la voglia, ormai nn la sopporto +, mi avvicino sfrontatamente e gli sussurro..."cosi sei un vampiro...lui mi guarda curioso e mi dice "già, tu chi sei?" Io? Io sono il tuo vampiro, lo blocco e affondo i denti nella sua carne fresca. Sento il suo sangue riempirmi la bocca, sento il calore della sua energia che mi sale fino al cervello, ma anche se lo amo, nn posso lasciarlo in vita, e cosi lo dissanguo. Esco, ho la rabbia che mi si sprigiona del cervello, nn capisco + perchè vivo; ma io da oggi nn posso morire, lui vive dentro di me, e io lo amo.

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come il lupo vago la notte alla ricerca della mia follia.


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 Oggetto del messaggio: Il rito della maturità
MessaggioInviato: lun dic 10, 2007 02:00 
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Iscritto il: gio ott 18, 2007 21:52
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Il rito della Maturità



……Kaal figlio mio, guardandoti vedo nella tua espressione il volto di tuo fratello Kalem… i tuoi occhi così sereni e pieni di vita… è trascorso solo un anno da allora…. Ora è giunto il tuo tempo! Da generazioni come la nostra legge impone sarà questa notte della tua iniziazione, questa è la notte in qui diventerai uomo e siederai tra gli anziani… anche tu figlio mio avrai il diritto di esporre il tuo pensiero e aiutare il villaggio a crescere rigoglioso come lo è l’erba dei nostri campi… ti recherai la dove la selva è più fitta e impervia, troverai i lupi ad attenderti, ucciderai il grande grigio gli strapperai il cuore e con la sua pelle ti ricoprirai… di lui allora ne berrai il sangue… in fine bruciane la carcassa affinché l’odore del capo branco possa giungere sino agli dei e noi anziani dal villaggio possiamo lodarli e ringraziarli per il tuo ritorno incolume… sarai forte figlio mio?
Kaal: si padre non temere, non darò ulteriore tristezza al tuo cuore già così colmo di dolore… questa notte ti renderò fiero della tua eredità e vendicherò mio fratello… benedicimi affinché possa brandire il colpo decisivo e possa ritornare.. in caso contrario veglierò su di voi padre con i miei avi… ma ciò non accadrà!
Intanto la notte si avvicinava inesorabile e Kaal abbraccia gli anziani ed il padre.. egli vorrebbe piangere ma lo sguardo fiero del padre gli impedisce di dimostrarsi debole, nella mano destra stringe forte il pugnale, egli si volta improvvisamente lasciando la mano del padre e corre verso la foresta solo allora può esternare il suo stato d’animo… Ora Kaal è solo con il suo pugnale, unico appiglio alla salvezza, la chiave che gli aprirà la porta del gran consiglio…
La luna filtra una tenue luce tra i fitti rami della foresta… più si addentra e più il battito del suo cuore aumenta in una folle danza, l’affanno nel respiro e le gocce di sudore gelide solcano il volto attonito dalla tensione… ad un tratto ferma il passo, qualcosa davanti a lui.. sente il fruscio delle foglie secche che si spostano a cinque passi da lui.. ma l’oscurità gli impedisce di distinguere la misteriosa figura; vieni avanti! Grida con voce decisa Kaal, ma il nodo alla gola gli impedisce di proferire altre parole.. il terrore lo immobilizza.. finalmente un raggio di luce lunare riesce a bucare le fronde ed illuminare la bestia.. era lui il grigio ad attenderlo nell’ombra quasi beffardo, consapevole dell’esito dello scontro, egli sapeva… Kaal non respirava immobile nel vedere riflettere il chiaro di luna negli occhi della fiera, ella rimaneva immobile, un’atmosfera surreale si stava creando poiché la tensione si faceva sempre più intensa e la natura stessa sembrava essersi fermata in segno di rispetto, ormai il momento era decisivo, la fiera raccoglie le forze e balza sul ragazzo che lascia cadere il pugnale al suolo… e mentre affonda le zanne alla gola di Kaal i neri e affilati artigli gli entrano nelle viscere… un ultimo grido, un ultimo gemito nel pronunciare il nome del padre; all’udire il proprio nome gridato dal figlio il padre si inginocchia atterrito dall’incommensurabile dolore.. stringe tra le mani i fili d’erba mentre lacrime incessanti cadono dai suoi occhi.. Intanto la bestia finito l’acre supplizio sembra essere confusa e si accascia sul corpo esanime del giovane.. Ebbene non era il capo branco, non si trattava del grigio, ella inizia a mutare, inizia a prendere sembianze umane! La bestia nient’altro era che Kalem vittima dell’oscuro abbraccio.. Preso conoscenza dell’accaduto Kalem stringe il fratello tra le braccia grondanti del suo sangue.. non riesce a credere di averlo ucciso; la maledizione di Caino si era ripetuta ed ancora una volta la terra gridava vendetta del sangue innocente, Kalem stringe per un ultima volta il corpo del fratello per poi fuggire nell’oscurità.. mai più si sentirono voci di gente che avesse visto il grande grigio ma solo di alcune notti l’eco di un triste lamento sferzare l’aria provenire dal confine della selva oscura.

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MessaggioInviato: gio dic 13, 2007 21:42 
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 YIM  Profilo

Iscritto il: lun feb 07, 2005 19:46
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SERVIGIO DI UNA STELLA
IL SOLE, QUELLA SFERA CHE RISIEDE LASSU’ NEL CIELO. Lui non poteva sapere l’utilità che dava al mondo, non poteva sapere neanche il suo potere di scacciare determinate creature, in fondo, nel mondo tutto ha un suo opposto, e lui si era imbattuto nella peggior cosa che potesse capitargli.
Era sera, il sole ancora si poteva intravedere oltre le mura e oltre le cime delle montagne, creava nel cielo un alone scarlatto che si riversava sui campi coltivati.
L’elfo era stanco, i suoi stivali di pelle si erano finiti di consumare dal lungo viaggio fatto per arrivare a quel castello. L’orlo del mantello era pieno di tagli e aveva acquistato il colore del terreno.
Dovette stringersi il mantello sulla leggera armatura di cuoio e sistemarsi meglio la spilla d’oro che lo bloccava sulle sue spalle prima di arrivare davanti all’enorme porta. Quando vi arrivò fece un cenno alle guardie in modo tale che queste, anche se di malavoglia, spronassero dei cavalli che, legati a grossi cordoni, riuscirono con estrema fatica ad aprire il portone.
L’elfo, superata la soglia, si voltò alzando lo sguardo e da sotto il suo cappello guardò la torre dove qualche ora prima aveva incontrato il sovrintendente e nella quale aveva anche accettato l’incarico.
Camminò fino a che il sole non scomparve del tutto lasciando il posto alla luna, di cui solo la metà non era coperta dalle piccole nuvole che venivano mosse dal vento. Appena l’elfo alzò lo sguardo verso il cielo gli sembrò che era quel cerchio gigantesco a muoversi e non le nuvole che gli stavano intorno. Era uno strano effetto e lui sapeva benissimo che la magia di quel luogo permetteva alla sua vista di vedere ciò.
L’elfo entrò nella piccola foresta vicino al villaggio di contadini, raccolse vari pezzi di legno marci che erano caduti dagli alti rami in seguito alle grandi folate di vento del giorno prima.
Usò due pietre focaie per far scaturire le poche scintille che sarebbero servite ai piccoli rametti per bruciare, poi si servì della calda luce della fiamma per controllare le sue trappole senza dimenticare di gettare ogni tanto qualche piccolo ciocco di legno per mantenere in vita il fuoco.


Fece un profondo respiro prima di prendere la sua torcia per andare a sistemare le sue trappole in punti dove non potevano essere notate dalla sua preda, poi finito quel compito affilò il suo coltello e la punta della sua lancia.
L’elfo dopo un’oretta sentì un ululato e si poggiò con la schiena contro un grosso tronco tenendo la lancia ben salda nelle sue mani. Una trappola scattò. Era quella vicino all’entrata della foresta. Si diresse verso la trappola con passo felpato pronto a difendersi se necessario dalla creatura che stava cacciando.
Arrivando vide che trappola si era chiusa solo su un pezzo di gamba di coniglio, ma il corpo del piccolo animale era scomparso.
Qualcosa provocò un rumore da un cespuglio dietro di lui, la lancia subito si mosse comandata dal braccio del padrone mirando in direzione del rumore. Passarono vari secondi di silenzio assoluto, nemmeno il vento che sbatteva sui rami riusciva a distrarre l’elfo da ciò che gli accadeva intorno.
Sentì spezzarsi un ramo alle sue spalle e qualcosa lo colpì velocemente sul fianco con una potenza inaudita. Il colpo lo fece rotolare a terra. Questi provò a rialzarsi ma la creatura lo afferrò per un braccio e lo gettò fuori dalla foresta.
L’elfo cadde di schiena ed un gemito di dolore gli uscì dalle labbra, con tutta la forza che aveva si rialzò in piedi e si accorse che il suo braccio era piegato in uno strano modo e gli doleva moltissimo.
La creatura uscì dal bosco, era due volte l’elfo e aveva dei muscoli d’acciaio che erano ricoperti da una folta pelliccia, si ergeva su due zampe in una posizione abbastanza gobba.
I suoi artigli erano grandi quanto una mano umana e sembravano molto affilati.
Gli occhi sembravano sputare fiamme e il volto da lupo aveva lineamenti umani. Il licantropo si mosse con un balzo ed arrivò sul lato dell’elfo.
Questi venne colpito dagli artigli sul braccio rotto, superarono il cuoio dell’armatura con estrema facilità e strapparono brandelli di pelle dal braccio dell’elfo che cadde a terra.
La bestia si rizzò al massimo delle sue possibilità ululando alla luna e l’elfo ne approfittò per prendere una strana arma che aveva alla cintura formata da una canna di metallo forata che finiva all’interno di un calcio di legno ben decorato. Il licantropo smise di ululare e si preparò a colpirlo.
L’elfo fece pressione su un grilletto di metallo e attivò un meccanismo che permise ad una piccola sfera d’argento di venir sparata fuori dalla canna e di conficcarsi nel cuore della creatura. Il licantropo ululò dal dolore, sembrò voler attaccare l’elfo ma invece gli cadde sopra. L’elfo svenne quando l’enorme massa lo sovrastò schiacciandolo contro il terreno.
IL SOLE, QUELLA SFERA CHE RISIEDE LASSU’ NEL CIELO. Lui non poteva sapere l’utilità che dava al mondo.
Non poteva sapere neanche il suo potere di scacciare determinate creature.
Non poteva sapere che i raggi sul suo volto potevano farlo svegliare e non poteva nemmeno immaginare che il licantropo avrebbe ritrovato la sua forma umana, quando, i magnifici raggi, avrebbero colpito il suo pelo.
Non poteva nemmeno sapere che il cadavere d’uomo che aveva sopra di se era il Sovrintendente ucciso da un proiettile d’argento che gli aveva trapassato il cuore.

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Lo there, do I see my father
Lo there, do I see my mother, my sister and my brothers
Lo there, do i see the line of my people, back to beginning!
Lo they do call to me, they bid me take my place among them
In the halls of Valhalla, where the brave...May live forever.


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MessaggioInviato: mer dic 19, 2007 17:37 
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Wulf

Nella Selva Nera di Dearc non vi era luce alcuna, nè quella del sole di giorno,nè quella di stelle e luna di notte. Gli alberi alti avevano rami lunghi e nodosi, contorti, che si intrecciavano tra di loro come a formare una gabbia gigantesca dalla quale non c'era scampo. Le serpeggianti radici di querce e castagni affondavano nel terreno pieno di foglie secche impedendo il passaggio, e non vi erano animali, eccetto mannari selvaggi.
Rose aveva detestato il bosco di Beith per il suo squallore, ma difronte alla Selva Nera rimase inorridita. Beith aveva visto la luce ed era stata deturpata dal male, Dearc invece non aveva mai visto i raggi del sole e della luna, era nata nella tenebra e si nutriva della tenebra. Rose si sentì smarrita in quel luogo orrendo e corse zigzagando verso il luogo in cui era sicura si trovasse Orgol. Giunta nel sottobosco inciampò in una radice e cadde a terra vicino alle rive di un lago dalle acque scure e sporche. Il sangue cominciò a fuoriuscire a fiotti dal naso e dal labbro, mentre le acque del lago le lambivano dolcemente le mani tese in avanti. La ragazza si alzò barcollando e cadde in avanti nell'acqua gelida e piena di lordure. Non sapeva nuotare e aveva i muscoli a pezzi. Si lasciò andare nell'acqua poco profonda, galleggiando, e sperando vivamente che qualcuno le venisse in aiuto. Poco dopo l'acqua la sommerse del tutto.
Si risvegliò in una caverna fredda e umida, riscaldata da un debole fuoco e illuminata da torce rosse appese alle pareti. Era distesa su una lettiga di foglie e stracci, sulla quale era china un'alta figura ammantata di nero. Un odore acre e penetrante, stantio, le invase prepotentemente le narici. Odore di sangue. Si ritrasse disgustata e disse allibita:"Coluber!".
La figura si serrò il cappuccio del mantello sul viso, girandosi di spalle, e ripose calmo:"Non sono Coluber. Io mi chiamo Wulf" "Sei un vampiro?"chiese Rose con prudenza e stringendo il pugnale d'argento che teneva nascosto nello stivaletto. :<<Sono un lupo mannaro, qui vampiri non ce ne sono. Noi licantropi siamo in guerra con i vampiri da secoli" "Dalla parte di chi stai?" chiese la ragazza turbata, senza mollare il pugnale. Il ragazzo si sedette accanto al fuoco, girato di spalle, e stese le gambe snelle e muscolose vicino alle fiammelle danzanti. Rose non potè fare a meno di notare la morbidezza dei suoi riccioli neri, così simili a quelli di Nemesis...ma lui non era Nemesis. :"Non hai nulla da temere da parte mia. Io sto unicamente dalla parte del mio popolo, le faccende del resto di Magican non mi interessano. Non conosco nemmeno chi sono" "Hai perso la memoria?"chiese Rose rassicurata da quella voce pacata e dolce, priva di rabbia. :"Si, credo sia questa la spiegazione più plausibile. Da quando sono giunto qui non mi ricordo più nulla del mio passato, so solo che ora sono un licantropo e un cacciatore di taglie al servizio della regina dei licantropi" "Mi dispiace. Deve essere terribile non ricordare il passato"mormorò Rose sincermente dispiaciuta. :"Tu non hai paura di me?"chiese il licantropo stupito, alzandosi nuovamente in piedi. :"No, dovrei?"rispose Rose sorridendo appena e con una strana inquietudine nell'animo. Quella voce, quel corpo, quei capelli...no, quello non poteva essere lui, lui era in missione ad Oroskiàs. :"Forse dovresti. La gente ha paura dei lupi mannari. Sono..." "Diversi?"suggerì Rose comprensiva, e lui annuì. Si avvicinò alla ragazza e si girò con il busto verso di lei, chinandosi per controllarle i tagli al viso. Il cappuccio gli ricadde inavvertitamente sulle spalle. Rose si tirò indietro e cacciò un urlo penetrante, che fece ritrarre sconcertato il licantropo. :"I tuoi occhi! Il tuo viso! Nemesis!"gridò Rose slanciandosi verso il giovane per abbracciarlo. Lui si scostò bruscamente intimorito, fermandola con una mano, e la fissò spaventato. Il volto bellissimo e delicato si oscurò e indurì, come se sottoposto a grande sofferenza, e le mani esili presero a tremargli, mentre i muscoli degli arti si tesero mostruosamente. :"Vattene Rose! Vattene via! Io non ho più passato, ho dimenticato, ho dovuto! Ma tu vai via, scappa! Io sono pericoloso, ti ammazzo se non vai! Vai via!" "Nemesis!" gridò lei afferrandolo, ma si ritrovò sbalzata a terra da uno schiaffo di lui. Profondi graffi insanguinati comparvero sulla sua gota rosea, il sangue le colò dal viso lungo le spalle, insozzandole tutto il vestito. Nemesis la guardò inorridito, gli occhi sporgenti e iniettati di sangue, e si allontanò da lei brandendo un coltello. Rose lo guardò esterrefatta mentre lui si stracciava i vestiti di pelle nera, in preda ad una ceca collera, affondando nel petto muscoloso pieno di cicatrici le sue unghie e tracciando nel torace lunghi solchi insanguinati. Col pugnale trafisse ogni suppellettile lì presente, spense il fuoco con le mani nude ustionandosele, si strappò i capelli emanando grida selvagge. :"Nemesis, perchè fai così? Cosa ti prende?" "Io non posso amarti, non posso amare nessuno! Vattene" le gridò con voce roca Nemesis, una voce piena di rabbia repressa che non gli apparteneva. Rose gli si avvicinò ancora una volta bloccandogli i polsi, ma lui le mise una mano alla gola e gliela strinse, impedendole di respirare. Rose soffriva come non mai ma non lo lasciava. Non lo lasciò nemmeno quando lui prese a a schiaffeggiarle il volto senza ritegno, portandosi via anche la pelle delle guance ad ogni sferzata. Le lacrime di Rose si mischiarono al sangue che le ricopriva il bel viso, e la sua bocca si avvicinò alla guancia di lui. Nemesis si fermò di colpo quando lei lo abbracciò, i suoi lineamenti si distesero, e tornò ad essere umano per un breve istante. :"Io non posso amarti. Non sono più Nemesis, sono Wulf. Fattene una ragione"sussurrò alla fanciulla con voce stanca. :"Tornerò a riprenderti"rispose Rose decisa fra le lacrime"io tornerò e ti porterò via con me. Non mi importa se sei un licantropo, io ti amo così come sei" "Tu mi ami?"chiese incredulo Nemesis. Rose non seppe cosa rispondere. Lo amava si o no? La sua esitazione fece piangere Nemesis. :"Lo vedi? Nemmeno tu puoi amare un mostro!"e la strinse con forza bruta, rabbiosa, finchè Rose non sentì i muscoli contrarsi dolorosamente e cadde a terra priva di sensi.

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Siamo simili in molti modi, tu ed io. C'è qualcosa di oscuro in noi. Oscurità, dolore, morte. Irradiano da noi. Se mai amerai una donna, Rand, lasciala e permettile di trovare un altro uomo. Sarà il più bel regalo che potrai farle.
Che la pace favorisca la tua spada. Tai'shar Manetheren!


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 Oggetto del messaggio: vampiria
MessaggioInviato: gio dic 20, 2007 21:19 
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Iscritto il: gio gen 18, 2007 19:00
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vampiria

giaceva attorno a quel corpo...il corpo di quella donna che lei stessa aveva bramato.. desiderato...implorato.. nelle sue fantasie più recondite avuto... il corpo di quella donna che nella sua magnificenza era accompagnata da un'aura di oscurità.... guardava quel corpo che non aveva mai potuto avere... si compiaceva ad accarezzare quei capelli che parevan di seta nera... a fissare quegli occhi che fissavano il vuoto...quelle labbra...così tanto sospirate.. e sapere che quella donna era finalmente sua...tutto questo rendeva il suo macabro gioco ancora più eccitante.. oh quante volte le era stato negato quel piacere....quante volte la sua regina si era rifiutata di sentirla sua... guardava quel bel corpo che ai raggi della luna era ancor più bello.... passava le dita su quel corpo.. sorridendo... cercava di carpire il suo profumo... il segreto del suo essere... quello che stava sotto al suo velo di donna altezzosa guardando i suoi occhi... poi d'un tratto s'alzò... colse due rose rosse le ripulì con cura e le appoggio sul suo petto...volle..prima di concludere il suo macabro rituale..affondare le mani nel caldo ventre di lei...per un'ultima volta.. un'ultima volta ancora... sentiva la linfa della sua regina impregnarle le mani e scorrerle dentro.. dio che sensazione sublime... baciò infine quelle labbra insanguinate..assaporò il sapore del sangue della sua regina... della quale.. con quel bacio..aveva rubato l'anima...

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Ultima modifica di Histerya il sab dic 29, 2007 02:38, modificato 2 volte in totale.

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MessaggioInviato: mer dic 26, 2007 11:45 
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Località: Baronia di Sengir
Oltre la frontiera

Sean aveva tagliato e accatastato legna tutta la settimana. Era un lavoro schifoso, ma era anche l’unico nel raggio di chilometri. Il principale l’aveva pagato e gli aveva fatto capire di non ripresentarsi la settimana dopo. Quello era l’ultimo carico di legname della stagione. Ma a Sean non importava. Per una sera aveva le tasche piene ed era di buon umore. Era riuscito addirittura a lavarsi un po’ nel torrente che iniziava a sgelare, ed aveva trovato una camicia quasi pulita nel fondo del pick-up nel quale abitava. Ora aveva solo voglia di passare il confine e di trovare un bel localino canadese dove bere fino a stordirsi. A trovarsi un nuovo lavoro schifoso ci avrebbe pensato lunedì mattina. La strada passava in mezzo alla foresta, e a quella ora era completamente deserta. Gli alti tronchi bruni erano illuminati solo dai fari del pick-up di Sean, che procedeva spedito, accompagnato dallo sferragliare degli attrezzi gettati alla rinfusa sul pianale. Il ragazzo non aveva mai attraversato la frontiera in quel punto e iniziava a scoraggiarsi. Dopo l’ennesima curva però, quando già occhieggiavano le luci di un villaggio canadese, vide un cartello sbilenco sulla destra: “Il Poggio di Joe” lo aspettava a trecento metri. Era la taverna che Sean si aspettava di trovare, una vecchia casa di campagna col tetto riparato con tavole di legno e altri materiali di fortuna. Il posto perfetto per una sbronza da record. L’interno, come quello di tutti i posti alla mano da quelle parti, era caldo, amichevole e accogliente: la musica del complessino country non era troppo alta e non sembravano esserci attaccabrighe di sorta. La barista, una prosperosa contadina coi capelli rossi, gli mise davanti un boccale di birra gelata senza nemmeno parlare.
Dopo un piatto di zuppa e altri due litri di birra Sean iniziò a guardarsi attorno, a decifrare la fumosa atmosfera che lo circondava. Gli avventori erano in larga parte fattori, taglialegna, camionisti. Alcuni fumavano, altri giocavano a biliardo o a freccette, molti bevevano. A occhio e croce Sean era il più giovane. Aveva venticinque anni, ma le intemperie e il lavoro fisico avevano segnato i suoi lineamenti, conferendogli un aspetto duro e un po’ rugoso, oltre ovviamente a dotarlo della forza necessaria ad abbattere alberi di quindici metri a colpi di accetta. Sembrava essere il suo unico talento, o almeno sembrava l’unico per il quale i proprietari terrieri erano pronti a pagarlo. La ragazza sorseggiava un bicchierino di liquore seduta al tavolo, vicino alla grande finestra di vetro martellato. Al ragazzo piacque subito, forse perché mostrava un certo contegno. Aveva i capelli castani e gli occhi verdi, indossava un maglione grigio ed aveva più o meno la sua stessa età. Sean non parlava con una ragazza dalla stagione precedente (d’altronde non molte frequentavano la foresta, e ancor meno, anzi nessuna, si sognava di bussare al finestrino del suo pick-up). Ma quella sera aveva buttato giù almeno tre litri di alcol. Quindi si fece coraggio, si alzò e la raggiunse. “Scusa, posso sedermi?” le chiese. “Veramente sto aspettando il mio fidanzato” rispose. Era una scusa vecchia, l’avevano già usata con lui, specialmente d’inverno, quando i fiumi gelavano e lavarsi diventava più difficile. Dunque il ragazzo non si scompose. “Non credo che il tuo fidanzato ti darebbe appuntamento qui. E comunque non credo che ti farebbe aspettare da sola al tavolo di una taverna di taglialegna”. La ragazza gli rivolse un sorriso aperto e sincero, sciogliendo un po’ la sua cortina di diffidenza.
Sean lo interpretò come un invito a sedersi, e la fanciulla non sembrò dispiaciuta. “Allora, cosa sei un cowboy? Mi sembri americano…” gli chiese, sinceramente incuriosita. “Sono un boscaiolo. E tu sei una canadese dall’occhio fino.”. Lei gli rivolse un altro sorriso, e Sean iniziò seriamente a sperare. Seguendo una tattica già sperimentata fece cenno di aspettare, andò al bancone e tornò con due bicchierini colmi. Lei bevve il suo d’un fiato, senza diventare nemmeno un poco più rossa. Aveva la pelle chiara, e pareva reggere bene il liquore. Verso la mezzanotte avevano cambiato tavolo. Si erano spostati dietro un separé, al buio, e si baciavano con foga. Sean si sentiva stordito, il sangue gli ribolliva nelle vene e ormai non sapeva più quanto alcol aveva in corpo. Stringeva la ragazza, che gli stava seduta sulle ginocchia, e desiderava solo continuare a baciarla. Ad un certo punto la stretta divenne troppo forte, e lei gli sussurrò in un orecchio: “Senti, cowboy, se continui così finirai per spezzarmi come un fuscello. Perché non andiamo a casa mia? Ce l’hai la macchina?”. Il ragazzo non le rispose, si alzò e, tenendola per mano, la fece uscire fuori dal locale dopo aver saldato il conto. Saliti sul furgone si diressero verso il villaggio che Sean aveva intravisto in lontananza. Era lì che lei abitava. La casa era piccola, ad un solo piano, e aveva un piccolo giardino con un basso lampione che proiettava lunghe ombre. I due quasi corsero dentro, attraversando in fretta la sottile porta di legno. Il ragazzo non sapeva dove si trovasse la camera da letto, e non se ne curò. Semplicemente agguantò la ragazza per la vita e la sospinse sul divano. Tornarono a baciarsi. Il respiro di Sean si fece rapido e irregolare.
Ad un certo punto lei lo guardò intensamente, tanto che i suoi occhi parvero rilucere al buio. A quello sguardo Sean si sentì stranamente docile, aveva come l’impulso di piegarsi ai voleri della ragazza, di lasciarsi guidare. Si rese conto di sapere che lei desiderava baciarlo sul collo, senza che però avesse detto nulla. Lui obbedì a quel pensiero, e inizio ad aprire il colletto della camicia. Lei gli stava carezzando il petto con le labbra, ma lentamente risaliva verso il collo. Ad un tratto parlò.
Con una voce insolitamente dura ed ironica. “Voi giovani taglialegna siete delle prede così facili, basta camuffarsi da brava bambina e cadete subito in trappola. In effetti stasera avrei voluto qualcosa di più emozionante, ma è da un po’ che non mi nutro e, sai, la fame è così terribile…”. Sean sentì un dolore acuto quando i lunghi canini della vampira gli perforarono la giugulare, ma ormai non aveva più importanza. Lui voleva solo servirla, soddisfarla. Per questo fu immensamente felice quando lei prese a bere il suo sangue vitale.


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MessaggioInviato: ven dic 28, 2007 05:52 
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Ciò che ho di più importante

Faceva uno strano effetto vedere deserto il parco di fronte all’università. Di solito pullulava di studenti frettolosi che si spostavano da un blocco all’altro per seguire i vari corsi o che si dirigevano verso la metropolitana; a volte a gruppi, più spesso da soli e con l’orecchio attaccato al telefono cellulare.
Ma era tardi, le lezioni erano finite e l’ultimo treno era passato da un po’.
“Siamo quasi arrivati” disse Alec, abbracciando più forte la ragazza e dandole un bacio. Si allontanarono dal sentiero ed entrarono in una macchia di vegetazione buia.Vanessa tremava, e si chiese come facesse lui a non sentire freddo sotto al trench di pelle.
Una nebbiolina umida rendeva la luna un disco sbiadito in un cielo opaco.
Vanessa sentiva il calore del corpo di Alec, ogni loro respiro a contatto con il freddo si condensava in un vapore bianco che svaniva quasi subito.
Alec si sciolse dall’abbraccio e le consegnò una piccola torcia a pile. Poi si inginocchiò per terra e cominciò a scavare a mani nude nel terreno ghiacciato.
«Alec cosa…» provò a protestare Vanessa, ma il ragazzo la zittì deciso. Dopo alcuni minuti era riuscito soltanto a graffiare la superficie, aveva le dita livide e le unghie sporche di sangue.
«Cosa cerchi? Anzi, cosa credi di poter trovare?» la voce le uscì più stridula di quanto non volesse.
«Lo vedrai molto presto. È qui sotto, esattamente qui sotto».
Alec continuava a graffiare il terreno, lasciando nella brina solchi carichi di sangue che al tocco successivo si confondevano con il fango ghiacciato. Fu soprattutto il fatto che continuasse a scavare nonostante le ferite, piuttosto che la vista del sangue in sé, a spaventare Vanessa.
«Non c’è niente lì sotto, non c’è assolutamente niente! – sentiva il cuore batterle in gola - Smettila…» urlò.
Vanessa cercò di afferrargli le mani, buttandosi di peso sulla sua schiena, affondando il viso fra i suoi capelli che sapevano di nebbia e di tabacco, accarezzandogli senza volerlo il collo ghiacciato con la bocca. Riuscì a stringergli i polsi, ma non aveva abbastanza forza per impedirne i movimenti. Si rese conto che ora scavava insieme a lui – che voleva scavare insieme a lui -, le loro dita intrecciate, ferite, anestetizzate dal freddo del terreno.
Dopo il primo sottile strato gelato, trovarono terra soffice e calda, come se avessero lacerato la pelle di una creatura vivente e ora le mani fossero immerse nelle viscere molli e palpitanti.
Poi toccarono qualcosa di liscio e metallico. Alec allontanò Vanessa con una rotazione delle spalle. «Eccolo», sussurrò.
Passò ripetutamente le mani sulla superficie squadrata di una piccola scatola in ottone, e Vanessa, accanto a lui, non riusciva a capire se stava cercando di ripulirla o se al contrario volesse ricoprirla completamente di brevi scie di sangue e di terriccio.
Il ragazzo sganciò dal collo una catenina alla quale era appesa una chiave. Nella mente Vanessa rivide il corpo nudo di Alec, poche ore prima, a casa di lei. Mentre si stava rivestendo le aveva chiesto il lucchetto comprato insieme per la valigia della loro prima vacanza e non aveva al collo quel ciondolo. Vanessa era certa di non averlo mai visto prima.
Alec fece scattare la serratura. Lunghi insetti neri rigurgitarono dal contenitore e presero ad andare in tutte le direzioni. Vanessa urlò mentre lui guardava con distacco quei ributtanti esseri che gli camminavano frettolosi addosso, agitando le zampe spigolose e il corpo serpeggiante per guadagnare terra e allontanarsi.
L’interno della scatola irradiava una luce argentata che faceva sembrare un’armatura medievale l’esoscheletro degli ultimi insetti che uscivano. Il ragazzo buttò dentro qualcosa che provocò un rumore simile ad un sasso gettato in un lago. Il bagliore si attenuò piano piano fino a scomparire completamente.
«E adesso?» chiese Vanessa.
«Andrà altrove – rispose Alec –: chi tornerà a scavare in questo punto non troverà nulla».
«Cosa ci hai messo dentro?»
«La cosa più importante che ho - le disse voltandosi e dedicandole uno sguardo traboccante d’amore -: solo così potevo renderla eterna».
E continuò a contemplare la figura sottile e provocante della ragazza perdere consistenza, diventando prima lattiginosa e poi trasparente, fino a scomparire completamente. Un soffio freddo e leggero lo sfiorò e andò a morire all’interno della scatola. Alec la richiuse, vi appoggiò sopra la catenina con la chiave e prese a sotterrare tutto nella terra tiepida.
«Addio, Amore mio, ora sarai per sempre mia. Ci rivedremo presto, te lo giuro. Appena troverò la creatura che saprà mettere anche la mia anima in questa scatola, insieme a te».


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 Oggetto del messaggio: L'Inseguimento
MessaggioInviato: mar gen 15, 2008 03:01 
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L'Inseguimento

Quella notte la Luna pareva tormentata come una marea. Andava e veniva, coperta da sottili banchi di nebbia e da nubi lattiginose, proponendo spettacoli che mai il mio occhi aveva notato prima d'ora. L'intera foresta, che circondava la via da lui percorsa, era come viva, ballava un ritmo lento e costante, dondolante e placido. Non vi era vento, tanto meno pioggia. Aria serena, immobile. Questo rendeva ancor più strano la danza mistica di quegli arbusti. Ma egli non aveva tempo di osservare quell'insolito spettacolo. Altro per la testa, soprattutto altro per le gambe. Stava correndo oramai da due ore, senza alcuna sosta per ristabilire il suo esaurito fiato, o per riposare le doloranti membra, i muscoli tesi che domandavano pietà ad ogni nuovo passo. Eppure non poteva di certo arrestare la sua corsa, nemmeno per un secondo, e nessun metro di polverosa terra poteva perdere tra lui e quello. Non sapeva perché lo stesse inseguendo, non lo seppe mai. Vedeva la sua nera figura solamente quando i pallidi raggi dell’astro notturno illuminavano la via che velocemente percorreva. Di certo era un uomo, della sua specie, benché l'occhio affaticato tradisse il senso della vista, ma dal corpo massiccio, non esile figura bensì imponente sagoma di vita. Sentiva il suo immorale passo, che seguiva il mio ritmo e il battito del mio cuore. Come un fruscio, leggero, brancolante, insicuro no di certo. Sapeva ciò che desiderava. Chissà se egli poteva sentirlo, il suo cardio, mentre gli dava le ultime energie dopo ulteriore sforzo. Un uomo, ma non di questo mondo, che mai aveva varcato il portale per queste terre. Non si sentiva alcuna voce, né sussurro, né sospiro, né afflato di vita che si dipartisse dalla sua bocca silenziosa. Non cercava di richiamare la sua attenzione, non lo atterriva con minacce o grida. Pareva che mai egli fosse esausto, ad ogni passo nuova possanza liberava il corpo agli arti, e il suo passo doveva aumentare per non essere raggiunto. Sentiva ormai il sapore del sangue in gola, occhi rigonfi di lacrimi impassibili, ogni muscolo bruciava, e trovava il poco sollievo unicamente nel momento in cui si rilassava prima del nuovo colpo, la testa pulsava, non avvertiva il peso degli arti quando erano in aria, ma subito a terra si tramutavano in piombo sempre più greve da alzare. E quello gli teneva testa, sempre silenzioso, impassibile automa, mentre un freddo vento invernale spazzava il cammino, conducendo foglie e polvere in qualche remota sponda. Quale macigno si poneva nel suo stanco cuore, quale rete lo avviluppava dolorosamente, quale speranza oramai fallita? Cercava di fuggire o voleva solo osservare il suo predatore, sfidarlo per rendere più astrusa la fine? Oppure era quello a giocare con la sua vita, a sfiancarlo, dandogli l’illusione di una possibile quanto lontana salvezza? Era veramente la preda, e quello lo cacciava, quello era lo scopo della sua vita, il suo fine ultimo, e lui avrebbe vinto infine. Altro vento, e le nubi si scostarono del tutto, e vide pienamente il suo corpo oscuro, vide la sua forma aumentare il passo man mano che lui lo aumentava. Non vide i suoi occhi, ne il brillare di iridi nella notte; quasi come fosse un cieco animale, lo rintracciava con rumore ritmico dei suoi passi. Quindi improvvisamente arrestò la corsa, convinto di aver trovato il modo di riportare alla sua dimora la vita, sottile, quasi inesistente oramai. E quello si arrestò, immobile quanto io lo lui, e benché non lo vide bene, giacché non osava fissare la sua immagine, pareva stesse cercando la sua posizione. Allora mosse un passo, delicato, posando il piede ove nessun sasso e nessuna foglia potessero provocare un qualsivoglia scricchiolio. Quindi ne mosse un altro, e un altro ancora sino a precorrere qualche decina di metri. Si voltò, e inorridito osservò l’inquietante spettacolo che si parava alle sue spalle. Quale demone aveva deciso quella notte di render folle il suo intelletto, quale creatura del Tartaro si prendeva gioco della sua ragione? Voleva prenderlo vivo, voleva torturare i suoi sensi crudelmente portandolo alla pura inesistenza d’animo, spurgando il suo corpo dall’ultima scintilla di ragione. Non cedendo di un passo, si era avvicinato, snervante nella sua costanza, tremendo nella sua perseveranza. A tutti i costi voleva la sua preda. La sete di sangue non si sarebbe spenta così, avrebbe insistito, fino a raggiungere lo scopo che la sua bestiale mente si era prefissata. Era sempre molto vicino a lui, ma non lo avrebbe mai avuto, non gli avrebbe dato la possibilità di avere la sua vita, mai sarebbe accaduto. Estrasse il rilucente pugnale che pendeva alla sua cintola, lo avvicinò alla gola, e lo premette lentamente, lasciandolo scorrere, fino a che avvertì il sangue colare dalla ferita, mentre il respiro si affievoliva. Si voltò, ora spavaldo, con un perfido e vittorioso sorriso sulle labbra, che in breve attimo si spense, quando con i suoi occhi stanchi e vacui, fissò il suo inseguitore. E le mie iridi videro solo la sua stessa ombra, che lentamente si accasciava al suolo, fissa la muro, sotto i pallidi raggi della Luna.

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Il destino è nelle nostre mani, ora tocca a noi scegliere...
Il Male è in noi, noi siamo il Male
Quando la Morte verrà a prendermi, non vorrei essere qui


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 Oggetto del messaggio: Re: II CONCORSO GOTICO
MessaggioInviato: mer gen 16, 2008 18:35 
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L’ombra


E’ cominciato tutto qualche settimana fa. Stavo leggendo il giornale seduto tranquillo nella mia solita poltrona. Ad un tratto con la coda dell’occhio mi è parso di percepire un movimento, un’ombra fuggente che passava veloce dietro di me. Mi girai di scatto per vedere se fosse stata la stanchezza a farmi immaginare quell’ombra o se per caso fosse entrato qualcuno nel mio appartamento. Non vidi nulla di interessante, soltanto la mia vecchia lampada e la scrivania con sopra le carte che avevo appoggiato pochi minuti prima. Per sicurezza piegai il giornale, lo appoggiai sulla poltrona e seraficamente mi diressi verso l’angolo della stanza dove mi era parso di veder svanire l’ombra. Naturalmente non trovai nulla, d’altronde ero sicuro che non poteva essere entrato nessuno mentre ero al lavoro e quindi fu soltanto per un mio scrupolo eccessivo se mi decisi ad alzarmi e controllare. Tornato alla mia poltrona lessi ancora qualche articolo svogliatamente dopodiché andai a letto senza dar peso minimamente all’accaduto. Qualche giorno dopo, mentre stavo andando a lavoro ebbi l’impressione di vedere, sfuggente come quella sera, un’ombra. Mi girai ma come l’altra volta non vidi nulla di strano. La cosa mi mise un po’ d’ansia perché stavolta non mi sentivo stanco, eppure avevo avuto la stessa identica sensazione dell’altra sera. Passai tutta la giornata pensando a quell’ombra, tanto che ebbi, non più la sensazione, ma la certezza ormai, di averla vista altre due volte. Con il passare dei giorni la faccenda cominciò a mettermi in agitazione. L’ombra persisteva sempre più nel mio campo visivo e questo mi angosciava moltissimo. C’era qualcosa di strano ma in qualche modo quasi naturale in essa. Vederla mi dava fastidio, mi sentivo disgustato e lo sguardo cercava di evitarla. Però ora non era più soltanto un’ombra, era come una figura dai contorni più definiti, era qualcosa che mi sentivo di poter definire quasi umano. Passarono una manciata di giorni e quella figura assunse un aspetto ben preciso. Era ormai chiaro che fosse un uomo dall’aspetto trasandato e sciatto. Un uomo con gli occhi spenti e stanchi, capelli grigi e rughe attorno alla bocca. Vederlo mi disgustava e dall’espressione che assumeva quando lo fissavo a lungo anche lui probabilmente era disgustato dal mio aspetto. La cosa più curiosa è che nessuno pareva mai accorgersi di questo uomo che mi seguiva e addirittura mi fissava. Rapidamente il disgusto che provai divenne disprezzo, intolleranza, odio. Quando lo vedevo, e lo vedevo molte volte al giorno, la tentazione di alzar le mani su di lui era sempre incredibilmente forte, però riuscii sempre a controllarmi insultandolo soltanto. Ogni volta che lo insultavo spariva. Spariva per qualche ora, una volta è sparito per un giorno intero, così ormai avevo scoperto che quando proprio non ce la facevo più, non dovevo far altro che sibilargli il disprezzo che avevo nei suoi confronti per controllarlo. La mia vita in queste settimane peggiorò notevolmente, i passanti ogni tanto mi sentivano parlare da solo e, per evitare problemi in ufficio, mi presi un periodo di riposo. Passai molto più tempo in casa e anche questo disgustoso uomo passò tutto il suo tempo con me. Io mi sedevo sulla mia poltrona e davanti a me, appoggiato al muro, lo vedevo sfogliare le mie riviste. Mi giravo per non vederlo più e invece me lo ritrovavo seduto alla mia scrivania che scarabocchiava i suoi disgustosi segnacci sulle mie carte con la mia penna. In questi casi insultarlo non serviva a nulla. Lo insultavo e lui rimaneva indaffarato nelle sue odiose faccende, completamente incurante di quello che gli dicevo. Cominciai così, in uno scatto d’ira a tirargli addosso le mie suppellettili. In pochi giorni il mio appartamento è stato completamente distrutto dai miei scatti di rabbia. Quel mostre era sempre davanti a me, il suo aspetto odioso addirittura peggiorato. Sembrava che provasse la stanchezza per questa guerra che gli muovevo contro. Cominciai a malmenarlo. Non lo avevo mai toccato prima d’ora e soltanto allora scoprii che la sua consistenza era quella di un uomo normale e che dentro di lui scorreva un liquido rosso che poteva essere sangue. Non rispondeva mai ai miei colpi, anzi per i primi scomparve subito, poi ci si abituò man mano e dovetti faticare sempre più e colpire sempre più forte per cacciarlo. Il suo aspetto era disgustoso, aveva perso numerosi denti, aveva gli occhi gonfi e la pelle livida per le percosse subite. Le braccia erano coperte di graffi, tagli e anche di qualche morso. Eppure, ancora continuava a comparirmi davanti, grondando sangue e con il volto sofferente ma ancora odioso. Così, completamente sfinito da questa lotta presi un coltello dalla cucina e lo sgozzai. Per la prima volta gli sentii emettere qualche rumore. Prima il rantolio soffocato segno della riuscita della mia opera e poi il tonfo sordo del suo corpo morto che colpiva il suolo. E lì finalmente mi vidi, con la mano contratta sul manico del coltello insanguinato, la gola squarciata e gli occhi sbarrati. Finalmente vidi che quello che mi dava fastidio non era altri che la mia stessa figura, che il mio stesso essere. Il mio corpo mi era divenuto disgustoso, la mia vita era qualcosa di insopportabile per me, prigioniero in quel corpo in decadimento, costretto a vivere un’esistenza mostruosa. Quello che vedevo tutti i giorni ero io, quello che vedevo in quel momento, riverso a terra ero io. Ma ora ero libero, ora non dovevo più vedermi trascinare per strada, rotolare a casa e vegetare credendo di fare qualcosa. Ora che ero morto potevo finalmente vivere.

_________________
Amore è la legge, amore sotto la volontà

Ogni uomo ed ogni donna è una stella.


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 Oggetto del messaggio: Re: II CONCORSO GOTICO
MessaggioInviato: mer gen 23, 2008 18:28 
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Sogno Di Una Notte D'Antico Autunno


<<Tu mi parli di sogni, mio esimio interlocutore, con estrema semplicità e leggerezza. Lascia perciò, se mi è concesso, ch’io ti racconti la breve storia d’un uomo, il quale andò coricarsi a letto in una tranquilla notte di un ottobre da immemore tempo oramai passato, e mai più poté ritrovare la strada del risveglio…

Si trovò questi in un giardino fiorito, da verdi colli e sinuosi fiumi circondato, che la retta via aveva smarrito. Cinguettio di uccello alcuno udiva, né lo squittio di marmotta o coniglietto. Solo vagava in questo paradiso da vita nessuna percorso, alla ricerca di qualcosa la cui forma ignorava. Passo felpato e sguardo attento, guada il fiume e attraversa a gran falcate un colle, due colli, tre colli. E dove si trova, si chiederà il mio interlocutore? In un’immensa città, di mille luci illuminata, piena di vita, tal che il lieve ronzio ch’ivi sentiva quasi esplosione e gran trambusto gli pareva se confrontato al funereo silenzio che prima lo attorniava. Ma io la chiamai vita, forse? Temo vita non sia termine adatto, giacché mille e mille automi zigzagavano errabondi per le nere e luminose strade di orrendo materiale lastricate. E il terrore lo invase, ché si accorse di milioni e milioni di lucette rosse sollevarsi da’ visi metallici di simili esseri e puntarsi su di lui, sì che la fuga gli parve soluzione più logica e appropriata. Fugge fugge il mio povero protagonista! O mio interlocutore, temi per la sua sorte? O ne ridi, giacché egli da questo incubo dovrà pur uscirne? Ascolta senza interrompermi, mio caro amico: cercherò di far sì che le tue risate durino il maggior tempo possibile. Fugge e continua a fuggire, in preda a nero terrore, e in incredibile parco giochi, da mille colori afflitto, urlante di cristalline e fanciullesche risate, vomitante gioia e contentezza da qualsiasi suo anfratto, si imbatté. Ah, nauseante fu questa gioia per il nostro protagonista, che fuggì anche da questo paesaggio, imboccando tunnel sì buio e stretto, strisciandovi ansante, e sbucando in fiammeggiante villaggio, ove donne e bambini piangenti uccisi e trucidati erano da spietati barbari, e guerrieri loro impassibili continuavano la loro magnificente opera. Mariti e padri, in disperata difesa, perivano a fiotti! Quale incredibile spettacolo, ne convieni, mio interlocutore? Ed il mio protagonista, temendo per la propria incolumità, vide una botola lignea in fronte a sé, e vi si intrufolò per sfuggire codardamente a simili eroi. Ma non sì profondo quanto realmente fosse gli era parso. E cadde cadde cadde, fino a trovarsi in stanza oscura e buia, ove uomo singolo vi era, ad attenderlo. E calmo, invitò il mio protagonista a sedersi accanto a lui, su purpureo trono. Tremi, mio interlocutore? Perché sudi? Fermati, ti prego, non tentar la fuga, giacché inutile resistenza sarebbe. Questo è il regno mio, io Maestro dei Sogni, e forse che tu finalmente abbia capito che alcun sogno va sottovalutato. Il Sogno è un labirinto, o mio interlocutore e protagonista, e alcuna via di fuga troverai mai se non sarò io stesso a volerlo. Questo accade a misero e ignorante uomo, che ritiene il sogno essere solo connessione di chissà quale rete sinaptica della mente umana. Tu sei capace di identificare massimo orrore e terrore solo in vampiree creature, in licantropi dalle smisurate forme, in deambulanti cadaveri fuoriusciti dalle più nere profondità della terra. Ma rimembra, amico mio, che seppur qualsiasi di codesti mostri possa esistere sullo tuo mondo, e di angoscia riempire le tue tetre notti, è del mondo spirituale, da eterea forma descritto, che devi maggiormente fuggire.

Sogna anche tu, o mio lettore, ma ricorda questo: quando sogni entri nel mio regno, e quivi le mie sono le regole vigenti. Scienza alcuna qui vale. Chissà se questa notte, o mio lettore, potrai dormire sonni tranquilli…>>

_________________
Ridi, e il mondo riderà con te. Piangi, e piangerai da solo.
Ella Wilcox


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 Oggetto del messaggio: Re: II CONCORSO GOTICO
MessaggioInviato: gio gen 24, 2008 15:22 
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ANGEL

“Quante volte ho sentito il respiro profondo di questa città dall’alto dei tetti, quante volte mi sono perso nei miei ricordi più profondi, un tempo lontano, quando gioia, amore, felicità mi appartenevano… quando ero ancora un umano…”

Esistono orrori senza nome, dietro il velo della realtà vi sono mostri che ci spiano dalle ombre, scivolano nelle nostre vite, ma il mostro più terribile è il caso, fato direbbe qualcuno, l’imprevedibile che accade, la svolta a destra che non dovevi prendere, il posto sbagliato nel momento sbagliato.

“Scivolo via in queste tenebre, oramai ci sono avvezzo, i miei occhi vedono al di là del velo della vita comune di tutti i giorni e le notti sono diventate il mio rifugio.”

La vita degli umani è fragile, è una foglia autunnale spazzata da un vento sferzate, eppure non ci rendiamo conto di tutto questo fin quando non ci troviamo di fronte all’ultimo momento, fin quando non capiamo quanto sia preziosa ogni singola vita soppesandola con la nostra.

“Controllo che i pochi umani che si muovono nel mio stesso dominio possano dormire sonni tranquilli, mi sforzo affinché nessuno debba seguire il mio amaro destino e perdere la sua anima.”

Ci vollero pochi secondi, una macchina che di colpo si ferma in un posto isolato, una strada sbagliata, un destino beffardo e sadico. Di colpo mi fu strappato tutto, il mio amore, la mia vita. Mi difesi, sentii artigli mordermi le carni, continuai a difendermi perché dietro di me c’era colei che non potevo abbandonare. Infine caddi, ferito a morte e in quel momento vidi l’immagine persistente nel mio occhio sinistro, la vidi terrorizzata, trafitta e quell’essere che ne beveva avidamente il sangue.

“Una ricca casa con un roseto: bene, non credo abbiano troppi problemi se ne prenderò una. Colgo la più bella, la più maestosa, come lei, la più splendida tra le bianche rose di Maggio.”

L’orribile pasto dell’essere fu interrotto da un improvviso assalitore: non capivo se fossero semplicemente velocissimi oppure se la vista annebbiata del freddo abbraccio non mi permetteva più distinguere i movimenti. Alla fine la bestia riuscì a divincolarsi e a perdersi tra le ombre, mentre io giacevo morente… lei…

“Esistiamo: che la scienza o la ragione ci accettino o meno, esistiamo. Fino a prima del mio ingresso in questo mondo di tenebra, non avrei mai pensato potessi esistere ma adesso vedo le mie mani, per quanto incredibile non devo respirare, bere, mangiare… ho solo quella maledetta inestinguibile sete…”

"Mi dispiace ragazzo, ma credo che non ce la farai." Senti la voce profonda scendere come olio caldo sulla mia pelle. Oramai in agonia, non potevo muovere più un muscolo, la vita lentamente scivolava via. "Chi sei…" trovai la forza di sussurrare. "Uno che purtroppo non è arrivato in tempo però ti ho osservato da lontano, morendo il tuo talento verrebbe sprecato: che ne pensi di un patto?" Oramai non avevo neanche più la forza di rispondere, il freddo stava velocemente prendendo le mie membra. "Ho capito, non c’è altro tempo quindi sarò diretto: l’essere folle che ti ha appena distrutto la vita è un mio personale nemico." Si chinò verso il mio orecchio sussurrandomi dolci parole: "Ti propongo un patto: io ti permetterò di vendicarti e tu mi dovrai un favore."

"Vedo una macchina lussuosa fermarsi vicino ad una prostituta, una delle tante che affollano queste vie. Ho sempre saluto che tutto ha un prezzo, e che gli scambi spesso sono vantaggiosi per chi li propone quando l’altro è nella disperazione. Si fa mostrare i soldi, non molto in realtà, ed ecco che scambia il suo corpo, uno dei suoi pochi averi, per del denaro che per altro non rappresentano che pochi spiccioli. A me andò ancora peggio…”

"Suvvia, che cos’è quello sguardo torvo? Non dirmi che sei qui per uccidermi, saresti ridicolo oltre che ingrato: ti ho donato la vendetta, hai distrutto personalmente l’assassino della tua donna e così mi vorresti ricambiare? Ti ho conosciuto, col tempo, sei un bravo ragazzo oltre che di talento, ed hai anche visto che la nostra società non è neanche troppo diversa da quella degli umani, quindi non dirmi che vorresti fare la follia di cominciare la tua personale crociata contro un mondo che poi non ti è neanche ostile? Suvvia, è patetico, l’eroe solitario contro tutta una stirpe di esseri molto più potenti di lui." Si avvicinò sorridendo, sapeva di aver ragione. "Non ti ho fatto dono del mio sangue per sprecarlo in questo modo: sii ragionevole e non inseguire sciocchi ideali suicidi." Mi voltai ed andai verso una finestra: "Quando mi chiederai un favore fai in modo che non siano coinvolti umani o potrei perderla la ragione." così dissi e mi buttai giù, scivolando nella notte.

“Gli umani sono bellissimi: amano, gioiscono, ridono felici, tutto questo io non posso permettermelo più. Anelo e temo il tiepido sole, non posso sopportare la vista del fuoco ma vorrei tanto che qualcosa scaldasse il mio freddo corpo, soprattutto soffro poiché nessun caldo abbraccio d’amore, nessun bacio appassionato potrà mai più far palpitare il mio cuore, poiché io sono un mostro, un figlio delle tenebre, appartenente ad una stirpe che odio e con la quale, comunque, sono costretto oramai a convivere. Il mio girovagare mi porta infine alla lapide: vedo la sua foto sbiadita, bellissima, nel fiore degli anni, sorridente come la ricordavo. Poggio la rosa, chiudo gli occhi: dopo tempo ricordo ancora perfettamente il suo sguardo, i suoi occhi, posso sentire il calore dei suoi baci e la passione scolpita sul suo corpo. Ritornare alla realtà è maledettamente difficile, rimango accucciato per qualche altro istante prima di rialzarmi. Accarezzo il marmo, freddo come le mie carni, chiudo gli occhi ed una lacrima di sangue solca il mio viso e cade sul candido fiore e presto alcuni petali diventano scarlatti, diventando la metafora della mia esistenza: la mia rosa più bella finì nel sangue mentre nel sangue io sono nato, per quanto tenti di salvare il mio animo mantenendolo umano, il sangue sporcherà sempre il mio cuore condannandomi ad essere un mostro. Lascio il posto e corro via veloce: addio amore mio, la mattina è vicina e le anime dannate devono nascondersi, ed io tornerò a dormire il mio innaturale sonno senza sogni, neanche la speranza di poterti incontrare nel regno di Morfeo… amore mio, non so dove tu sia in questo momento, ma se un Dio esiste che abbia la pietà di farci rincontrare un giorno e che perdoni i peccati che in questo inferno già sto espiando.”


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 Oggetto del messaggio: Re: II CONCORSO GOTICO
MessaggioInviato: ven gen 25, 2008 22:15 
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Malkav


Non so più da quanto tempo, ne come, ma mi ritrovo qui in questa cella, a ripensare al mio passato.
Non so chi sono ne da dove venga, ma strani incubi mi impediscono il sonno.
Il mio volto riflesso in una pozza di urina appare distorto, eppure in quella distorsione so che c'è più verità che in uno specchio d'argento.
L'ambiente è umido e tenebroso.
Le pareti sono imbottite, ma qua e la vi sono lacerazioni come d'artigli. Il mio cervello le attribuisce ai topi, ma il mio cuore sa benissimo che c'è qualcosa di terribile oltre la porta di ferro arrugginito che spicca rispetto alle imbottiture muffose.
Il tempo non fa che progredire senza giorno ne notte, Dio solo sa da quanto tempo mi trovo qui dentro, e sono certo che la conoscenza di ciò mi sconvolgerebbe molto più che l'ignoranza Protettiva che mi cinge.
Ne un ragno, ne un topo, ne vento e ne raggio mi accompagnano, solo un'ombra che sa di sudato, di vischioso mi pervade, come una seconda pelle. Non so nemmeno cosa ci sia al disotto di essa.
Dalla fioca luce proveniente da sotto la porta posso solo intravedere le ombre del mio corpo scarno.
Perché?
Perché io, perché qui, e come? Da Quanto? Ma soprattutto, Chi?
Chi mi ha ridotto così? Il mio cuore ancora una volta mi guida, la domanda esatta non è Chi, ma Cosa, giacché nessuno su questa terra può trattare così un uomo rimanendo umano.
[...]

Eccoci, ci siamo, la fine è ormai giunta. Una luce accecante mi colpisce negli occhi ed io rabbrividisco. E' strano come un uomo possa odiare fino a qualche istante prima una cosa, per poi rimpiangerla amaramente. Quelle ombre che mi Incatenavano ora sono il mio più grande desidero, la mia culla amorevole, il mio unico appiglio. Fuggire verso la solitudine l'unica salvezza.Ma lentamente i miei occhi atrofizzati iniziano a funzionare dopo anni.
Riconosco per prima la mano che per anni mi serviva il pasto attraverso al grata, poi il lungo braccio ossuto, infine lo sguardo, sebbene tutto il corpo fosse occultato alla vista dalle ombre della forte luce, lo sguardo, ferale e predatore, demoniaco e corruttore, era ben impresso in quel volto senza lineamenti.
Ancora una volta il Cuore voleva reagire, ma stavolta non obbedii ad esso. Dalla mia bocca spalancata non uscì altro che un fiotto afono d'aria.
Poi con estrema lentezza, tanto che l'età dell'universo sembrava un infante, il braccio del carceriere si mosse verso me e mi cinse il collo, tirandomi su dalla posa rannicchiata del mio corpo.
In un Guizzo i canini affilati spuntarono dalle ormai visibili labbra pallide, per poi affondare nel mio collo che pulsava per quel poco di Sangue presente ancora in corpo.
La sensazione fu di puro orrore, raccapricciante e senza fine.
La mia anima defluiva via, lasciando il posto alla Bestia, il demone corruttore però fu sorpreso nel vedermi sfuggire fra le sue dita. Era stata forte, Gli anni di solitudine l'avevano rafforzata, era riuscita a volare via verso posti forse migliori, era riuscita a Dire di No alla non vita, Lasciando il mio involucro corporeo vuoto ed esanime. Lasciai un mondo che non mi apparteneva con il sorriso sulle labbra poiché il mio schiavista aveva una smorfia di rabbia a macchiargli l'espressione di trionfo che ostentava.

Finalmente avevo raggiunto la vera essenza.

_________________
ebbbene si ho tolto la mia firma storica :sese:
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i dadi sono sempre utili a chi gioca a D&D e Vampire


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