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 Oggetto del messaggio: Sir Orfeo e l’oltretomba “elfico” della tradizione celtica.
MessaggioInviato: ven feb 26, 2010 22:34 
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Località: Valm Neira (da non confondersi con Valmiera, capoluogo di provincia lettone).
Pretesto di questo intervento sia la recente pubblicazione, presso la casa editrice mediterranea, di un libro che porta ben in vista sulla copertina il nome di J.R.R. Tolkien : SIR GAWAIN E IL CAVALIERE VERDE, Perla e Sir Orfeo.

http://www.ediz-mediterranee.com/index.html?target=p_1817.html&lang=it

Non si tratta, onestamente parlando, di opere tolkieniane ma della revisione da parte dell‘abile Christopher Tolkien di alcuni degli appunti accademici del padre, ovverosia della traduzione, più o meno pedissequa, di tre poemi del trecento inglese. L’opera dove la mano di Tolkien padre si fa più sentire è il “Sir Gawain”, che fu tradotto in inglese contemporaneo e in stanze dalla metrica del tutto originale, dovendo essere adattato per venir letto in pubblico durante una trasmissione radiofonica (fu trasmesso dal terzo canale della BBC nel 1953).

Negli altri due poemi il grande fantasista inglese si è mantenuto più ligio al testo originale, ed in particolar modo è molto fedele al testo originale la traduzione di Sir Orfeo, visto che nel manoscritto tolkieniano essa è poco più che un abbozzo.
Proprio nel poema ispirato alla immortale vicenda del cantore tracio sono da ricercare tematiche particolarmente importanti, che avranno vasta eco nell’opera di tolkien, nella costruzione delle vicende e dei personaggi da parte del padre del fantasy calssico. È infatti palese che la storia di Luthien e Beren altro non è che una rielaborazione del mito orfico, nella quale la situazione viene capovolta, nel senso che è la ninfa ad ammansire il signore dell’oltretomba con il canto e a convincerlo a restituirle l’amato. Ma se la fabula può essere intesa come una rielaborazione diretta del mito originale, altri particolari di questo famoso capitolo del Silmarillion presentano maggiori somiglianze con il poema medio-inglese su Orfeo.
Sir Orfeo, ovvero King Orfeo è, come appare già dal titolo, una rielaborazione in chiave cavalleresca della storia del cantore tracio. Il protagonista e la sua Herodis sono un re e una regina nobili e cortesi, il cui regno di “Traciens” sarebbe situato dalle parti dell’odierna Winchester. Il sovrano è un cultore delle arti e suona lui stesso l’arpa. Singolare è il modo in cui la regina “muore”. Prima di essere sottratta al marito, infatti, la donna ha una visione nella quale viene corteggiata da un misterioso re degli Elfi, che le promette di portarla con se in un meraviglioso regno fatato, e infine minaccia di ucciderla, a meno che non si faccia rapire da lui. Il suo comportamento è quello tipico dei seduttori fatati della poesia popolare celtica e germanica, il cui esempio più illustre (e più inquietante) è l’Erlkoenig goethiano, che promettono morte ai mortali che non vogliono cedere alle loro lusinghe.
Nella descrizione del re, fornita dalla donna non c’è nulla di spaventoso e nemmeno nelle sue azioni.

Portava il re una corona sul capo
Non era d’argento né d’oro fiammante
Ma era fatta d’una pietra preziosa
Risplendente al pari del sole
E non appena mi giunse vicino
Lui mi afferrò, ch’io lo volessi o no,
e cavalcare mi fece insieme a lui
su di un palafreno, al fianco suo,
e mi condusse al suo palazzo
ben guarnito in ogni guisa,
e mi fece vedere castelli e torri
fiumi foreste e boschi fioriti
uno per uno i suoi splendidi destrieri
E quindi a casa mi ricondusse.


Testo medio inglese
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Traduzione tolkieniana

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Di fronte a lui si prova il timor panico causato dall’irruzione del meraviglioso nella vita reale. Per il lettore tolkieniano è particolarmente significativa la corona risplendente della magica luce di una pietra preziosa. Il re delle fate sembrerebbe un modello per l’abbagliante ma malvagio Morgoth.
Il re vuole difendere la sua donna da tale crudele corteggiatore, e l’accompagna sul luogo in cui l’elfo “marpione” le avrebbe dato appuntamento e conduce con sé una nutrita schiera in armi, prevedendo uno scontro con le fate maligne, ma proprio quando fanti e cavalieri sono schierati per difender la regina quest’ultima sparisce per incanto.
Persa la sua regina Orfeo crolla in un grande sconforto, in seguito al quale per poco non muore. Dopo la malattia decide di abdicare e si dedica a una vita di eremita nei boschi. Sua unica consolazione è la musica. Un giorno, mentre vaga in solitudine, l’ex sovrano s’imbatte in un corteo di dame di grande bellezza, sono sessanta fate-falconiere, impegnate nella caccia all’airone. Tra loro vede la moglie perduta e si mette all’inseguimento della compagnia. Segue le tracce delle cacciatrici fin dentro una montagna, e scende sottoterra.
Il regno sotterraneo in cui penetra ha caratteristiche contraddittorie. È invaso da una luce innaturale, sovrastato da una specie di volta celeste. È vasto, sconfinato ma conchiuso nello stesso tempo.
Al centro di questo regno immateriale il protagonista trova un palazzo meraviglioso, regale. Esso viene paragonato al paradiso, ma molti dei suoi ospiti vivono una condizione simile a quella dei dannati dell’inferno. Se è un aldilà ha caratteristiche del tutto diverse da quelle dell’oltretomba cristiano, innanzitutto per la sovrapposizione del luogo delle delizie e di quello dei supplizi. Somiglia più che altro all’oltretomba celtico, terra irraggiungibile di delizie e di eterna giovinezza ma anche di prigionia, di esilio dal mondo (tale è, per esempio, l’Annwn della mitologia gallese).
Eccone la descrizione.

Vide che stava dentro le mura
Gente che fu colà trasportata,
che morta fu creduta, e non lo era.
Alcuni erano senza testa,
e altri non avevano braccia
certi il corpo avean pieno di ferite
e certi altri, da pazzi, eran tutti legati
altri poi erano a cavallo tutti armati
certi mangiando s’erano strozzati
e altri eran nell’acqua annegati
altri dal fuoco tutti rinsecchiti;
C’erano donne sul letto del parto
Morte oppure uscite di senno;
E molti poi giacevano lì accanto
Come se fossero lì addormentati.


Testo antico inglese

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Traduzione tolkieniana
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La gente rapita dalle fate è quindi mantenuta nel castello magico in uno stato di continua agonia, e la cosa paradossale è che colui che regna su quest’inferno non ha affatto le caratteristiche di un demonio, e neppure somiglia a un cupo Plutone. E’ un re degli elfi risplendente e cortese, che ama le arti e la musica, e per questo, quando Orfeo gli offre il suo canto, vuole subito ricompensarlo, promettendogli di concedergli tutto quello che vorrà.

Il sovrano cantore, ovviamente, ha già adocchiato la sua bella Herodis tra gli “addormentati” e ne approfitta subito per chiedere di portarsi via la dama, confidando nel fatto che un Re non tradirebbe mai la sua parola. E il signore delle fate mantiene la promessa. Orfeo può portar via la sua regina, ritornare a casa con lei e riprendere in mano le sorti del regno.

L’Orfeo del poema inglese raggiunge dunque il suo scopo e riporta indietro la moglie dall’oltretomba, rispecchiando la versione più antica del mito, che prevedeva un lieto fine, visto che si trattava di una storia legata a radici sciamaniche, nella quale la “resurrezione” operata dal cantore rappresenta il recupero di un anima afflitta da parte del sapiente capace di muoversi tra i mondi.
La versione tragica della storia, nella quale Euridice resta agli inferi e il marito si consuma per il dolore è infatti più tarda, d’epoca ellenistica. In King Orfeo la storia del felice ritorno di “dama Herodis” dagli inferi onora tale tradizione più arcaica e sovrappone ad essa dei miti propriamente celtici.

A uno di questi fa riferimento l’erudito chierico Walter Map, cortigiano di Enrico II Plantageneto, nel suo De nugis curialium, collezione di racconti, aneddoti e varie notizie, iniziata nel 1181. Parla di come un cavaliere bretone, dopo aver seppellito la povera moglie, la ritrovi in un bosco, mentre intreccia carole insieme alle fate. La riprende quindi con sé e la riconduce a casa, dove la rediviva vive prosperamente per molti anni e genera con lui dei figli che la gente chiama “filii mortue” – i figli della morta.
L’autore del poemetto antico inglese dice di essersi direttamente ispirato ad un lai bretone. Probabilmente è la stessa narrazione a cui fa riferimento Map. Forse potrebbe essere stato uno dei componimenti perduti della celebre Marie de France, la più grande poetessa in lingua d’Oil.

L'interesse di Tolkien per "Sir Orfeo" è quello del grande studioso di letteratura medievale nei confronti di un’opera fondamentale e dalle radici misteriose, ma è anche quello dello scrittore, che cerca elementi di cui nutrire il suo immaginario. L’oltretomba fatato che il poema antico-inglese ha mutuato dalla mitologia celtica è sicuramente una delle fonti d’ispirazione per la concezione del contintente felice di Aman, terra degli Elfi e degli Dei, reame irraggiungibile per i mortali eppure collocato in un luogo concreto.
Similmente all'aldilà celtico anche Valinor è la più occidentale delle terre emerse ed è terra di eterna fioritura e di rigenerazione.
La figura del sovrano delle Fate di Sir Orfeo poi è affine a quei personaggi elfici tolkieniani che, pur nella loro grazia e nel loro splendore sono piene di protervia e superbia, come Curufin e il Thingol della "decadenza".
Ho poi già accennato alla sua strana somiglianza con Morgoth, abbagliante e malvagio signore, e amante, a suo modo, della musica.

_________________
Who is who in Val Neira ha scritto:
Hoijemondijs Dodgloptris Nyrtjainnen
Sacerdotessa di Lloth del casato minore Nyrtjainnen. Vanta altri titoli come Sacerdotessa dei riti della Tenebra - Maestra del culto della Fertilità - Custode delle Estreme Sapienze, legati alle sue attività magiche
.

rose ha scritto:
Hoijemondijs è dio :sisi:
Mitternacht ha scritto:
Ah allora è con lei che me la prendo di continuo XD


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 Oggetto del messaggio: Re: Sir Orfeo e l’oltretomba “elfico” della tradizione celtica.
MessaggioInviato: sab feb 27, 2010 00:48 
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Iscritto il: mar feb 03, 2004 12:50
Messaggi: 34449
Località: Valm Neira
Queste chicche di approfondimento impreziosiscono Valm Neira e mi rendono orgoglioso del mio piccolo "Giardino Oscuro" così ben tenuto dai moderatori. :sisi:

Ottimo lavoro Hoije, come sempre! :ok:

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Siamo simili in molti modi, tu ed io. C'è qualcosa di oscuro in noi. Oscurità, dolore, morte. Irradiano da noi. Se mai amerai una donna, Rand, lasciala e permettile di trovare un altro uomo. Sarà il più bel regalo che potrai farle.
Che la pace favorisca la tua spada. Tai'shar Manetheren!


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