Il cappello di paglia-seconda parte
Cercai il cappello ovunque nella piccola stanza situata nell’angolo dell’edificio a forma di trapezio rettangolo. Eppure del cappello non ce n’era traccia.
Così decisi per dimostrare a me stesso che non ero diventato completamente matto di chiede alla reception se qualche cameriera aveva trovato il cappello a falda larga, in qualche corridoio o sulle scale interminabili che conducevano alla mia camera.
Scesi le scale per vedere io stesso se fosse davvero caduto inavvertitamente. Ma il cappello doveva essere in camera, ne ero certo.
Arrivato alla Hole lo stesso signore che trovai ad accogliermi era dietro al bancone.
Chiesi se qualcuno aveva trovato quel cappello ma l’esito fu negativo.
La conclusione più logica era che qualcuno dovesse averlo raccolto e preso,
Rubato!
Ma qualcosa in me mi diceva che invece quello che avevo “sognato” era accaduto davvero. Ma come potevo pensare ad una cosa simile? Ero forse davvero pazzo? No era solo dovuto allo stress, senza dubbio.
Così ripresi ancora una volta le scale per schiarirmi le idee. I gradini erano ripidi, fatti in modo tale da risparmiare spazio, e come a confermare l’impressione iniziale di decadenza, qualche pezzetto del marmo era sgretolato o crepato.
Fermatomi al sesto piano per riprendere fiato qualche secondo, notai una figura infondo al corridoio del piano, entrare in una stanza, quella persona aveva indosso il mio cappello.
Maledetto!
Con passo deciso mi diressi verso la camera, arrivato li di fronte notai che da sotto la porta non filtrava luce, pur essendo ormai notte. Un’altra cosa a cui feci caso era che la stanza era la numero 669, ma osservando bene l’ultima cifra si vedeva benissimo che era un “6” rovesciato. Dando una rapida occhiata alle stanze precedenti vidi che i numeri si fermavano a 665. Probabilmente i proprietari dell’albergo avevano cambiato numero alla stanza per scaramanzia non volendo assegnare il fantomatico “666”.
Devo ammettere che per un attimo rimasi colpito dall’idea, ma infondo erano solo superstizioni senza alcun peso.
Così bussai sulla porta leggermente. Nessuna risposta.
Dopo qualche secondo bussai più forte e constatai che la porta in realtà era aperta. Dall’altra parte continuavano a non esserci risposte. Così armato di determinazione di chi vuole riavere qualcosa che gli è stato tolto, e vuole provare a se stesso di non esser pazzo, entrai nella stanza totalmente buia.
Subito chiesi se c’era qualcuno ma nessuno rispose. Cercai allora di accendere la luce, ma non funzionava. Diamine proprio ora che mi serviva.
Infine lo notai.
Era seduto su una sedia, con il mio cappello in testa. I lineamenti del volto non erano distinguibili ma i contorni dell’uomo era delineati da un fioco bagliore probabilmente le luci della strada che passavano attraverso la finestra e il tendaggio.
-perché non rispondete? Cosa ci fate con il mio cappello in testa?
Chiesi alla figura seduta di fronte a me.
Per tutta risposta ricevetti una risata sommessa che mi fece imbestialire ancora di più, spingendomi a muovermi verso quel uomo per sferrargli un sonoro pugno in faccia. Quando mi trovai a pochi passi da quello, una luce di un cerino, acceso vicino ad una sigaretta rivelò il volto del mio “interlocutore”:
Il volto era allungato e ricoperto da un fitta peluria che si allungava in un ciuffo sotto il mento, le orecchie erano caprine e pelose anch’esse, un pelo nero come la pece, come il più buio degl’incubi.
Corna spuntavano dalla fronte sporgente piccole ma aguzze. E gl’occhi; gl’occhi incorniciavano quella rappresentazione diabolicamente artistica dell’orrore. Due occhi di fuoco e fiamme, di tuono e fulmine. Due occhi profondi e malvagi come l’inferno stesso.
All’improvviso l’immagine di fronte a me si rivelò solo uno specchio, e appena questa immagine mi rimase impressa nella memoria, lo specchio si frantumò e l’oblio m’accolse.
[…]
Mi risvegliai con la testa dolorante.
Solo dopo qualche secondo compresi in che situazione mi trovavo.
Ero legato stretto ad una sedia di legno cigolante. Le ombre mi avvolgevano in una stanza vecchia e polverosa, rovinata dal tempo. Ripensai a quello che mi era successo prima di perdere i sensi e per poco non svenni di nuovo. Poi lo rividi. Il demone caprino si ergeva di fronte a me in tutto il suo orrore demoniaco, completamente nudo, anche se la folta peluria occultava il suo sesso, ammesso che ne avesse uno.
La creatura sorrise vedendomi rinvenire, poi parlò, con la voce più profonda dell’abisso stesso.
- patetico umano, ritieniti orgoglioso di quello che ti sta per accadere, tu sei stato scelto come ricettacolo.
I miei nervi già tesi non tennero il confronto e svenni, ma prontamente quel essere mi schiaffeggiò facendomi rinvenire, a mio malgrado.
- ti facevo più forte,
continuò il demone
-forse ho sbagliato a prendere te, ma ormai è tardi, accetta il tuo fato e affronterai meglio. Ora voglio raccontarti il tuo destino che ti appartiene fin dalla nascita, per poter cogliere il puro orrore che dovrebbe luccicare nei tuoi occhi quando capirai che sei mio schiavo da sempre, che non hai nessuna libertà di scelta e mai l’avrai. Vedi, ogni demone per assumere forma materiale e corrompere questo insulso mondo (anche noi siamo legati ad un destino avverso) deve fare uso di un ricettacolo, una creatura concepita con una parte di sangue demoniaco nelle vene, anche molto diluito, per compiere il rituale che sto per apprestarmi a completare. Il tuo fato sarà di venire assimilato alla mia memoria, la tua anima non è mai esistita quindi non soffrirai poi così molto.
La creatura sorrise a quelle sue ultime parole, mentre io sudavo freddo per la tensione.
Poi in un frangente di secondo, la creatura mi entrò completamente dentro, ma la sensazione che ricevetti era ben diversa. Era come se qualcosa fosse affiorato da dentro di me e non che fosse penetrato.
Il mio cervello quasi collassò, i muscoli e le ossa crepitavano sotto il nuovo potere che sentivo affiorare, tanto che temei, o meglio sperai, di implodere su me stesso, e di porre fine a quella insulsa esistenza che mi aspettava.
Poi una nuova sensazione mi pervase. Con il mio nuovo potere, spaccai la sedia su cui ero seduto, e mi sciolsi dai legacci che mi legavano. Mi ersi in piedi credendo di
essermi sconfitto, di averlo sconfitto. Poi il vuoto della volontà tolta.
[…]
L’odore di zolfo ammorbava l'aria nel vicolo buio.
Un uomo con un pizzo caprino ed un
cappello di paglia, usciva da una casa fatiscente nel cuore dell’isola.
Un nuovo male affliggeva il mondo ora, e presto altri ne sarebbero arrivati altri,
i figli del dio caprino dalle mille prole.