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 Oggetto del messaggio: Il circo della frustrazione
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Località: Il mondo bidimensionale
Il seguente racconto nasce da un motto dark: "Non siamo altro che stupide marionette che si divincolano ogni giorno in questo grottesco circo chiamato mondo."
Se spogliato della sua componente allegorica vi sono diversi aspetti autobiografici comunque ben celati, poiché come diceva Wilde: “Rivelare l’arte e celare l’artista è la mèta dell’arte.”
E’ dedicato ai repressi, agli inibiti e a tutti coloro che soffrono tra le catene invisibili del mal di vivere.
Per dirla in maniera dantesca ci sono cose che intender non può chi non le prova, or dunque è impossibile per i benestanti e per coloro che non hanno mai provato sulla propria pelle il terrore della morte e della povertà immedesimarsi ed apprezzare pienamente il valore rappresentativo di quest’opera.

Il circo della frustrazione
(Racconto dall’ambientazione allegorica)
Ho persino dimenticato la mia vita precedente a quella trascorsa nel circo della frustrazione: ricordo nitidamente che inseguivo fiducioso i miei sogni d’infanzia, quando la mia mente fanciullesca ancora informe operava scelte semplici e ingenue dettate dall’istinto.
Nella società regna il fine utilitaristico mentre l’uomo onesto lascia scaturire le cose da dentro di sé anziché ricercare elementi utili per convincere gli altri dei suoi propositi. Così quando ho respinto ogni condizionamento perseguendo solo la mia natura creatrice accompagnata da tanta incomprensione, mi sono ritrovato un giorno intrappolato in una casa degli specchi in preda alla disperazione.
Vetri
All’inizio il tutto mi parve divertente mentre tendendo le mani in avanti annaspavo in quel labirinto di riflessi guardando la mia immagine deformarsi negli specchi assumendo svariate forme grottesche come se divenissi l’elemento centrale di un tetro surrealismo. Continuavo senza darmi tregua a cercare un uscita, toccavo le superfici di vetro e a tratti finivo con lo strisciare per terra come un verme condannato a non poter vedere nulla all’infuori della propria immagine al punto che il mio aspettò cominciò a risultarmi nauseante.
Quanto tempo trascorrevo lì dentro mi era impossibile stabilirlo: le ore passavano e non disponevo più di alcun senso dell’orientamento cosicché tutte le direzioni mi sembravano uguali, e tra i capogiri che cominciai ad accusare potevo benissimo passeggiare intorno ad un piccolo spazio facendo avanti e indietro credendo invece di starmi muovendo in un'unica direzione. Col tempo, dopo aver urtato per troppe volte la fronte contro i vetri, mi sedetti esasperato al suolo per affidarmi alla ragione ma tutti quegli specchi m’impedivano di concentrarmi al punto che persino il pensiero più semplice si rivelava così pieno di sfaccettature da fare impazzire; non riuscivo più a vedere le cose da una prospettiva poiché non ne avevo più una che mi appartenesse.
La mia vista a quel punto cominciò a giocarmi brutti scherzi, e i miei movimenti motori non corrispondevano a quelli che si riflettevano sulla superficie del vetro. Forse la percezione che avevo della realtà era arrivata a collassare fino al punto di non essere più capace di controllare i miei movimenti, cosicché credendo di compiere un azione ne eseguivo invece un'altra opposta. Sbattere i pugni sui vetri cercando un modo per attirare l’attenzione di qualcuno era inutile: finivo solo per farmi male senza riuscire nemmeno a scalfire gli specchi lucidissimi; gridare era altrettanto superfluo, visto che il suono della mia voce tornava indietro come venisse risucchiato. In pratica qualunque cosa potessi fare con le forze di cui disponevo si rivelava solo uno spreco di energie, perché non avevo alcun modo di farmi udire dall’esterno.
Alfine giunse in mio soccorso la prestigiatrice Kosem che indossava come sempre un velo orientale sottile, quasi trasparente, come fosse l’antica sposa di un sultano: “firma il contratto.”
Aveva una voce nasale molto incisiva, con un intonazione tipica da zingara sebbene dovesse appartenere a tutt’altre origini da quanto si denotava dalla sua pelle chiara e i lineamenti che richiamavano l’antica bellezza femminile greca.
Potevo passare il resto dei miei gironi a vagare tra gli specchi o divenire un circense, ma ditemi voi se esisteva una scelta da operare.
Circo
Dinanzi a me, sotto l’accecante sole di mezzogiorno sostava il direttore del circo che indossava uno smoking elegante, con uno stravagante bastone dal pomo ingioiellato e con in testa un cappello a cilindro che gli calzava vistosamente stretto:
“Ti senti speciale? Le persone speciali devono stare insieme a tutti gli altri come risorsa sfruttabile, oppure andare a farsi fottere.
La vedi quella tipa laggiù?”
Rivolse lo sguardo verso una mima depressa:
“Un tempo era una ragazza brillante, ma poi è diventata scema e non sa mimare più niente di comprensibile, sai perché? Perché quel che non si piega si spezza. Che ti serva di monito. Detto questo spero ti troverai bene, altrimenti puoi pure levarti dalle scatole per quel che m’importa.”
Finito il suo discorso d’accoglienza mi indicò simbolicamente l’uscita che distava pochi passi, un cancelletto formato da due colonne che reggevano un insegna luminosa ad arco recante il nome del circo: vi stava ritratto un clown il cui rossetto sulle labbra era talmente pasticciato male, da farlo sembrare ricoperto di sangue come fosse Dracula dopo cena truccato da buffone. Quel filisteo abominevole sapeva benissimo che non avevo nessun posto dove andare perché il mondo per tutti i signor nessuno come il sottoscritto è una prigione senza sbarre.
Fallimento
A chi dovevo provare di non essere insignificante, quando mi toccava trascorrere i giorni chiuso in una roulotte sempre osservato dal mio padrone la cui sola presenza mi inibiva i pensieri, reprimendomi in una aura di desolazione difficilmente descrivibile a parole.
Ogni volta che lo spettacolo si concludeva e il circo si rimetteva in viaggio, desideravo gettarmi da quella casa mobile mentr’essa era in corsa. Non sapevo neanche i nomi delle città in cui ci spostavamo di volta in volta: un luogo valeva l’altro, tanto il circo veniva sempre rimontato oscurando col suo tendone l’intera vista dell’orizzonte.
Con un numero nello spettacolo, fare parte di quella farsa ambulante avrebbe avuto già un senso, invece mi toccava di restare confinato nel mio angolino insignificante, a sopportare le nevrosi di quella specie di carceriere col quale ero costretto a convivere.
Ognuno dei suoi ruggiti immondi improvvisi mi provocava contrazioni addominali e malessere, facendomi interrogare costantemente su cosa potessi fare per cambiare quella situazione.
Giunse il tempo di scrivere l’introduzione ai numeri dello spettacolo del giorno dopo, visto che a questo si riduceva la mia vita: non avevo neanche un ruolo di apparizione. Scrivevo solo quello che poi l’annunciatore ripeteva come un merlo indiano.
“Signore e signori, è il momento di un numero davvero eccezionale: tre acrobati si libreranno in alto sopra le vostre teste dando vita a una danza sospesa nel vuoto che vi farà venire il torcicollo tanto non riuscirete a staccargli gli occhi di dosso…”
Tutti questi anni di letteratura per finire a scrivere degli stupidi discorsi di annunciazione basati su quello che il pubblico voleva sentirsi dire, come se dovessi aiutarli ad autosuggestionarsi nello stare trascorrendo una bella serata. La loro opinione era talmente flebile e malleabile che bastava ripetergli in continuazione di stare assistendo ad un ottimo spettacolo affinché se ne convincessero a prescindere se ciò fosse vero o meno.
Non riuscivo a condividere nulla con gli artisti del baraccone ambulante, come se tutti in un modo o nell’altro accettassero quel tipo di esistenza che a me risultava umanamente inaccettabile; credevo che almeno avrei potuto avere un briciolo di complicità da parte del clown grottesco il quale era l’unico ad esprimersi con chiarezza su cosa pensava della gente davanti alla quale si esibiva. Un dì gli feci notare come il suo trucco fosse venuto male: “Che importa,” rispose “per essere un pagliaccio non occorre truccarsi bene: la gente non fa caso a questo, crede sia fatto apposta per renderti più ridicolo.
Da te pretendono la solita serie di gag sadiche vecchie quanto il cucco: l’altro clown ti mena e loro sghignazzano contenti; scivoli su una buccia di banana, fai finta di romperti l’osso del collo e li vedrai sempre soddisfatti. Così mi ritrovo ad ogni spettacolo a recitare all’infinito la parte del povero scemo che fa ridere quando sta piangendo e suscita piacere guardarlo in agonia.”
Alla fine però concludeva come tutti gli altri: “In fondo a me va bene così: lo so che ti senti represso e infelice, ma col tempo ti abituerai anche tu all’ambiente.”
Nessuno di loro avrebbe mai osato ribellarsi per riacquistare la libertà: stavano in piccoli gruppetti dissociati presi da un nuovo numero da preparare o qualche altra facezia simile che bastava ad impegnare tutte le loro risorse mentali.
Ogni qualvolta mi ripetevano che ci avrei fatto l’abitudine pensavo alla mima, un tempo intelligente prima che quel luogo la portasse ad un progressivo logoramento della psiche fino a distruggergli la mente, trasformandola in una bambina infelice che poteva soltanto trovare consolazione nel suo mondo interiore di cui ne traspariva un riflesso sbiadito in quei gesti quasi incomprensibili mediante i quali si esprimeva. Sarei diventato anch’io così, a furia di dormire la metà del necessario considerando gli incubi orrendi del sonno come quanto di più bello la vita potesse offrirmi. “Perché quel che non si piega si spezza.”
Puzzle
Scrivevo vari frammenti di un mio romanzo durante i momenti d’intimità che mi ritagliavo pagandoli a caro prezzo, ma davo per scontato che non sarei riuscito ad approdare a nulla di presentabile, così buttavo giù righe senza convinzione. Oltretutto dormivo malissimo e dedicarsi ad una qualunque attività artistica senza riuscire a tenere gli occhi aperti la rende smorta e di poco pregio.
Quando chiesi consiglio alla prestigiatrice per vincere i miei mali del sonno ella mi ripose:
“Esistono nella nostra mente anche i labirinti di carta: ovvero quei luoghi che ci costruiamo con le nostre mani e nei quali ci chiudiamo dentro da soli. Essi non hanno un uscita e son fatti di vie che non conducono da nessuna parte. C’è gente che vi rimane intrappolata dentro per una vita intera quando basterebbe toccare una parete per farli crollare interamente…”
Finalmente capivo che l’ossessione ricorrente della casa degli specchi fosse un labirinto di carta. Quando alfine buttai giù una lastra di vetro mi caddero tutte addosso lacerandomi le carni, e quei frammenti d’immagine mutarono nei tasselli di un puzzle. C’erano tutti per dar vita all’immagine completa, tuttavia il lavoro di incastrarli, ruotarli nel modo corretto era talmente noioso da farmi cadere in stato di torpore non appena cominciassi a districarmi con essi. “Metti assieme i tasselli, e avrai l’immagine. Mettili assieme e avrai finalmente la tua opera.” Così tra le distrazioni, lo stress e la scarsissima volontà, lentamente cominciai a mettere assieme i tasselli. Ad ogni elemento che interpretavo della mia vita corrispondeva un tassello. Feci molte teorie su cosa sarebbe saltato fuori, sul valore del disegno da ricomporre per renderlo da tutti visibile come fosse la rivendicazione del mio diritto di esistere. Ma alla fine quand’ebbi finito mi accorsi d’aver ricomposto soltanto lo specchio che avevo frantumato. Indi dinanzi a quell’ennesima delusione ruppi lo specchio di nuovo e il gioco dei tasselli era pronto a ricominciare d’accapo.
Così mi svegliai mentalmente devastato sotto il fracasso della televisione accesa.
Immagini che scorrono in continuazione, e gente che vomita parole senza sosta in maniera frenetica, malata e innaturale. Mi misi le mani sulle orecchie per non sentirla, concentrandomi nel lenire le pene della mia anima gemente con un cuore che si riempiva di tutte le azioni che non mi era dato di poter compiere.
Vedevo il volto nevrotico del domatore di leoni il quale era in perenne crisi di licenziamento e se ciò fosse accaduto sarei finito per la strada pure io. Tutto quel luogo sembrava sorretto dalla paura di dover scongiurare la miseria nera, perenne minaccia ed inesauribile fonte d’ansia e tormento. Ancora oggi ho la sensazione che la paura sia l’elemento che tiene assieme concatenate le esistenze umane come fossero i tasselli di un grottesco mosaico.
Incomprensione
Non c’era niente di più odioso delle pulizie, con quei detersivi tossici e dannosi alla salute sia fisica che mentale, giacché dopo averne respirato abbastanza cominciavo a sentirmi stordito e rincretinito. Ma guai a lamentarsi!
La mima era l’unica compagna di sventura che mi capiva così nel tempo libero mi sedevo accanto a lei a recitare i miei monologhi:
“Ciò che tanto mi arreca sconforto e frustrazione, non è solo la mia indole artistica ferita nel profondo, ma l’attuale situazione in cui mi trovo, impossibilitato a creare. Con le mie fantasie e le mie emozioni che vanno sbiadendosi da più di un anno ormai. Con esse va via la scintilla stessa che animava ogni mio pensiero e la mia mente non disporrà più di nessun rifugio per sfuggire alle tenaglie della realtà. Resterò completamente imprigionato in una dimensione sterile senza vita, senza creatività, ridotto alla stregua di quei stessi uomini privi di immaginazione che tanto mi destano orrore.
E’ questa la vera mancanza di libertà: agire sempre per costrizione e non poter mai agire per volontà propria pur avendone una. Per essere liberi è necessario che nessuno abbia più nulla con cui minacciarci: fintantoché bisogna lottare in continuazione per preservare se stessi dal venire distrutti non si riesce mai a realizzare nulla come lo si vorrebbe fare, e regnerà sempre un insoddisfazione di fondo, anche nelle rare volte in cui si è soddisfatti di qualcosa.”
Logoramento
Il voler stare solo indisturbato per un po’ di tempo lo pagavo a caro prezzo, privandomi del sonno prezioso e mettendo a dura prova i miei nervi. Ogni volta che mi svegliavano il mattino presto con quella dannata televisione a tutto volume il cuore sembrava scoppiarmi in petto, e con le pulsazioni accelerate affrontavo i compiti giornalieri in preda al malessere e alla confusione.
Capendo di non potere andare avanti in questo modo abbandonai i sogni e la parte di me del passato che non poteva più sopravvivere… basta fantasie e visioni: credevo di non poterne fare a meno, credevo di dover conservare a tutti i costi il lato più prezioso della mia persona, ma nonostante i miei sforzi mi ritrovai costretto a sprofondare in un inevitabile deterioramento, perché nel circo della frustrazione dove tutto era una pagliacciata grottesca, la realizzazione di se stessi e qualunque altro desiderio si rivelava un sogno lontano, struggente e impossibile.
Istante
Mi sembrava follia quel trascorrere intere giornate nella rievocazione dell’istante nel quale vidi la trapezista assonnata esercitarsi nel tendone vuoto, stando in equilibrio con l’asse sulla corda sospesa in alto. Forse era il mio vecchio istinto di scrittore che mi spingeva a cercare chissà quale attimo sfuggente o più probabilmente si trattava dell’agonia di un visionario stremato che non era più nemmeno in grado di trovare rifugio nella sua fantasia.
Continuavo ancora a rantolare di notte come uno spettro agonizzante che ogni tanto si guardava allo specchio, scorgendo nei suoi stessi occhi un bagliore del futuro nel quale egli era già un cadavere dentro una bara che non aveva avuto altro scopo nella vita se non fungere da cibo per i vermi del sottosuolo.
Assurdità
Della propria vita si parla spesso in modo troppo retorico, l’unica persona davvero concreta in questo luogo è colei che conoscendo importanti verità sa tessere straordinari inganni. Non parlo della morte, ma di Kosem: in un momento di disperazione andai da lei, le afferrai la mano e specchiandomi nei suoi occhi marroni le sussurrai di fuggire insieme. Adesso quando penso a quel momento mi sento patetico perché avevo osato una confidenza ed un affetto nei confronti della prestigiatrice ch’ella non condivideva affatto: “Che assurdità mi vieni a raccontare?! Vattene tu se ci riesci, tanto lo sai che il mondo là fuori può regalarti soltanto miseria e morte.”
Ecco svelata la mia chimera in quella frase: il demone reietto della miseria nera che stava sempre dinanzi a me in attesa, mostrando minacciosamente gli artigli. Riusciva a farmi soffrire tanto perché ero un codardo incapace di affrontarlo, così capii cosa fare quella notte: restando al circo la mia situazione non sarebbe mai cambiata in meglio, poteva solamente peggiorare, l’unica soluzione era quella di fuggire verso la mia paura più grande anziché vivere all’ombra di essa.
Fuga
Dietro le quinte della tenda dove era andato in scena lo spettacolo restavano ora inutilizzati gli arnesi e gli attrezzi dei vari artisti.
La mima aveva sbagliato il suo numero facendo da spalla al clown e il direttore del circo l’aveva punita prendendola a colpi di bastone; adesso lei barcollava come un fuscello e afferrando un pugnale da lancio desiderava porre fine a tutto quel dolore che gli veniva continuamente inflitto senza ragione.
Mentre piangeva l’accarezzai come fosse un animale ferito, notando come ella affidava completamente la sua vita nelle mie mani; così in maniera puramente istintiva senza riflettere più di tanto ci demmo a una corsa furiosa valicando rapidamente i confini del circo della frustrazione che ci lasciavamo alle spalle sorridendo senza timore alcuno nell’udire distanti le grida furibonde dei nostri padroni che ci richiamavano come fossimo dei cani.
Le nebbie dei ricordi si diradavano lentamente, ed ad ogni nostro passo lontano da quel luogo il presente ritornava ad acquistare forza. Quanto preziose mi apparvero le lacrime che solcavano il viso della mia compagna d’avventura, brillando al chiaro di luna, mentre spingevamo i nostri cuori verso l’ignoto.

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 Oggetto del messaggio: Re: Il circo della frustrazione
MessaggioInviato: mar ott 05, 2010 02:10 
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Iscritto il: gio dic 15, 2005 16:15
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leggo il prima possibile, oh illusoria, non ce la faccio a metterci testa ora come ora ^^ ho letto l'intro e pare buono :)

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 Oggetto del messaggio: Re: Il circo della frustrazione
MessaggioInviato: mar ott 05, 2010 11:10 
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Iscritto il: ven set 07, 2007 12:19
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Località: Nelle oscure terre boschive elvetiche...
Decisamente molto bello come racconto :sisi:
Ben scritto e scorrevole, sebbene pregnante e avvolgente.
Ho notato solo due errorini,uno penso di battitura, un altro invece di genere :d

Illussoria ha scritto:
Potevo passare il resto dei miei gironi a vagare tra gli specchi o divenire un circense, ma ditemi voi se esisteva una scelta da operare.


e poi

Illusoria ha scritto:
adesso lei barcollava come un fuscello e afferrando un pugnale da lancio desiderava porre fine a tutto quel dolore che gli veniva continuamente inflitto senza ragione.



Per il resto, una domanda: è ispirato autobiograficamente?
Mi è comunque piaciuto molto, scritto veramente degno di nota :sisi:

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"L'uccello si sforza di uscire dall'uovo.L'uovo é il mondo.Chi vuol nascere deve distruggere un mondo.L'uccello vola a Dio.Il Dio si chiama Abraxas."


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 Oggetto del messaggio: Re: Il circo della frustrazione
MessaggioInviato: mer ott 06, 2010 04:03 
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Località: Il mondo bidimensionale
Ma certo Lok, il racconto non va da nessuna parte, leggilo con calma quando più ti fa comodo. Sebbene sia scorrevole non è proprio easy.
Ringrazio Abra per i complimenti.
Abraxas ha scritto:
Per il resto, una domanda: è ispirato autobiograficamente?

Per risponderti bene dovrei dilungarmi parecchio, ma cercherò di sintetizzare: il circo della frustrazione è la metafora di un luogo che inibisce, reprime e nega ogni spazio creativo all’artista il quale viene portato all’esasperazione e ad un irrefrenabile desiderio d’evasione da una realtà insostenibile contraria a tutto il suo essere. E' in pratica il contesto in cui ho vissuto buona parte della vita.
Il progetto originale era molto diverso, ma per una serie di ragioni feci prevalere la componente cerebrale di cui l'ambientazione fa solo da sfondo e vi riversai sopra i miei drammi esistenziali e psicologici. Con quest'approccio si rischia facilmente di scadere in mere retoriche o in sfoghi fini a se stessi e per evitarlo bisogna ricercare il senso artistico, il lato simbolico delle propria condizione avversa e torbida, senza dimenticare mai di dar valore alla vita anche se ti gettano a marcire nella fogna (certo non è semplice quando si fa strada un nichilismo totale, assieme a quella sensazione di essere delle persone inutili senza scopo).
La genesi è grossomodo la seguente: in quel periodo (e ancora oggi), riuscivo a scrivere solo poche righe, dopodichè la mia mente cedeva; dunque ero capace solo di realizzare brevi frammenti di per sè inutili, così per necessità elaborai un sistema a mosaico: l'assemblaggio di frammenti ordinati in modo da costruirci sopra una sequenza temporale. In questo modo è stato scritto il racconto.
Una volta collaudata questa tecnica da scrittori moribondi, la utilizzai nuovamente per realizzare Black Alley (il seguito del Circo della frustrazione).

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 Oggetto del messaggio: Re: Il circo della frustrazione
MessaggioInviato: mer ott 06, 2010 11:44 
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Iscritto il: ven set 07, 2007 12:19
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Località: Nelle oscure terre boschive elvetiche...
Figurati cara ^_^

Comunque ti ringrazio della spiegazione, e devo dire che questo rende il tuo lavoro ancora più meritevole: sono pochi gli artisti che prendendo spunto dalla propria vita non la riempiono appunto di mere retoriche.

Ottimo lavoro ;)

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 Oggetto del messaggio: Re: Il circo della frustrazione
MessaggioInviato: sab ott 09, 2010 17:15 
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Iscritto il: gio dic 15, 2005 16:15
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Località: TERNI!
bellino assai, mi ha colpito molto la scena del puzzle, una catarsi inutile difronte a ciò che crediamo noi stessi. Abbastanza incongruente col contesto invece, la totalmente slegata dal resto del racconto figura della mima, ma non per questo meno azzeccata, magari avrei lasciato più spazio prima per descriverla meglio.

;)

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