Il forum dei Drow, dei Vampiri e delle creature dell'oscurità
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 Oggetto del messaggio: Black Alley
MessaggioInviato: sab ott 09, 2010 23:12 
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Località: Il mondo bidimensionale
Questo è il seguito del Circo della Frustrazione.
Black Alley è la versione dark allucinata della Trenchtown di cui parlava Bob Marley nelle sue canzoni.
Black Alley
(Seguito del Circo della frustrazione)
Tra le strade claustrofobiche di Black Alley molti hanno perduto la mente;
in quel quartiere ai confini della miseria si sente l’odore della morte mentre percorrendo i vicoli stretti come interminabili corridoi, gli edifici sembrano pronti a crollarti addosso.
Le energie di quelli che finiscono a viverci vengono divorate come se la propria anima venisse fatta a brandelli da una forza sconosciuta che si muove nell’aria pesante e soporifera. L’indifferenza e la dissociazione sono l’ingrediente finale nel forgiare quella lenta agonia in attesa del nulla eterno, al quale l’esistenza non sembra nient’altro che un preludio malriuscito.
Il suolo a tratti è una ghiaia fangosa ove durante le piogge si formano delle pozzanghere dove vanno specchiandosi coloro che hanno dimenticato il proprio volto.
C’è chi si convince d’essere un morto tra i vivi, chi d’un tratto si siede da qualche parte dentro un edificio e decide di non alzarsi mai più.
A regnare in quel luogo desolato è solo la stanchezza di chi è stremato fino a soccombere.
La chiesa di un Dio superfluo sfama la gente del ghetto, e sul confine opposto si erge un cimitero d’auto dove alcuni uomini scompaiono misteriosamente.
Ricordo
Assieme a una giovane mima vittima di una sindrome degenerativa avevo lasciato il circo della frustrazione verso una meta sconosciuta, vagando per strade e sobborghi di una città di cui non sapevo neppure il nome. La mia compagna mentre passavamo dinanzi a un vicolo battezzato “Black alley” salutò ingenuamente dei delinquenti che le si avvicinarono agitando le lingue in modo osceno. Per concederle il tempo di fuggire affrontai disperatamente quei tizi, e venni picchiato con una violenza tale da ridurmi in uno stato di semi-incoscienza nel quale con la vista offuscata mi mossi verso un palazzo dal portone aperto in cerca d’aiuto… riuscii persino a salire un piano di scale, trovando rifugio in un appartamento vuoto la cui porta era socchiusa.
Questo è quanto ricordo: un camminare a quattro piedi con la mente assente, come una facile preda ferita mortalmente a cui nessuno interessava infliggere il colpo di grazia.
Tormento
Le mura di quell’appartamento erano ricoperte di parole e frasi, come se chi fosse passato da lì avesse voluto lasciare una sua impronta, forse per motivi simili agli ideogrammi che gli uomini preistorici incidevano sulle pareti delle caverne…
Ero seduto su quel pavimento da dodici ore senza mangiare e senza dormire, così lessi innumerevoli volte le scritte che adornavano le pareti vuote di quella stanza che forse un tempo era un soggiorno. Alcune frasi parlavano di amore ma erano sterili e superficiali, mentre altre racchiudevano in sé l’essenza delle anime tormentate. Scritta in un rosso scuro a grandi caratteri in stampatello una frase era in risalto su tutte: “Tu che sei prigioniero di questo luogo degradato, accetta un vano consiglio: vattene se puoi ancora farlo.”
D’improvviso sentii uno strano rumore simile al cigolio di una porta, ma ero troppo debole persino per sobbalzare, così tornai ad immaginare una foresta sconosciuta immersa nell’oscurità dove gli alberi spogli apparivano distorti ed i colori a tratti svanivano lasciando posto ad un ambiente sfocato pieno di sagome nere che camminavano verso una strana luce bianca all’orizzonte. Mi sembrava di dormire da sveglio, e le lettere sulla parete di fronte mi aiutavano a distogliermi dalle mie visioni, poiché le utilizzai per focalizzare nuovamente l’attenzione sulla realtà. Così allenavo la vista nel leggere le parole scritte in piccolo, in particolare vi era una frase in nero che si distingueva per l’eccellente calligrafia del suo autore: “Se esiste un sonno senza sogni, dove non vi sono né immagini, né suoni, né pensieri, allora forse anche i morti possono sognare.”
Ragazzina
Udivo le pentole far rumore nella cucina, evidentemente non ero solo. La porta d’ingresso doveva essere aperta e chiunque poteva entrare, del resto quella non era certo casa mia. Io ero solo di passaggio, ma totalmente privo delle forze necessarie per proseguire; la vita è in gran parte una questione di pura energia.
Mi arrecava fastidio tenere la testa sul collo come se questa fosse diventata un peso troppo pesante per il mio corpo che avrebbe voluto in qualche modo liberarsene, dunque la tenevo bassa, china sul pavimento, scorgendo dei piedi scalzi muoversi lentamente per la camera. Quando sollevai la vista dal suolo vidi una ragazzina dai capelli lunghi, le cui vesti erano sporche e strappate. Aveva un espressione assai cupa e continuava a muoversi indifferente alla mia presenza.
“Cercavi da mangiare?”
Ma la ragazza anziché rispondermi si limitò a fare dei gesti con la mano come se volesse vedermi in piedi.
Chi mi poteva dire che fosse reale? Probabilmente il silenzio opprimente di quel luogo era risultato insostenibile per la mia mente la quale aveva cominciato a costruire da sé le immagini e i suoni di cui era stata privata troppo a lungo. Prima erano solo visioni, e forse in quel momento si stavano persino materializzando di fronte a me. Quella ragazzina era troppo innaturale, perché non portava le scarpe? Inoltre sembrava uscita da uno di quei classici film horror di bassa lega.
Ma poi perché mai avrebbe dovuto sprecare il suo tempo con un tizio mezzo morto con cui evidentemente non voleva parlare? E perché all’improvviso cominciò a fissarmi con uno sguardo accusatore, come se nutrisse odio nei miei confronti?
Avrei voluto avere un olfatto abbastanza acuto da poter avvertire il suo odore, poiché nei piccoli dettagli risiede la chiave di lettura per smascherare le finzioni ordite dalle nostre menti in parte imperscrutabili, nella misura in cui innescano una serie di processi di cui non siamo pienamente consapevoli.
All’improvviso le mie palpebre si chiusero magicamente da sole ed io mi lasciai tutto alle spalle, abbandonandomi al sonno lungamente invocato.
Astrale
Mi sembrava d’avere piena coscienza, e faceva un effetto davvero tremendo poter osservare se stessi fuori dal proprio corpo. Mi trovavo innanzi a me, osservandomi seduto con il collo storto a sinistra in un profondo stato d’incoscienza come se non stessi nemmeno respirando. Mi guardai meglio da vicino, appoggiando l’orecchio sul mio petto per sentire il battito cardiaco ed effettivamente era fermo.
Indietreggiando spaventato andai ad inciampare sul cavo di un amplificatore, e piombai violentemente sul pavimento provando un certo dolore. Scoppiai a ridere di gioia, poiché vedevo il mio riflesso sulla grancassa di una batteria, ed io ero fisicamente integro. Mi sfuggiva soltanto chi fosse quel tizio identico a me che si trovava stecchito nello stesso punto in cui mi ero appisolato in precedenza.
C’erano degli strumenti nella stanza e dei tipi le cui folte capigliature nascondevano interamente i loro volti: sfioravano le corde delle chitarre senza produrre alcun suono ed il batterista faceva soltanto finta di fare rimbalzare le bacchette sui tamburi. Della loro musica non si sentiva una nota eppure mostravano tutti un aria assorta e concentrata fino a quando un violino al piano superiore non si fece sentire con un eleganza e degli stacchi perfetti. Chi poteva in un luogo così degradato dare prova di tanta maestria?
I tipi che stavano nella mia stanza evidentemente non apprezzavano la vera musica, così si dissolsero mentre io ad ogni passaggio dell’archetto tra le corde salivo di un centimetro verso l’altro fino a raggiungere il piano superiore ove vidi chi suonando aveva alleviato le mie pene. Una donna austera, ormai prossima alla vecchiaia, suonava senza spartito con lo sguardo rivolto fuori dalla finestra. Volevo applaudirla dicendogli che era bravissima, ma il battito delle mie mani non si sentiva e la mia bocca era solo in grado di mimare le parole senza che queste venissero realmente pronunciate. A tal punto mi accorsi di come fossi ancora inerme al piano sottostante e continuando a sostare sul piano astrale probabilmente non avrei più riaperto gli occhi. Avevo bisogno di aiuto se non volevo fare di quell’edificio la mia tomba, così cercai in tutti i modi di attirare l’attenzione della violinista: la toccavo senza che mi sentisse e mentre avevo l’impressione di starmi dissolvendo emisi un ultimo gemito disperato nell’istante in cui sprofondavo nuovamente al piano di sotto per ritornare nel mio corpo. Vidi di sfuggita la violinista voltarsi di scatto e poi tutti i miei pensieri si dipinsero del colore di cui si veste il mietitore.
Fantasmi
Molte sagome curiose filtravano oltre la tenda posta innanzi alla finestra, tra cui quella di un pettirosso che volò via non appena accarezzai la sua ombra proiettata tra le lenzuola.
Smarrita e affamata vedevo a volte la mima lungo la strada sottostante, ma non avevo le forze nemmeno per alzarmi in piedi, e ancora non ero capace di esprimermi con chiarezza presso la gentile signora che mi ospitava.
Non ebbi un idea precisa di cosa avvenne durante quel lungo spazio nero che separava il me stesso del piano sottostante da quello situato sul comodo letto ove giacevo. Sentivo tuttavia la mia mente come in uno stato di paralisi, giacché mi invadeva la sensazione d’averla perduta, riacquisita e disimparato in parte ad utilizzarla. Nei momenti di ansia che mi ghermivano all’improvviso senza causa apparente, rimasi turbato nel pensare che proprio sotto di me c’ero io, e mi sembrava vi fosse un essere identico al sottoscritto che giaceva ancora al piano inferiore. Sentivo a volte da laggiù provenire dei rumori strani come tonfi sordi immaginando il mio fantasma desideroso di salire le scale raggiungendo quel piano per distruggermi.
Tremando di paura, percorso brutalmente da dei brividi di freddo improvvisi, vissi ogni ora come se la mia fine fosse imminente e l’incoscienza del riposo mi faceva sentire talmente inerme da non voler chiudere mai occhio.
Violinista
Ella si prese cura di me senza tuttavia mostrare alcun calore umano: sembrava perennemente assente come se vivesse in un altro mondo, o forse ero io troppo distante da qualunque cosa avessi attorno.
Per la strada a volte si assisteva al fuggi fuggi di alcuni disgraziati perseguitati dai poliziotti di zona per qualche insignificante furtarello. Quegli inseguimenti si trasformavano solitamente in delle zuffe dietro l’angolo, sebbene dalla finestra si potesse vedere solo un frammento degli eventi ai quali facevo da spettatore.
Man mano che andavo recuperando le forze riuscendo anche ad alzarmi in piedi, pensavo al momento in cui avrei dovuto lasciare quell’appartamento, inquietato dal fitto agglomerato di case con tutte le minuscole ed asfissianti stradine che facevano venir voglia di fuggire il più lontano possibile da quel quartiere maledetto. Mi stavano per ammazzare poco dopo averci messo piede, eppure qualcosa mi diceva che da lì non me ne sarei mai andato, essendo ormai stato marchiato a fuoco sul confine della miseria da cui non si torna più indietro.
Non appena la violinista mi vide in piedi in condizione di camminare andò ad aprirmi la porta che conduceva all’esterno della sua abitazione invitandomi ad andarmene.
Un saluto austero fatto di un semplice movimento del capo e non la rividi mai più.
Strade
Uscendo dal palazzo mi sentivo più insignificante e inutile di un morto, come se nessuno desiderasse la mia presenza e fossi vivo solamente grazie a un atto di compassione da parte di quella signora con un intero mondo di musica chiuso in una stanza, circondata solo da fantasmi da scacciare, continuando a far riecheggiare tra quelle sorde mura il suo talento ignorato.
Ritrovai la mima a contemplare un piccolo fiore selvatico che cresceva accanto al muro nero che aveva ispirato il nome dell’intero quartiere. Ella, sporca e denutrita com’era, mi venne incontro radiosa dandomi un lungo abbraccio pieno di calore nel sentirsi di nuovo protetta e al sicuro.
Da allora la mima tornò ad essere la mia ombra e mai più ci separammo trovando rifugio in un locale abbandonato, finendo nel convivere con tossicodipendenti e folli d’ogni genere come quel signore grasso e malato che da un balcone s’affacciava per imprecare frasi incomprensibili contro tutti i passanti che gli capitassero sotto tiro.
Non vedemmo più niente aldilà di quelle strade claustrofobiche dove molti hanno perduto la ragione; solo un agile gatto nero riusciva ad arrampicarsi sulla sommità di quegli edifici potendo ancora osservare le albe e i tramonti.
“Il mondo è una prigione ormai,” mi disse una volta la prestigiatrice del circo “siamo rinchiusi in delle realtà insostenibili nelle quali non si riesce a vivere, e da cui non si può rifuggire da nessuna parte all’infuori del proprio intimo angolo buio.”
Eppure a volte mi capitava di passare presso l’edificio infestato, cercando di scorgere dalla finestra la sagoma della violinista solitaria di cui mi bastava sentire per un pallido istante il suo archetto accarezzare le corde dello strumento affinché le lacrime mi solcassero il viso.
Ogni nota che giungeva fievole alle mie orecchie mostrava tutto il sentimento represso che proprio per non poter trovare sfogo, proprio nella negazione di ogni possibilità di realizzarsi, proprio perché è necessario convivere in ambienti simili, trova una maggiore e limpida elevazione, come se in mezzo ad una simile lordura si vengano formando degli angeli dentro grandi gabbie per uccelli circondate di tenebra.

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Non siamo che polvere e ombra.
(Orazio)


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 Oggetto del messaggio: Re: Black Alley
MessaggioInviato: dom ott 10, 2010 10:48 
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Iscritto il: ven set 07, 2007 12:19
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Località: Nelle oscure terre boschive elvetiche...
Grottescamente coinvolgente, lascia un attimo un po' sconcertati da quanto gli stati d'animo del protagonista riescano ad essere sentiti cosî vicini ed estranianti.
Bellissima la figura della violinista, ottima associazione della musica con un ambiente come quello che regnava a Black Alley.

Ancora complimenti cara ^_^

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"...muoio ogni attimo e rinasco nuovo e senza ricordi:vivo e intero,non più in me, ma in ogni cosa fuori."

"L'uccello si sforza di uscire dall'uovo.L'uovo é il mondo.Chi vuol nascere deve distruggere un mondo.L'uccello vola a Dio.Il Dio si chiama Abraxas."


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 Oggetto del messaggio: Re: Black Alley
MessaggioInviato: mar ott 12, 2010 02:33 
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Iscritto il: lun apr 21, 2008 02:45
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Località: Il mondo bidimensionale
Grazie come sempre Abruxa.
Anche qui, come ha fatto presente Lokunos nel precedente racconto, non approfondisco a dovere il personaggio della mima, cosa mi son promessa di fare nel terzo ed ultimo racconto della serie.
Black Alley tecnicamente e stilisticamente non è perfetto, alcune sequenze sono un pò grezze, ma è comunque abbastanza espressivo. E' un ambientazione che da tempo vorrei riprendere a narrare perchè quando hai perduto ogni bene materiale vieni purificato dal superfluo in virtù dell'essenziale ed il senso umano riacquista il suo autentico valore.
Mystical ne sarà una sorta di "evoluzione," sebbene quest'ultimo e pò lunghino per postarlo nel forum.

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 Oggetto del messaggio: Re: Black Alley
MessaggioInviato: mar ott 12, 2010 12:24 
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Iscritto il: ven set 07, 2007 12:19
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Località: Nelle oscure terre boschive elvetiche...
Effettivamente sì, il personaggio della Mima è interessante da approfondire, ha comunque segnato il protagonista, e approfondirlo aiuterebbe a capirlo meglio ^^

Stilisticamente forse è un po grezzo come dici tu, ma devo ammettere che è proprio una sottigliezza che non si nota...IMHO eh :d

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