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 Oggetto del messaggio: Background: Venorik T'sarran III
MessaggioInviato: mar giu 01, 2004 16:22 
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La Storia di Venorik T’sarran III

Nacqui una notte di luna piena; le foglie degli alberi fremevano sotto la forza di una brezza che richiamava agli albori dei tempi e l’aria sfrigolava dal cantar dei grilli, questa atmosfera di pace ostentata veniva interrotta a sprazzi,talvolta infatti, un urlo lancinante squarciava la lieve luce tremolante che il bianco astro ci forniva. Molte creature quella sera si chiesero onde provenisse tal frastuono,senza successo. Mia madre, mori partorendomi, mio padre, un drow poco più alto della media decise di tenermi con lui, nonostante nulla gli vietasse di sacrificarmi alla grande Dea. Stranamente, i miei ricordi iniziano fin da quell’attimo, nel momento in cui la luce della vita mi si palesò con la cruda violenza di una morte prematura. Ma torniamo a mio padre: lui era un uomo che aborriva la debolezza in ogni sua forma, e non ammetteva che i sentimenti fossero esposti in maniera troppo aperta; quindi mai, e poi mai manifestò , gioia, amarezza o qualunque altro tipo di apprensione nei miei confronti. Con le sue sole forze mi crebbe da solo, portandomi, all’età di circa 10 anni, nuovamente nelle profondità della terra, sottoponendomi continuamente ad una serie di prove per verificare la mia forza ed il mio carattere, insegnandomi le basilari arti del combattimento e a fabbricar rudimentali armi da lancio con i pochi materiali reperibili nei bui meandri del sottosuolo.
Abitammo per circa trent’ anni sottoterra, dove mi affacciai alla vita con semplicità, ma contemporaneamente in modo duro, “uno stile di vita che tempra l’individuo” come amava affermare mio padre. Ero altresì molto occupato con i miei allenamenti, mangiavo, mi allenavo, e dormivo quel poco che bastava per non sentirsi stanchi il giorno dopo.
Il primo, vero avvenimento degno di nota nella mia vita avvenne proprio il giorno del mio quarantesimo compleanno.
Quel giorno mi sentivo particolarmente bendisposto nei confronti delle mie lame, ero giunto a considerarle delle semplici estensioni della mia volontà, e, talvolta potevo quasi sentire pulsare il cuore di quelle magnifiche armi; una specie di sinergia insomma, mio padre, avvedutosi dei miei progressi decise di testare la mia prodezza in battaglia sfidandomi ad un così detto duello al “Primo Sangue”.
“Ascoltami bene figlio mio” disse improvvisamente mio padre “ora combatteremo e il primo che riuscirà a ferir l’altro potrà considerarsi vincitore”Quindi con occhi maliziosi mi guardò “ma ricorda bene, non sarà così facile sconfiggermi e….non ti darò un`altra possibilità”aggiunse infine con amarezza quasi a constatare una terribile verità, in quel momento credetti che se avessi fallito, sarei morto.
Poco dopo, due ore a mio parere , eravamo pronti a darci battaglia.
Mio padre aveva scelto bene il luogo dell’incontro, “l’arena” per così dire era situata in una grotta cava e tonda, con un diametro di circa 25 metri; dall’alto del soffitto giganteggiavano decine e decine di enormi stalattiti.
Dal pavimento di conseguenza sgorgavano altrettanto grandi stalagmiti che, essendo semplicemente altissime, avevano una base capace di occultare l’esile corpo di un drow:”Padre, avete scelto bene il luogo del nostro incontro, assomiglia in modo straordinario al bosco dove….” Stavo per toccare, lo sapevo, un argomento considerato “Tabù” da mio padre: la casa dove nacqui ,secondo i racconti di mio padre, era situata nel bel mezzo di un bosco un tempo protetto da alcuni elfi ma ora completamente abbandonato e scarno da ogni tipo di verde…era per quello, che ora, questa angusta grotta mi riportava alla mente quei giorni nefasti. Le uniche risposte che ricevetti dal mio tutore furono una nera occhiata e lo stridir delle sue armi repentinamente estratte dai rispettivi foderi: Una daga e Una spada Lunga.
Di conseguenza estrassi le mie di armi che produssero, però, uno squittir di topo più che un vero e proprio stridio: reggevo quindi nella mano destra la mia fedele katana da me soprannominata Ardore e nella mancina reggevo Disperazione, il mio pugnale.
“Avremo 300 secondi per trovare una posizione da noi reputata strategica” disse improvvisamente e con tono risoluto mio padre “Al termine dei quali io fischierò e tu avrai un vantaggio…se aguzzerai le orecchie potrai percepire dove si trova il tuo nemico” appuntai mentalmente quell’ultima lezione di vita (così credevo) che mio padre decise di impartirmi.
Cominciai a correre, silenzioso, felpato come una pantera nella giungla tentando di far perdere le mie tracce all’astuto inseguitor, quindi, dopo pochi minuti che a me sembrarono anni sentii un fischio sordo e capii che Mio padre, non si era affatto mosso dalla sua posizione iniziale…iniziavo a chiedermi il perché, a sentirmi insicuro; era forse uno stratagemma? Eppure ero sicuro di aver adottato ogni precauzione possibile.
Dopo alcuni minuti di silenzio, quel silenzio che ti entra nelle membra, rimbombante, carico di tensione, mi ero quasi del tutto calmato essendomi convinto che il luogo ove avevo cercato riparo era perfettamente sicuro: era situato in una ulteriore grotta cui si accedeva tramite un corto e stretto tunnel io potevo appena scorgere la grotta cui ero partito ed era quello il motivo della mia sicurezza…se io ero dentro e non riuscivo a veder l’uscita come mio padre che, ignaro, del mio nascondiglio poteva capir dov’ero?
Passarono altri minuti, 10 e poi 20 a mio parere ma, forse, era solo il tempo che si distorceva in maniera arcana la tensione, come mi ripeteva sempre mio padre, è una brutta compagna.
Fu forse una decisione avventata ma uscii come spinto da un moto di repulsione per il mio stesso comportamento: che senso aveva nascondersi? Dovevo forse deludere nuovamente Mio Padre?
Ripensai profondamente ai miei primi anni di vita: Mio padre era molto orgoglioso del suo fisico robusto e della sua perfetta difesa, che sempre gli avevano valso la vittoria su duelli con creature di ogni tipo: aveva perciò a cuore l’idea che io potessi essere come lui, mai schiacciato dalla volontà e dalla forza degli altri. Accadde perciò un giorno che, mentre camminavamo per la foresta in cerca di un luogo dove allenarci, incontrassimo un gruppo di demoni dall’aria arrogante che subito parvero contenti di poter bistrattare un bambino apparentemente indifeso come me. Mio padre si nascose nell’incavo di una grotta per vedere come sapevo cavarmela nella mia prima vera situazione di pericolo. Come è ovvio fui attanagliato dalla paura e faticavo a muovermi: ero solo un bambino, di fronte a tre demoni molto più grossi e agguerriti di me...inoltre sapevo dai racconti dei miei amici che si trattava di una razza molto temibile e resistente. Nonostante mio padre fosse spesso severo ed intransigente, lo amavo molto; e fu perciò la voglia di non deluderlo, più che il dubbio coraggio di un bambino di dieci anni, a spingermi a tentare. Il mio pensiero non era lucido, le immagini iniziavano a diventare come sfocate, ad apparirmi irreali...mi sembrava che i miei movimenti fossero lenti e impacciati, come se tentassi di correre immerso nell’acqua fino ai fianchi. Feci appena in tempo ad estrarre il mio pugnale – arma corte e sottile dal manico d’argento, che mio padre mi aveva regalato qualche mese prima - quando i tre mi accerchiarono ed iniziarono ad accanirsi contro di me; cosa che, se non avessi reagito, non avrebbero sicuramente fatto. Mio padre non alzò un dito per aiutarmi e, quando uscì dalla caverna, fu solo a notte fonda, quando rimanemmo soli. Ricordo ogni particolare che potevo capire attraverso gli occhi semichiusi e incrostati di sangue: gli occhi, di solito verdi, avevano grosse venature scarlatte per la collera; mentre scuoteva la testa, disgustato dalla mia debolezza, i fini capelli bianchi si muovevano appena nell’aria immobile, e la pelle nera si confondeva nell’oscurità di quella notte afosa. Il dolore per la sua delusione era molto più grande di quello fisico che attanagliava il mio giovane corpo. Da allora decisi che mi sarei impegnato più a fondo.
Venni improvvisamente ridestato dal fiume travolgente dei miei pensieri da un ticchettio insistente,quasi paranoico…
…era per fortuna soltanto un topo che scavava nella sua grotta ma ero stato imprudente,molto imprudente.
Presi a correre verso il centro della grotta stupito dal silenzio di mio padre,rammaricato da quell’atto di disattenzione ostentato poco innanzi:ripensare alla sua gioventù? E perché mai.
Sussultò quasi nel vedere suo padre perfettamente immobile la dove lo aveva lasciato con un perfido ghigno stampato nel volto “ Ce ne hai messo di tempo…figlio mio” lo guardai stranito….ma non ebbi il tempo di chieder nulla o di palesar i miei dubbi un fendente diretto alla mia testa era più che chiaro:mio padre voleva combattere e, forse, uccidermi.
Parai con facilità le brevi sequenze di colpi che mio padre mi rivolse per poi contrattaccare, furiosamente lo ferii, per la prima volta, le crudeli lame delle mie armi assaggiarono il dolce sangue di mio padre.
Lui si fermo e io, contento di aver vinto feci altrettanto quindi lo interpellai:”Ho superato la prova padre?” chiesi sperando in un’ elogio e in un “SI” secco.
La faccia di mio padre era contratta in una strana smorfia: stava pensando…non so a cosa…ma…stava pensando.
“Si…disse con voce melliflua…lascia cader le tue armi, hai vinto bravo” il tono che usò per parlarmi non era mai stato da lui adottato nei miei confronti e quello, forse, avrebbe dovuto mettermi in guardia ma ero giovane, ingenuo e…lasciai andar la salda presa con cui un attimo prima reggevo entrambe le lame.
Un piccolo e veloce colpo d’arma di mio padre, rivolto al mio stomaco, mi lacerò le carni lasciandomi sanguinante, per terra ma non era grave; lo sapevo ma ero stupito e colmo di rabbia “Ricordati questo figliolo, e ricordalo sempre: noi drow siamo infidi…come serpenti” si girò dandomi le spalle… “E’ la nostra tradizione e ora…la conosci anche tu”.
“Già” dissi a mio padre con voce beffarda mentre con la mia katana lo trapassavo da parte a parte “ E’ la nostra consuetudine.
Quell’atto quella macabra azione mi introdusse al mondo in cui io vivo…ritornai in superficie trascinando faticosamente la salma di mio padre l’unico individuo per cui avevo provato una qualche sorta di sentimento.
Sapevo di aver agito nel giusto eppure non capivo.
Quella notte sfogai la mia frustrazione sul bosco dove 40 anni prima ero nato, dandogli fuoco, In onore del drow che ispirò il mio modello di vita leale come duellante ma spietato come qualunque altro elfo scuro.
Secoli passarono e i miei pellegrinaggi mi portarono a visitar ogni dove: la mia furbizia mi permetteva di mangiar per lo meno un una volta al giorno e la mia maestria con le armi mi permetteva di difendermi egregiamente.
Infine, in uno di quei tanti viaggi che avevo compiuto mi avvicinai ad una cittadina di cui non conosco il nome e non sapevo cosa mi aspettava…lì.

Tratto dal Diario di Venorik T’sarran III
Il Grande Capitolo 14 paragrafo 1-2...
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MessaggioInviato: mer giu 02, 2004 10:02 
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Iscritto il: mar feb 03, 2004 12:50
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Bel racconto, Venorik, complimenti! :D
Se ne hai altri siamo qui ad attenderli!

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Siamo simili in molti modi, tu ed io. C'è qualcosa di oscuro in noi. Oscurità, dolore, morte. Irradiano da noi. Se mai amerai una donna, Rand, lasciala e permettile di trovare un altro uomo. Sarà il più bel regalo che potrai farle.
Che la pace favorisca la tua spada. Tai'shar Manetheren!


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