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[recensione] Megadeth - Rust in Peace

sab ott 30, 2004 16:42

MEGADETH
Rust In Peace

(1990, Combat)

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Come prima recensione voglio proporre un album che, a mio avviso, ha segnato la storia del rock più pesante. Non rivoluzionato (per carità!), ma ha lasciato un segno indelebile nei cuori di chi ama metal e affini.
Nati nel 1985 da una costola dei Metallica (Dave Mustaine faceva parte dei “four horsemen” e ne sono prova i credit del loro album d’esordio Kill ‘Em All), ci hanno messo un po’ di tempo prima di maturare, ma con questo disco raggiungono vette incommensurabili! A differenza dei loro primi tre album, piuttosto grezzi ed acerbi, i Megadeth danno qui prova di un’ispirazione incredibile: onestamente gran parte della farina proviene dal sacco dello stesso Mustaine, che si fa perdonare irascibilità e dispotismo, sfornando canzoni dello stampo di Holy Wars e Take No Prisoners.
A proposito della prima traccia (Holy Wars, appunto), la ritengo un vero e proprio “capolavoro del metallo”! Per rendere l’idea, cito il mio amico Tommy: “Eh… è ‘na roba grossa!!!”. E lo è davvero! Sei minuti e mezzo praticamente senza respiro! L’assolo sembra non arrivare mai: ogni volta che dà l’illusione di iniziare, viene interrotto dalla voce di Mustaine o da una sua “grattata”, ma all’improvviso eccolo che si libera dagli altri strumenti e sale in velocità e quando è al suo culmine sembra un fischio, che non fa in tempo a spegnersi che già parte un altro riff diverso dai precedenti!
Signori miei, se pensate che per essere “cattivi” bisogna essere truccati o mascherati, o se siete convinti che per fare un disco potente bisogna avere due percussionisti e un sintetizzatore, quest’album vi farà cambiare idea!
Nulla sembra sbagliato in questo lavoro e nulla casuale. La voce di Mustaine è come sempre al vetriolo, stridula e graffiante, ma come non mai carica di rabbia: sembra quasi che canti a denti stretti, come per reprimere l’ira, e sputa parole velenose sul microfono. Nel contempo Marty Friedman si dimostra chitarrista d’eccezione, esibendosi in assoli al fulmicotone, che crescono, aumentano di velocità mentre si alza la scala cromatica e si inseriscono alla perfezione nel resto dei brani.
Ma ciò che prima mi ha fatto scrivere la parola “ispirazione”, riguarda proprio la struttura dei brani.
Siamo ben distanti dal classico (anche troppo) schema: riff-ritornello-riff-ritornello-assolo-riff-ritornello su cui si basa gran parte della produzione thrash (e non solo) degli anni 80. Qui gli schemi saltano letteralmente in aria e gli unici che dettano legge sono i quattro musicisti americani: più volte si sente che i riff cambiano all’interno della stessa canzone ed i passaggi da una melodia ad un’altra sono sempre sorprendenti.
Durante l’ascolto non si prende quasi mai fiato e, se questo accade, è solo per lasciar spazio ad un’ansia claustrofobica, come accade con Dawn Patron. L’effetto complessivo è quello di un’overdose di caffè!

sab ott 30, 2004 21:32

Un ottimo disco,che dimostra quanto abbia influito la dipartita di Mustaine sul sound e sull'evoluzione dei tallica!
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