L’acchiapparatti di Francesco Barbi

23 aprile 2010, by Hoijemondijs
L’acchiapparatti  di Francesco Barbi Un titolo strano, che deriva dalla professione del protagonista, Zaccaria, uno scemo del villaggio più geniale e profondo di tutti i “furbi”.
Un mondo fantasy che si può attraversare in pochi giorni di viaggio, ma nel quale si nascondono angoli inaspettati, frammenti di universi oscuri e prodigiosi.
Una trama “picaresca”, che contiene in sé eventi veramente spassosi ma che rivela, durante il suo sviluppo, aspetti sempre più dark tramite la descrizione delle terribili imprese di un demone incarnato, il Mietitore, Boia di Giloc.
Una rappresentazione innovativa e, a modo suo, profonda della magia e di quali possano essere i suoi effetti sull’animo umano.
Una storia di riscatto degli ultimi che però non comporta la trasformazione di questi in Eroi, in Sovrani, in Leggende.
Questi sono gli elementi che mi hanno fatto amare il libro di Barbi, fino a considerarlo uno dei migliori romanzi fantasy che abbia mai letto.
La storia editoriale di quest’opera dimostra come il passaparola tra lettori possa fare molto per gli autori esordienti. Uscito per una piccola casa editrice (La lodevole Campanilia) nel 2007 con il titolo L’acchiapparatti di Tilos il romanzo dell’esordiente pisano è divenuto ben presto una piccola leggenda tra i gli appassionati italiani di fantasy.
Bisogna render merito alla Baldini Castoldi Dalai di aver ripubblicato l’opera, consentendo al libro di avere un ottima distribuzione su tutto il territorio nazionale, permettendo a un numero sempre più elevato di lettori di godere della prosa di Barbi.

Al centro della narrazione c’è una coppia di strampalati amici, il citato Zaccaria, un folle acchiapparatti, e il becchino gobbo Ghesone detto Ghescik, due figure che vivono ai margini della piccola comunità di Tilos e che condividono la passione per le sapienze perdute, i libri antichi e le arti occulte.
Proprio da un libro antico, il manoscritto di uno stregone, hanno origine le avventure dei due compari, sia quelle nel mondo reale che quelle nel mondo dell’incubo. A causa del libro ( sottratto in modo truffaldino al proprietario da parte di Ghescik) i due amici devono fuggire dalla loro cittadina, e, per colpa e merito del manoscritto, verranno a contatto con l’universo della magia.
Così questi stracciati picari da possibili membri di un’Armata Brancaleone si trasformano. La follia diventa possessione sciamanica, e la passione per le scienze occulte un vero e proprio legame con gli inferi che porterà a terribili conseguenze.

I personaggi del romanzo sono tutti degli emarginati e nessuno di loro corrisponde al clichè abusato del “bello e dannato”. La strega Guia è strabica, il “tostissimo” cacciatore di taglie Gamara è orribilmente sfigurato, la “bella” meretrice Teclisotta è obesa, il gigante buono Orgo è un vero e proprio mentecatto.
Il Mietitore, un demone ridotto in schiavitù, è l’ultimo fra gli ultimi. Il Boia di Giloc è l’unico sopravvissuto di un’epoca remota, nella quale i maghi potevano compiere grandi prodigi. Spirito immortale strappato a una dimensione ultraterrena e inglobato in un corpo deforme e invulnerabile è innanzitutto vittima della sua stessa natura. È poi vittima della crudele giustizia umana, un suo ripugnante strumento, il protagonista di sadiche esecuzioni-spettacolo.
La sua fuga dalla prigione di Giloc e dal suo ruolo di carnefice costringe il demone in una condizione di bestialità senza via d’uscita. Costretto a passare le giornate in uno stato di semi-incoscienza e a uccidere senza pietà la notte, braccato da cacciatori e guardie di ogni sorta non potrà che affidarsi al suo istinto di autodistruzione per trovare infine la vera libertà.


Ho apprezzato del romanzo soprattutto l’elaborazione dei personaggi. I due strampalati protagonisti hanno veramente attirato la mia simpatia (Zaccaria in particolar modo). Buona la prosa, equilibrata e senza voli pindarici.
Buona l’elaborazione della trama, ove il passaggio dal picaresco, quasi comico, al gotico avviene spontaneamente e con efficacia. Forse c’è da lamentare una partenza un po’ in sordina, con una scena della taverna un po’ grigia e un finale un po’ forzato, nel quale però si rende giustizia a uno dei personaggi migliori.
Discreto l’universo fantasy immaginato. E’ forse un po’ troppo piccolo, e non solletica più di tanto la fantasia del lettore, e l’ambientazione contiene parecchi elementi di seconda mano, visto che altro non è che il classico mondo fantasy medievaleggiante. Bisogna però riconoscere all’autore la capacità di rappresentare il luogo dell’azione con realismo e sensibilità.
Un libro che consiglio a tutti. Un buon passo avanti nell’elaborazione di una nuova letteratura fantasy italiana, capace di inventare storie e ambientazioni originali grazie al contributo di autori padroni del proprio mestiere.


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