Arena: La Gabbia.

Improvvisamente vi ritrovate in uno spazio bianco, illuminato dall'alto, leggermente morbido al contatto col piede. Un elfo scuro chce cammina ad una ventina di metri da voi vi dice:
- Benvenuti nella Gabbia, Fighters. Qui potrete dar adito a tutta la vostra potenza senza che gli spettatori ne vengano coinvolti. Un unico consiglio: non cercate di uscire dal vostro spazio. Le conseguenze potrebbero risultare... fastidiose.
Fa un cenno verso la zona in ombra in lontananza, troppa anche per i vostri sensi sviluppati, e continua:
- Io sono colui che dovrà garantire la sicurezza degli spettatori. Potete chiamarmi arbitro, ma non per questo deciderò alcunchè della vostra condotta. E ora.... Combattete!!



Distanza: 9 metri
Iniziativa vinta da: Sjachvrak

Ed ecco avverate le seccanti previsioni di poche ore prima.
Il Bejik aveva da poco richiuso i suoi tomi, conservati in bauli di mogano e faggio, e si era immerso con i suoi seguaci nella meditazione quotidiana, quando si ritrovò improvvisamente sotto le luci dell'arena.
Quest'ultima facceda era già di per sè sufficiente ad irritare profondamente il Profeta: i coboldi per loro natura erano infastiditi dalla luce abbagliante, e questo era ancor più vero per Lui, che aveva abbracciato l'Oscurità del Vuoto da molto, molto tempo.
In ogni caso decise di accettare, per una sola volta, l'insulto di essere messo alla prova, essere costretto ad affrontare uno sconosciuto del quale nulla sapeva, e del quale nulla importava.
Squadrò la creatura dinanzi a lui, e parlò con voce malferma e sibilante, segnata dalla vecchiaia, dalla malattia e da un'infinita stanchezza di esistere:

Sei quasi fortunato. Non ho qui il potere di consegnarti per sempre a Lei, ma oggi sperimenterai la dolce quiete del Sonno Eterno, e dopo non potrai far altro che anelarlo fino al tuo ultimo secondo di esistenza, struggendoti per ogni istante di questa vita di dolore. Come me.

Dopo che il Bejik disse queste parole, l'aria sembrò tremare per un attimo, e quando finalmente si fermò, egli non era più lì. Non era più in nessun posto, almeno a credere a ciò chce i sensi dichiaravano.
Non che questo importasse molto a Don Josè, in questo momento: aveva altri problemi a cui pensare. Primo fra tutti una enorme mascella blu-verde di energia era appena sorta dal terreno e lo stava azzannando con una serie di denti appuntiti che, per quanto non fossero "fisici", ferivano eccome!

Stordito dal "morso", il Don quasi non si rese conto della cupola di ghiaccio che il coboldo gli aveva evocato addosso, e sotto la quale lo aveva rinchiuso, anche se per un attimo potè scorgere il suo spessore, decisamente alto.
Nel frattempo una spirale di energia si era formata da un punto imprecisato, andando ad infilarsi dentro la semisfera e le mascelle come se non ci fossero. Ma tutti gli spettatori sapevano che era tutto tranne che ininfluente.

E la mascella nel frattempo si era riaperta, e si stavfa richiudendo di nuovo, come in un movimento di masticazione.....

TURNO A SJACHVRAK

Sjachvrak rilassò gli arti indolenziti e martoriati dalla malattia: tremavano, e non solo per l'energia magica che era fluita in essi.
La mancanza di reazione del suo avversario dimostrava quanto fosse inevitabile la conclusione che aveva pocanzi pronosticato.
Doveva solo attendere che l'avversario venisse masticato e la sua anima inviata al misterioso dio cui era legato.
La visione del proprio patrono, e del mondo destinato ad accogliere l'anima, era sempre un'esperienza sconvolgente per qualsiasi creatura, soprattutto per quelli dotati di profonda fede e convinzione.
E questo era ancor più vero per le creature buone, che assaggiavano la quiete e la pace a loro destinate: il ritorno alle sofferenze materiali faceva germogliara il desiderio, a volte il bisogno, di concludere l'esperienza terrena.
Eppure il suo avversario era, incredibilmente, un mistero per il Profeta.

Gettò uno sguardo fuori dalla gabbia, al drow che li seguiva. Impassibile.
Nella città degli intrighi, dei misteri e dei tranelli, il Bejik pensò per un momento che la fretta poteva essere una pessima compagna.
Con un gesto secco, fece serrare le mascelle che stavano straziando il suo avversario, che sprofondarono nel suolo e sparirono.
Quello scontro doveva prolungarsi per un po', il tempo di raccogliere qualche notizia in più...
Ciò non significava che avrebbe reso la vita facile all'umano.

Le mascelle si chiusero un'ultima volta, senza provocare danni, e poi sparirono nel sottosuolo. L'unica reazione fu qualche gemito di delusione dalla folla nascosta nell'ombra.
Ma Sjachvrak non aveva certo finito. Il lancio di un altro incantesimo dal nulla fece capire che non aveva certo intenzione di arrendersi, e la spirale che continuava a girare non era certo lì per bellezza.

Ora però il Bejik aveva dato la possibilità al suo avversario di contrattaccare. Possibilità che, dovunque ma soprattutto qui, poteva risultare fatale.

TURNO A DON JOSE'

No .. la lucertola per prima no…

La visione del singolare rettile risvegliò spiacevoli ricordi nel buonuomo. Ricordi di un’infanzia lontana e spensierata che molto erano distanti dall’attuale realtà e le sue responsabilità. Nel immenso deserto della Landa Gemente i divertimenti per un bambino di 5 anni erano veramente pochi e il giovane ed iperattivo Jesus cercava sempre nuovi per divertirsi. All’epoca uno dei suoi divertimenti preferiti era andare a caccia dei piccoli geco che abitavano la zona; egli gli catturava e gli strappava la piccola codina che poi collezionava. Un gioco innocente che lo teneva divertito nell’assenza di cuginette con cui giocare al dottore, un infanzia difficile insomma.
Un giorno però la tragedia successe, Jesus che aveva cacciato l’ennesimo rettile mise troppo entusiasmo nel tirare, forse la fretta, forse la disattenzione, il fatto è che oltre a staccargli la coda gli staccò la testa. Quella fu la prima vita che il sant’uomo stronco e l’unica per cui mai sentì rammarico. A lungo restò a guardare il corpo immobile e le piccole macchiette di sangue che gli coprivano le infanti manine e i sensi di colpa s’inondarono nel suo cuore. Quella notte brutti incubi lo perseguitarono, incubi di una mamma lucertola dalle mandibole possenti e molto incacchiata.

Oggi il prette è grande e cresciuto, ha mietuto centinaia di miserabili vite nel nome della sua chiesa, del bene, nel preservare il Sovereign Host e non ha mai sentito pentimento. In vita sua solo una volta lo sentì in realtà, per quel piccolo geco che uccise ingiustamente e per divertimento.
Jesus era abbastanza intelligente per capire che quel Coboldo il cui nome non riusciva ne a capire ne pronunciare non era la mamma della piccola lucertola uccisa, ma l’analogia non gli sfuggì e tantomeno l’ironica e dolorosa metafora delle mandibole che glia avevano quasi sbranato metà gambe. Diciamolo, era proprio brutto questo Coboldo, mezzo putrescente, piccolo e per quanto era riuscito a sentire nel grande salone che lo aveva accolto a Valm Neira puzzava anche, quello li non era la mamma proprio di nessuno. Era però innegabilmente forte e lo aveva quasi ucciso in pochissimi secondi, anzi, molto probabilmente lo aveva risparmiato per un suo strano e macabro divertimento.
Il fatto era che comunque siano andate le cose Jesus era ancora li, c’era un pubblico da divertire o quantomeno impressionare. Lui era li per diffondere la potenza della sua chiesa, per diffondere il suo regno.
“Alzati e cammina Jesus” pensò fra se e se “e vedi di restare vivo almeno per un po, con quale faccia torniamo da quello sopra a dire: si, mi hanno ucciso ancora?”
Vediamo se si può fa qualcosa insomma..

Don Josè si alzò, e rimase ad osservare il suo nemico. Non si capiva se negli occhi c'era rabbia, rimpianto, o... pietà? Nessuno avrebbe potuto dirlo con sicurezza, e non pochi tra gli spettatori scattarono in piedi gridando verso questo affronto. Solo tre persone rimasero impassibili: Don Josè stesso, che era pronto a ricevere il suo destino; l'arbitro di gara, muto testimone dello scontro (se così si poteva chiamare) tra i due; e lo stesso Sjachvrak, a cui toccava il compito di spegnere una simile fiamma. Come l'avrebbe fatto? Perchè che lo facesse, era ovvio nei cuori di tutti.

TURNO A SJACHVRAK

Tossì con violenza, e dalla bocca irta di piccoli denti neri e seghettati colò un liquido viscoso e purulento, venato di sangue scuro. Poggiandosi al bastone, strinse ancor di più gli occhi, traendo un lungo e ruvido respiro.
La mancanza di una reazione efficace da parte del misterioso avversario convinse il Bejik che non valeva la pena di perdere altro tempo nel cercare di avere informazioni sul suo conto. Ci sarebbero state altre occasioni, magari meno ridicole di questo torneo privo di scopo e, quindi, di senso.
In compenso, riteneva di poter dare ancora un'utilità a quella assurda situazione.
Il patetico drow, fregiandosi del titolo di loro giudice e arbitro, aveva affermato di essere il protettore degli spettatori: era probabile che tra di essi ci fosse Lei, il motivo per cui Sjachvrak si trovava a Valm Neira.
Doveva rintracciarla, e attirare degnamente la Sua attenzione poteva essere una buon mezzo per agevolare l'incontro che desiderava.
Allargò le stanche braccia, sollevò leggermente il capo.

Persvek douta tiichi, Zezhuanth Dask!

All'invocazione del coboldo, due immense ali di drago iniziarono a dispiegarsi dalle sue braccia, fino a raggiungere una decina di metri di lunghezza. Un attimo dopo il Bejik sorrise, e altre due ali fecero la loro apparizione, andando ad aggiungersi alle prime. Un totale di quattro ali si apriva ora dalla piccola figura, ancora più minuscola al confronto di ciò che aveva evocato. Poi Sjachvrak mosse le braccia che aveva alzato, una contro l'altra. Le mani cozzarono, come in un applauso.
E le quattro ali cozzarono anche loro, ma in mezzo c'era Don Josè.

Il primo impatto frantumò la cupola di ghiaccio, il secondo fece lo stesso con il Don: le sue ossa si spezzarono, dalla sua bocca uscì sangue e la sua pelle si ruppe in molti punti. Quello che cadde a terra era oramai un guscio senza vita.
Un attimo dopo il coboldo abbassò le braccia e le ali, obbedienti, si abbassarono anche loro... fino a sparire nel terreno.
Solo una misera figura rimaneva nell'arena. Solo una misera figura viva, ovviamente. L'altra, oramai, era oltre le cure di chiunque... tranne di un dio o di una dea.

VINCITORE DELLO SCONTRO: SJACHVRAK

Il Profeta lasciò quindi cadere gli incantesimi con cui si era avvolto.
Gettò uno sguardo sul corpo dello sconosciuto, e nei suoi occhi vecchi e arrossati non c'era segno di soddisfazione, di scherno, di orgoglio. Nei suoi occhi comparvero, per un solo istante, dolore e invidia.
Quasi subito Sjachvrak si riscosse dalle sue meditazioni, e con piccoli passi malfermi si avvicinò al cadavere, chinandosi su di esso: sfiorò con un dito il volto, come disegnandoci sopra.
Al tocco, la pelle divenne scura, torbida, e dagli occhi si formarono tracce come di un pianto, che lasciò scie fissatesi come cicatrici. Ma l'espressione era serena, calma, piena di pace.

Quando Sjachvrak si rialzò, girò il capo verso il drow e disse:
Ora il mio colloquio con le matrone.

Il Bejik si alzò del cadavere di Don Josè, rimirò per un attimo la sua opera, e poi si girò verso i drow, per parlare loro con voce sibilante.

La risposta fu.... esauriente: un attimo dopo, il coboldo era di nuovo al sicuro nelle sue stanze, mentre le spoglie del suo avversario, addobbate come una funerea maschera da clown, rimanevano nella gabbia. E così sarebbero rimaste fino a quando Lolth non avrebbe deciso altrimenti.

Sulla gabbia ritornò il buio.