Il Principe Decadente
“Mio Signore, siete certo di volerlo fare?” “Non protestare servo, o ti manderò nella cella dell’Oblio, fa quello che ti dico, prendilo tutto quanto…” “Ma mio Signore, è ancora così giovane…” “La giovinezza passerà, e il mio godimento invece dovrà essere esaudito…che sublimità…tutto…andiamo ora…” Le due del mattino al Castello di Astralus, le tenebrose due del mattino, quando ancora la luce non invade la notte, e le stelle si sono già spente. Tenebra quasi eterna, per quegli attimi d’inferno. I paesani sanno bene che quell’ora, se situati al di fuori delle loro baracche, potrebbe significare la loro fine orribile. Ma molti sono arditi, molti amano il rischio. Per questo il Principe trova sempre i suoi dilettevoli passatempi ad attenderlo. Il portone del castello sprangato, da molto tempo nessuno usa più quella via. Solo il Principe, le guardie e i suoi dignitari conoscono il vero accesso. Solo loro possono avere l’altissimo onore di conferire con esso. Molti ritengono tale onore una condanna. Il motivo semplice quanto terribile. Il Principe, sin dalla più tenera età, possiede peculiarità artistiche al di fuori dalla comune norma, Egli non brama l’elasticità, l’armonia stilistica. Egli brama l’oscenità, la depravazione e l’orrore, la sfigurazione. La turpitudine del suo animo marcio si estende anche sulle tele che dipinge. I suoi colori sono i più brillanti mai utilizzati. In effetti sono molto naturali. Sangue di giovani vergini, di animali, vecchi, bambini, lacrime per diluirlo, per renderlo in mille sfumature differenti. Se qualcuno possiede delle belle vene bluastre, il Principe lo noterà, e non passerà molto tempo, prima che il liquido vitale passi dalle vene all’interno di un recipiente da pittura. Così si diverte il Principe, così si diverte nel suo antro sfarzoso, adornato dei suoi lugubri dipinti, ritratti deformati di sua moglie, morta molti anni prima. Molti dei suoi quadri portano il suo volto, dolce, velato da lunghi capelli biondi. Molti di quei quadri sembrano quasi essere fin troppo realistici. Molti di quei quadri, vennero realizzati con il suo stesso sangue. In effetti fu il Principe a condannare sua moglie, con la scusa di infedeltà. Ma la vera scusa fu l’amore per l’arte. “Mio Signore, è pieno, possiamo tornare al castello?” “Non se ne parla Adrian, manca ancora un tocco…dove potremmo trovarlo?” “Ma mio Principe, fra non molto albeggerà, non possiamo trovarci qui quando questo accadrà!” “Non seccarmi con le tue lamentele, noi ci troveremo dove io ordinerò, poiché sono il Principe, non scordarlo!” “Come…come desiderate vostra Signoria, volontà vostra…” Si ritiene che i capolavori racchiusi nelle stanze di quel maniero lugubre siano circa tremila, tra ritratti, paesaggi, e opere varie. A volte anche sculture, nate da una mente malata, per osservatori malati. Il sangue è troppo debole per la gravità, necessario sia qualcosa di maggiormente adeguato. Ma cosa potrebbe sostituire un così grande mezzo artistico? Cosa se non ciò che più vi è legato? E allora via, leggeri come ombre, ululando alla luna come cani e lupi, protetti dal favore delle tenebre, verso il più vicino camposanto, armati di badili e vanghe, poggiando i piedi sulla nuda terra, vestiti di stracci per non farsi riconoscere. Tutti conoscono invece, ma cosa si può fare contro una tale orribile mente, contro un potere da mille ducati, contro la malignità che scorre dagli occhi freddi e impazziti? Cosa possono i forconi e le fiaccole contro gli armigeri e le balestre? Nulla, se non partecipare silenziosi al massacro, all’infamia, al delitto immondo che si compie sotto i loro stessi occhi trepidanti, desiderando fortemente che sia l’altro, il vicino, e non se stessi la prossima opera. “Mio Sire, il Sole è sorto, dobbiamo andare ora, vi prego, non tardate più, vi prego!” “Fa silenzio, e vieni a vedere piuttosto!” “Mio Signore, cosa…?” “Zitto idiota, fai silenzio e guarda compunto…hai mai visto nulla di più bello?” “Mio Signore, è davvero bellissima, ma è tardi...” “Ti farò impiccare se continuerai a lamentarti, vattene ora, lasciami solo…” “Cosa, che farete Sire?” “Torna al castello…sparisci dalla mia vista Adrian!” “Come desiderate…lode a voi!” “Finalmente soli mia cara…sei così bella, non ho mai visto nulla di così perfetto…nemmeno io riuscirei a raggiungere tale perfezione…nemmeno io…il più grande…sento già di amarti…così tanto…così immensamente…sarai mia…per sempre mia…” Addentrandosi nella mente di questo personaggio così singolare, potremmo trovare dei pessimi ricordi d’infanzia. La madre non era severa, era semplicemente spietata. Lo odiava con tutte le sue forze, poiché ella desiderava una figlia, una figlia da educare a sua immagine, ma era nato lui, quell’abominio in quanto maschio. Lei desiderava una figlia, e una figlia avrebbe avuto. Non era poi così difficile, i cerusici avrebbero fatto il loro dovere e poi li avrebbe fatti giustiziare, le Dame di corte se desideravano restare tali e soprattutto vive, avrebbero mantenuto il segreto. Immanuel non era un nome adatto però, avrebbe dovuto cercare qualcosa di più adatto ad una piccola Regina, qualcosa di assai più delicato, perché non… “Amaranta, Principe Amaranta, mi perdoni, non attendevo, ma mi perdoni…” “Silenzio fanciulla, niente devi perdonarti, poiché niente hai fatto…” “Io…io…cosa fate mio Principe?” “Ti contemplo, contemplo il tuo corpo perfetto, la tua bellezza femminea…sei magnifica, un angelo sceso in terra…dove hai lasciato le tue ali? “Mio Sir,e mi confondete, io sono solo una ragazza del popolo, una vostra umile servitrice…” “No, tu sei un angelo, e in quanto tale dovresti avere le ali…te ne procurerò io, stai tranquilla, ritroverai il tuo splendore…” “Che dite Sire, ma che…no, lasciatemi, lasciatemi, mi fate male, vi prego, non, non li…il braccio…no…io…io…” Ottenere tutto ciò che si desidera senza eccezionali sforzi è cosa da poco per un Principe, soprattutto senza dover più sostare sotto il gioco di ferro della madre violenta. Una volta che la sua vita terminò, in modo piuttosto oscuro, una sera che stranamente il Principe era in viaggio per una destinazione sconosciuta, lo stesso regnante ebbe la gradevolissima idea di somministrare a tutto il suo reame una potentissima droga vegetale, per rendere l’ebbrezza del prematuro abbandono della madre accessibile a tutti, a livelli fenomenali. Di conseguenza quasi tutta la prole del regno morì di febbri, molti vecchi perirono, e i rimanenti soffrirono spesso di terribili mali, che il Principe esortava a curare con il medesimo tipo di sostanza, insistendo sul fatto che la quantità molto probabilmente non era sufficiente allo scopo. “D…dove mi trovo? Che posto è questo?” “Tranquilla piccola, questo è il mio studio d’arte…e tu sei la mia modella…nonché opera grezza, prossima alla magnificenza…” “Cosa intendete dire? Cosa volete farmi?” “Oh, ciò che desideravo ho già avuto…sai…esiste una piccola legge, una stupidissima legge che ho impedito di eliminare, per cautelare la salute dei miei sudditi naturalmente…ma ho provveduto ovviamente a trovare il modo di soverchiarla…ora non devi più temere…sei legata a me…per sempre…ma il tuo posto è il Paradiso…” “No, mio Sire, non dovevate, non volevo…no, ve ne prego, mia madre si attenderà il mio rientro, e anche mio padre, serve voi e la vostra guerra!” “Il tuo sposo sarà ricompensato, e deve ammettere che ha davvero avuto una grande fortuna a concepire una figlia come voi…” In effetti la legge per la quale nessuna donna che fosse ancora vergine potesse essere sfiorata o colpita era in vigore da secoli in quel regno, ma ogni volta il sistema per superare questo contrattempo era logico a veder del principe. Se egli non poteva colpirla, sarebbe stato necessario non renderla più appartenente al detto stato, nell’unico modo che conosceva…restava solo un problema, come non sfiorarla? E soprattutto…come avrebbe potuto egli, eunuco dalla nascita? Per questo chiamò a rapporto i suoi alchimisti, meccanici ed ingegneri, domandando loro di inventare un rimedio a tale ostacolo imposto dalla natura stessa. Nel frattempo che essi studiavano il caso, cercando elisir appropriati, essenza di invecchiamento o deperimento, gli occhi del Principe si posarono su di un oggetto che aveva sempre rifiutato di toccare, perché troppo legato a valori di cavalleria e onore, che in cuor suo detestava. Una semplice spada. Ancora una volta era riuscito a rendere decadente e immondo qualcosa che un tempo avrebbe ispirato gloria e maestosità. Fatta la legge, trovato l’inganno. Le pulzelle potevano ora tremare, mentre alchimisti e scienziati, vennero semplicemente messi a morte, senza diritto di parola o difesa. “Mia cara, hai mai visto un oggetto come questo?” “Io…non so cosa sia Principe…” “Questo mia cara è la mia più grande opera, qualcosa che davvero nessuno mai riuscirà ad eguagliare…io ho sfidato le leggi della natura…interamente realizzate con argilla, piume dai mille colori, nervature di lucertola, e tendini delle più veloci e forti giumente…sono per te...ti piacciono? Le ho tinte di bianco…il rosso del sangue risalterà meglio…” “Sono orrende…cosa volete fare con queste?” “Solo riportarti al tuo Paradiso mia cara…solo questo…ora calmati…non ti farà male…anche se dovrai rimanere sveglia durante l’operazione…ma che dico…durante la seduta artistica…chiudi gli occhi…non vorrei si rovinassero…” Molti erano i visitatori che giungevano al castello, pochi coloro che ne uscivano, vivi o morti che fossero. Quando si trattava di ambasciatori o messaggeri, non vi era neppure il dubbio. Gettati in oscuri sotterranei, oppure fatti cadere dalle merlature della fortezza. Poco importava quali notizie recassero, ogni guerra ben veniva, occasione per nuovo materiale fresco, la pace significava solo penuria e calo di inventiva per il Principe. Se invece gli ospiti erano stati invitati regolarmente, allora i casi potevano essere tre, uno brutto, uno pessimo, e l’ultimo da non augurarsi nemmeno al peggiore degli assassini. Nel primo caso gli amici del Principe erano di indole simile alla sua, e la brama di potere e gli eccessi alimentari, alcolici e di consumo di droghe alimentavano la loro crudele fantasia, la loro indole perversa, quindi si univano al Principe durante i suoi ferali banchetti, i suoi riti orgiastici, o le ore passate ad abbellire la reggia con opere d’arte. Nel secondo caso gli ospiti non erano semplicemente amati dal Principe, e l’unica sentenza per rimediare a tale antipatia era non vederli mai più sulla Terra. Nell’ultimo caso, coloro ai quali la mente per un crudele gioco del fato faceva pronunciare anche solo un motto di disgusto verso le opere del Principe…potevano benissimo iniziare a pregare di essere inghiottiti nelle viscere della terra in compagnia di qualche demone, poiché sicuramente meglio sarebbe stata l’eternità di sofferenze a ciò che il principe avrebbe proposto. “Ode al Dolore”, così l’aveva intitolata, disgustoso e fremente ammasso di corpi umani, mutilati, sfregiati, alcune volte semplicemente inorriditi, ma tutti uniti insieme, da una lunga catena, o con corda, a formare il volto della disperazione su terra e cielo. Mantenuti in vita, sfamati, puliti e curati nel caso, tutti uniti nel medesimo orribile stato. Cadaveri in decomposizione legati a giovani duchi e baroni, armigeri ridotti quasi a polvere, nelle loro armature scintillanti, che avevano implorato pietà accanto ad un impalato che non ne aveva avuta la possibilità. Sangue e purulenza governavano in quel caos fremente di vita, morte e qualcosa di dissimile da entrambe. “Il mio capolavoro”, così amava chiamarlo il Principe, forse unico uomo sulla Terra ad avere il coraggio e l’anima per farlo, diceva sempre che nulla la mondo avrebbe mai potuto fargli mutare parere. “Mia bella, non parli più? Che peccato…non sai quale spettacolo ti stai perdendo…oh, ma quando rinverrai…che sorpresa…che gradita sorpresa sarà per te…” “Mio Signore, odio interrompervi mentre create, ma urge il vostro illuminato consiglio nel Salone della Strategia…i generali vi attendono…” “Ah, Adrian, Adrian…solo perché lo stesso sangue scorre nelle nostre vene non significa che un giorno non farai una brutta fine fratello mio…” “Perdonatemi Sire, ma è davvero necessario che voi prendeste parte a codesta riunione…” “Così sia…” disse mentre Adrian rimontava le scale per il salone, mentre il Principe cogitava il modo con cui avrebbe sostituito tutto il sangue nel corpo del fratello, potendo così eliminarlo senza però macchiarsi di fratricidio. Adrian, Primo Conte del Regno, ma secondogenito reale, venne sempre tenuto in amorevole considerazione dalla madre. In effetti ella come secondo figlio desiderava così tanto un maschio. Egli sin da piccolo venne educato in diverse arti, militari e civili, e divenne un esempio di rettitudine epr tutto il reame, tranne per il fratello. Il Principe insisteva nel volerlo educare in altrettanto nobili arti, quali l’omicidio, la tortura e la più nobile delle arti, la mutilazione. Ma il fratellino non pareva adeguato per questo tipo di studi, troppo semplice il suo animo, troppo dolce il suo sangue, così durante una lezione, si ritrovò con un occhio e una mano in meno. Che vennero prontamente sostituite da un globo in vetro e una protesi di leggerissimo argento. La madre dal canto suo rincuorò il prediletto figliolo, provvedendo che il medesimo torto venisse somministrato anche al primogenito. “Dovrò far ripulire l’oro della mia mano dannazione, sembra quasi si stia ossidando talmente è sporco, detesto la sporcizia!” “Mio Sire, provvederò io stesso, se voi volete confidarmi questo incarico…” “Nemmeno per sogno, ci ho già rimesso la mia mano per colpa tua, non vorrei dover rimetterci anche questa…” “A dire il vero la colpa…” “Sì? Continua…” “La colpa è stata solo mia Sire…” “Ottimo fratello, vedo che in fondo un pizzico della mia correttezza ti è giunto…ora…chissà come sta la mia creatura…si sarà svegliata?” “Se vi riferite alla donzella, è da due ore che strilla come se i tutti i demoni degli Inferi la stessero torturando…” “Questa è l’estasi dell’arte…urla poiché risente della sublimità della mia grandezza…ah, sento che andremo molto d’accordo io e lei…” In molti reami il Principe era conosciuto, ma in questi si credeva ancora che egli fosse in realtà ella, poiché le dicerie propagate dalla madre non erano ancora state opportunamente negate con la realtà dei fatti. Per questo in alcune occasioni, diplomatici stranieri si presentavano nella dimora di Amaranta, portando trattati di alleanza e proposte di matrimonio da parte dei loro potenti Signori. Stranamente nessuna di questa veniva accettata, e mai che i diplomatici facessero ritorno nei loro regni, recando motivazioni per le costanti risposte negative. “Mia cara…siete magnifica davvero…un vero angelo…” “Sono un mostro…voi, ignobile, come avete potuto, chi vi ha dato il permesso di giocare ad essere il creatore?” “Ma io sono il creatore fanciulla, e vedo con piacere che si sono perfettamente adattate alla vostra schiena…che magnificenza, sono proprio un genio…” “Siete un pazzo, un folle, siete un degenerato, vi maledico, io vi odio…io…io voglio morire…” “No mia cara, voi siete mia, e morirete quando lo dirò io…quando il mio interesse per voi sarà svanito…quando troverò una nuova opera da portare avanti…nel frattempo…godetevi la vostra celebrità…vi esporrò nella mia galleria privata…nessuno tranne me dovrà avere l’onore di potervi osservare…” “Siate maledetto, siate maledetto per sempre, voi, la vostra carne, e la vostra anima marcia…” “Dolci parole davvero, lo apprezzo…ma ora riposate, voglio che siate al massimo della vostra forma…e non scuotetevi troppo, il sangue cola ancora dai punti di sutura, finirete per rovinare il mio capolavoro, ve ne prego, abbiate spirito artistico…” Il Principe troppe volte non riusciva a capire come le sue opere d’arte non avessero il buon gusto di ammettere che il loro creatore fosse un genio. Ogni volta avevano commenti pungenti da fare, maledizioni qua, dannazioni la, insulti…non osavano ammettere la sua magnificenza, non volevano ammettere di essere entrati a far parte del favoloso mondo dell’arte. Nemmeno questa ragazza…eppure era così magnifica ora…invece di essere come tutte le altre sua pari, lei ora aveva la sembianza dell’angelo che si celava in lei, due candide ali, macchiate del suo stesso sangue, svettavano dietro la sua schiena, non rigide e grevi, ma leggere e flessibili, capaci di flettersi per simulare volo, atterraggio e decollo. Un prodigio della tecnica e della manipolazione artistica, oltre naturalmente che un saggio di mirabile abilità chirurgica. Era stato un fine lavoro quello di riunire ogni nervo, ogni muscolo, per permettere di contrarre le fibre e i tendini delle protesi angeliche. Ma quella ragazza non voleva capirlo, non voleva capire che il Principe, il suo Principe era un artista, un maestro nel suo campo, tale da surclassare tutti gli altri. Anche se egli rimaneva pur sempre l’unico ad applicarsi in questa corrente. “Mio Sire, cosa vi angoscia così tanto?” “Fratello mio…ho nella mente qualcosa…ma non riesco a trovare esattamente cosa…un nuovo progetto, che non riesco a disegnare completamente in me…so che c’è, ma non riesco a vederlo…ti prego, aiutami…desidero iniziarlo, ma non posso ancora…aiutami fratello mio…” “Farò il possibile per voi, come sempre…” “Non mi serve il tuo possibile, io voglio l’impossibile, e devo capire cos’è questo sogno…” “Di che parlate mio Principe?” “Ti dirò sciocco fratello…una visione immaginifica…l’ho vista, era così chiara…e io ne facevo parte…ero come avvolto da un’aura di magnificenza, ero come un Santo tra i suoi fedeli, osannato e osservato, temuto ma lodato…ero come se fossi il centro stesso dell’universo, ero l’alfa e l’omega, io…io…ero io…e poi nulla, una visione di tenebra, poi io non c’ero più…ero svanito…scomparso…come se fossi…non riesco a capirlo, come se fossi…” “…Morto?” “Già…morto…che idea…geniale fratello, per una volta davvero geniale, ti sei guadagnato il premio più grande a cui un uomo del mio regno possa ambire…” Non si trattava certo della libertà di andarsene dallo stesso amatissimo regno, come sperava il fratello. Ovviamente sperava per non pensare a cosa in realtà si riferisse la mente malata del Principe. Qual è il dono più grande che un artista può fare a qualcuno che ammira ed apprezza? Semplicemente renderlo parte del suo lavoro, portarlo ad una nuova vetta d’arte, eternarlo… “Bello vero?” “Certamente mio Sire…” “Dammi un parere sincero Mastro Alchemico, lo vedresti meglio con gli occhi chiusi o aperti?” “Mio Sire…veramente…io non capisco molto di arte…il grande artista siete voi…decidete come meglio vedete…” “Hai ragione, sono io il genio qui…bhè…facciamo aperti allora, ho sempre invidiato gli occhi di mio fratello…hanno una freschezza e un candore che è rado vedere in un uomo della sua età…sei contento fratellino? Ora vivrai per sempre nell’arte…nella mia arte…sei davvero fortunato…” Effettivamente sarebbe stato ricordato di certo, una delle molte parti che componevano l’opera massima del principe, ora aggiunta di questo nuovo rarissimo pezzo, addirittura un membro della famiglia reale. “Mastro Alchemico, te ne prego, dovresti fare un dono al tuo Principe…” “Cosa necessitate mio Sire?” “Dovresti trovare un modo per incidere la pelle ma lasciandola con tagli perfetti, senza spargimento di sangue o suppurazioni che rovinerebbero un disegno perfetto…è possibile ciò?” “Credo si possa trovare un modo mio Sire, ma sarà di certo doloroso…avete in mente un nuovo progetto?” “Diciamo che ho in mente la mia ultima opera…che mi donerà l’immortalità…anche se non sarà qui per godermela...” “Come desiderate mio Signore…mi metterò subito al lavoro con i miei aiutanti…” “Ah, Mastro, anche un altro favore…dovresti essere tu a compiere l’ultimo gesto per completare la futura opera…vorresti, tu che sei stato il mio agente e…sì…amico più caro?” “Ne sarei onorato Signore…onoratissimo…” “Bene, ora vai allora, inizieremo quando avrai terminato la nuova tecnica di incisione…a presto…” Il Mastro Alchemico Adelem, il cui nome risuonava costantemente in ogni mormorio sommesso nelle taverne e nelle locande del regno, era il secondo uomo più potente del regno. Sin da piccolo il Principe poteva contare su di lui, condividendo con questi l’odio per la madre, uno per mancanza d’amore, l’altro per mancanza di potere. Quando il principe pose fine alla sua vita, per entrambi fu come essere rinati. L’uno trovò un modo per sopperire alla carenza d’effetti, l’altro acquistò il potere necessario a colmare il vuoto che sentiva dentro. Essendo uno degli uomini più influenti e rispettati, ora poco importava del suo orrido aspetto, del suo volto atrocemente deformato da anni di esperimenti crudeli e pericolosi. Ora le donne erano persin felici di averlo come compagno per una notte, anche se quella risultava quasi sempre l’unica notte che avrebbero passato, fuggendo quando era possibile da quel regno e dal suo mostruoso Mastro Alchemico. Era stato sempre lui a trovare i rimedi alla costanti intraprendenze artistiche del Sovrano, ai suoi sfoghi artistici, creando elisir per la conservazione della carne, essenze per mantenere il color rosso acceso del sangue, e anche le ali della penultima opera furono create su commissione del principe, benché questi ne prendesse il totale merito. Adelem era un servo fedele, forse l’unico che aveva raggiunto tutti i suoi obiettivi grazie al Principe, per questo lo serviva con deferenza, e grazie alla sua mente deformata dall’orrore che ogni giorno osservava, apprezzava anche le opere del suo Signore. Insomma egli era il consigliere, il miglior amico e quanto di più vicino avesse ad un padre per Amaranta. Naturalmente il destino del padre del principe faceva supporre che anche il Mastro Alchemico non avrebbe visto il suo corpo marciare verso l’anzianità e la pensione dai suoi doveri di stato. “Sono giunto appena ho saputo, è pronto?” “Certo mio Sire, è stato collaudato alla perfezione, vedete?” “Ottimo risultato davvero…tagli perfetti…vedo che gli ha provocato molto dolore…non vi mancherà come servo?” “Ne troverò altri…comunque ora tutto è compiuto per il vostro progetto…quando vorreste realizzarlo?” “Domani stesso mio caro, organizzate un patibolo nella piazza principale!” “Che tipo di esecuzione gradireste?” “Fiamme…rogo…il fuoco sacro dell’arte brucerà un’ultima volta…e fate portare la mia opera d’arte…l’ultima…l’angelo…servirà…” “Come desiderate mio Sire, al vostro servizio…” “Magnifico…buonanotte Adelem…” “Buonanotte mio Principe…” La piazza principale era gremita di gente ogni giorno, normalmente per il mercato, dove venivano scambiate le merci prodotte localmente con quelle esotiche e più ricercate. Ma l’indomani la folla attendeva con paura ed impazienza il nuovo orribile lavoro del loro Signore…un’opera che egli stesso aveva definito “Ultima”. Ci si attendeva qualcosa di estremamente nocivo per la salute di tutti, ma nemmeno ci si poteva sottrarre all’evento, pena l’esecuzione immediata. Finalmente giunse il Principe, che una volta posizionatosi sul patibolo, ergendosi nel punto più alto in modo che tutti lo vedessero iniziò un discorso, stringendo la mano alla fanciulla traviata, le cui ali divenivano alla luce del sole un vessillo dell’irrazionale amore del Principe. “Miei sudditi, voi avete sempre sostenuto le mie arti, e pochi di voi mi ostacolarono, per questo vi ho invitati qui, ad assistere all’evento culminate della mia carriera, il mio ultimo lavoro, l’opera che riassumerà il mio pensiero e la mia vita…oltre alla mia fine…ma prima…vi restituisco la vera bellezza…io vi dono il paradiso…io…vi dono un angelo…”. E così dicendo lascio andare la mano della fanciulla, osservandola con i suoi occhi, incavati, e segnati da una luce crudele. La fanciulla all’inizio temendo non si mosse, ma il gesto del Principe fu più che eloquente. La stessa si lanciò dal patibolo, svanendo fra la folla, coprendosi il volto con le mani, per non farsi riconoscere da eventuali amici o parenti. “Così sia fatto…l’opera abbia inizio…” E così fu. Il principe si tolse la camicia decorata e il mantello, rivelando sul petto un oscuro disegno a tratti, preciso come se egli fosse nato così dipinto, ma osservandolo da vicino, esso era realizzato da una mano esperta con perizia, ed era composto di sottili tagli perfetti, nemmeno una goccia di sangue era scivolata dal suo petto macchiandolo. Rappresentava una figura vestita in un nero mantello, con falce in una mano e dadi nell’altra. Sotto incisa, una frase alquanto tenebrosa ma esplicita: “Arriverà per tutti, arriverà per caso”. Poi il Principe, dopo aver dato la possibilità di ammirare tale opera, si mise sulla catasta di fascine e legna da ardere, mettendo le mani dietro al palo principale, e lasciando che gli esecutori le legassero strette con corde bagnate. “Sire, ma che fate, ve ne prego, avete perso la ragione?” “Mastro…amico mio…non ho mai visto chiaro come ora…tocca a te…me lo hai promesso…” “Ma la legge…non posso…vi prego…” “Non ne sarai costretto…ma io lo domando con affetto…con l’affetto che mi stringe a te…” “Sire…io…io…accetto…” “Grazie amico mio…grazie davvero…addio…” “Addio mio Sire…” “No, chiamami con il mio vero nome…almeno questa volta…” “Addio Immanuel…addio…” Quindi strappò una torcia accesa dalle mani di un boia, lanciandola verso le otri di olio poste alla base del monticciolo, e rompendone una, diede inizio all’inferno di fiamme che in breve tempo avvolse la catasta con il Principe legato sopra. Neppure un grido uscì dalla sua bocca, ne di dolore ne di estasi, solo un sussurro infine, prima di spegnersi del tutto: “Non v’è vergogna nell’essere se stessi, come la natura ha creato, così si morirà, e tutti noi siamo la stessa natura, e nell’animo ciò che conta è la voglia di vivere, non la qualità del proprio sorriso, o il grigiore della propria pelle, in fondo, solo la luce dei nostri occhi…”. Mesi dopo la vita era risorta nel regno. Gli ultimi fedelissimi del principe erano stati allontanati, dopo la morte del Mastro Alchemico, il quale era stato impiccato seguendo la legge che lo condannava come esecutore del Sovrano. L’ordine era stato ristabilito, le opere del Principe ridonate alla terra, o ai cari che agognavano di rendere omaggi ai loro figli defunti. E per le strade della città una nuova aria, non più suppurante di incenso e sangue, ma fresca a vellutata iniziava a spargersi. Ogni tanto, qualche rara notte, alcuni ubriachi dicevano di vedere un angelo, uscire dalla vicina foresta, recarsi nella piazza principale, e cancellare la parola “mostro” dalla targa che indicava il luogo dove Immanuel era deceduto. Dicevano che pur mettendoci tutto l’impegno, finiva sempre per abbandonare, piangendo sommessamente, e cantando strane parole con una tristissima melodia: “Se la vita ti ha donato, il ricordo del passato, è per non abbandonarti alla malinconia. Se la vita ti ha donato, la gioia di un sorriso, non è l’occhio che tu devi osservar. Ricordavo un uomo un giorno, il suo cuore malato, l’azzurro delle pupille, non lo hanno mai cancellato, la luce dei suoi occhi, ormai non risplende più, ma il sangue del rancore, candide ali non macchia più…”. Naturalmente nessuno crede più a queste fandonie, ma in fondo chi lo farebbe, ascoltando alcolizzati uscire dalle taverne, e ricordando con infinita tristezza quelle parole, macchiate di odio e di gratitudine? Chi mai nel dolore, riuscirebbe finalmente a comprendere il significato della vita? Nessuno vi ha mai creduto, anche se questi ogni tanto mostrano con infinito orgoglio le loro reliquie, raccolto davanti alla targhetta bronzea della piazza: piume bianche come il cielo, macchiate di sangue e cera…
_________________ Il destino è nelle nostre mani, ora tocca a noi scegliere... Il Male è in noi, noi siamo il Male Quando la Morte verrà a prendermi, non vorrei essere qui
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