E' un racconto piuttosto vecchio (almeno 4 anni) spero vi piaccia!
UNA CANZONE PER LA MIA REGHINA“Ecco ora io vedo il sole e la luna.
Ecco ora io scorgo il giorno e la notte.
Ecco ora io attraverso il cielo e il profondo mare.
Ecco ora io accarezzo il vento e la dura terra.
Ecco ora io tocco le stelle e le soffici nubi.
Ecco ora io vinco l’orso e il volo degli uccelli.
Ecco ora io ascolto la voce dell’albero e del lupo.
Ecco ora io ascendo agli déi per vivere eternamente nella loro gloria.
Ecco ora io parto, ma amor mio, non aspettarmi, chè non ritornerò.
Ecco ora io ti lascio, ma il mio cuore sarà sempre con te.
Ti piaceva tanto questa canzone. Davvero tanto. Forse troppo. La cantavi sempre, per ore, senza stancarti mai. Dicevi che era la cosa più bella che fosse mai stata scritta dagli uomini, che la sua malinconia ti faceva sentire viva e ti faceva capire quanto fosse stupendo quello che ti circondava. Mai mi sarei stancato di ascoltarti mentre la cantavi, di vederti ballare tra i bianchi platani del bosco o spumeggiando nelle acque del fiume. Mai.
Avrei trascorso la mia intera vita e l’eternità nel suono della tua dolce voce, chè la felicità che provavo guardandoti negli occhi era sufficiente a cancellare ogni dolore, ogni paura, ogni stanchezza. Mi perdevo nel tuo sguardo, in quelle chiare gemme che erano i tuoi occhi, limpidi come il cielo d’estate, ma profondi come le acque del mare. E i tuoi capelli: morbida seta bruna intrecciata dalle dita del vento in piccole onde nell’aria. I tuoi passi silenziosi nel sottobosco. Le tue delicate mani sul mio corpo. E la rosa della tua bocca sulle mie labbra. Non esisteva niente di più soave di questo. Niente.”
Darkho dovette fermarsi e prendere qualche intenso respiro. L’aria fredda del mattino gli baciava il viso in una fredda carezza, ma quello non era niente in confronto al gelo che lo devastava dentro: nell’anima e… nel cuore. Le braccia e le gambe gli dolevano, ma ormai quel dolore era divenuto insignificante; niente faceva più male, dopo ciò che era accaduto un anno prima. Inginocchiato sull’erba umida, il capo chino, riprese a parlare:
“Sai, mi sono ripreso del tutto da quel giorno. Sono in perfetta forma. L’orecchio è totalmente guarito e cicatrizzato. Naturalmente la parte superiore è mancante, quello che la freccia si è portata via non lo posso ricreare, ma così mi va bene lo stesso, anzi, devo dire che mi piace. È particolare. Forse addirittura unico. Non credo vi siano altri mezzelfi ai quali manca una parte dell’orecchio sinistro.” Sorrise. Ma non era gioia quella che provava.
“Anche l’occhio si è ripreso. Ho perso la vista, ma anche la benda ha un certo fascino. E poi… si sa che a me sta bene tutto, vero Angelo mio?” Di nuovo le sue labbra si allargarono in un sorriso. Singhiozzava. Passò un paio di volte la mano sinistra sull’occhio sano, poi la posò sulla bocca per qualche silenzioso secondo, infine riprese a parlare.
“So cosa stai pensando: ‘modesto come sempre!’ già… non cambio mai, eh? In ogni caso, tornando alla benda, ormai è diventato un simbolo! Quando passeggio per le strade di giorno sono in molti quelli che si fermano a guardarmi con gli occhi spalancati. E non è raro che senta qualche voce sussurrare: -è lui… il cacciatore di demoni- o –il nero pellegrino è giunto tra noi, che ci sia qualche demone nelle vicinanze?-. Mi conoscono praticamente tutti e quei pochi che non sanno chi sono lo apprendono presto dalle chiacchiere degli amici e parenti. Mi è anche capitato di vedere un gruppo di bambini che giocava ad imitarmi: uno portava un lungo mantello nero di stracci e una pezza legata con un cordino gli faceva da benda. Gli altri bimbi correvano per il cortile emettendo versacci mentre lui li inseguiva brandendo una spada di legno. Sarei rimasto ore a guardarli. Erano così felici. Se sapessero come vanno davvero le cose… di certo cambierebbero gioco.”
Una fredda, lenta goccia prese a scendergli sulla guancia destra. La benda si fece leggermente umida al tocco di quella limpida lacrima, ma Darkho non la fermò: la lasciò scendere lungo il viso, accarezzandogli la pelle come una piuma che, leggera, plana nel cielo d’inverno, cullata delle gelide brezze del mattino. Giunta sul mento, rallentò la sua corsa, come per farsi coraggio, per poi gettarsi nel vuoto e cadere in terra, dando vita a nuove piccole lacrime che andarono ad unirsi alle numerose gocce di rugiada che la notte aveva pianto e aveva lasciato giacere sui fili d’erba della valle. Il vento sussurrò qualche incomprensibile parola, sollevando i lunghi capelli del mezzelfo e portando alcuni ciuffi sul suo viso.
Aveva dei capelli a dir poco stupendi: grigi come la perla più pregiata e morbidi come un costoso abito di velluto. Li teneva quasi sempre sciolti e chiunque sarebbe rimasto incantato nel vedere con quale dolcezza e leggiadria gli si poggiavano sulle spalle, con quale eleganza gli coprivano la schiena o gli scendevano sul petto e in che modo ballavano al ritmo del gioioso vento primaverile. Il candore del viso, ravvivato dalla profonda saggezza degli occhi e circondato dalla folta e chiara chioma, rendevano Darkho una delle creature più affascinanti e allo stesso tempo terribili, che il mondo avesse mai visto: per alcuni era uno spettro, per altri, il più bello degli angeli del cielo. Chiunque incrociasse il suo sguardo si sentiva perso, trasportato in un luogo lontano e misterioso, ma allo stesso momento provava una sensazione di sicurezza e protezione infinita e il desiderio di abbandonarsi alle sue forti braccia per sempre, lontano dai pericoli del mondo esterno, coglieva chiunque gli giungesse tanto vicino da poter sentire il suo caldo respiro sul viso.
“Ultimamente ho lavorato molto. Ora che il mio nome è conosciuto in tutto il paese non faccio altro che ricevere incarichi e richieste di aiuto da tutti i capovillaggio della regione. Tutti mi offrono cifre esorbitanti per liberarli dai demoni che infestano le loro città, ma non riscuoto mai grosse somme, prendo solo quello che mi serve per andare avanti e, in caso, per le cure mediche, proprio come mi dicevi tu Amore.” Fece una pausa “Come dicevi tu.” Disse con un filo di voce.
“Ho poco tempo per me. Poco tempo anche per venirti a trovare, Anima mia, ma spero che capirai: non posso lasciare che degli innocenti muoiano ancora per mano di quegli abominevoli esseri. Non posso permetterlo! Non… non posso permettere… che accada di nuovo!”
Non riuscì più a trattenersi e come ogni volta che si recava nella valle, s’inoltrava nel bosco e si sedeva ai piedi di quell’enorme quercia, Darkho pianse.
Piangeva copiosamente e più volte picchiò i pugni in terra, sporcandosi le forti mani. Le gambe gli tremavano e le braccia gli dolevano, ma il dolore più forte proveniva da dentro: dal cuore.
“Perchè? Perchè ti hanno portata via da me, Reghina? PERCHÈ? PERCHÉ NON POSSO AVERTI QUI CON ME AMORE MIO? PERCHÉ QUEL GIORNO HAI VOLUTO PROTEGGERMI? PERCHÉ NON HAI LASCIATO CHE IO AFFRONTASSI QUEL DEMONE? Perchè???”
Reghina. Il nome, inciso a caratteri runici sulla corteccia della quercia, risvegliava in Darkho una lunga lista di ricordi: giornate trascorse a correre nei campi o a passeggiare a cavallo per i boschi, notti incantevoli sotto la luce delle stelle, il rumore delle onde che s’infrangono sulla scogliera, il profumo della sottile pioggia autunnale… il dolce suono di una canzone.
“Ecco ora io vedo il sole e la luna” una voce in lontananza nel bosco pronunciò quelle parole, ma Darkho non la sentì, mentre urlava la sua disperazione.
“Ecco ora io scorgo il giorno e la notte. Ecco ora io attraverso il cielo e il profondo mare.”
La voce continuò e al mezzelfo parve di udire qualcosa. Si azzittì.
“Ecco ora io accarezzo il vento e la dura terra…” il suono di quelle frasi rese ancora più vivi quei ricordi e migliaia di immagini presero a scorrere nella mente del guerriero. Tantissime immagini, differenti l’una dall’altra, accomunati da una sola cosa… un volto.
“Reghina.” Chiamò sottovoce il mezzelfo.
“Ecco ora io tocco le stelle e le soffici nubi. Ecco ora io vinco l’orso e il volo degli uccelli…” Era proprio la voce di Reghina quella che cantava. La voce dell’unica donna che Darkho avesse mai amato, la voce di colei per la quale viveva, la voce di chi, un anno prima, aveva dato la sua vita per salvare quella dell’uomo che amava.
Le parole continuavano a volare tra i rami degli alberi, guidate dal vento: “Ecco ora io ascolto la voce dell’albero e del lupo. Ecco ora io ascendo agli déi per vivere eternamente nella loro gloria…”
Darkho ascoltava quelle parole con il viso rivolto verso le cime degli alberi, gli occhi chiusi, i capelli che volavano leggeri nell’aria. Le mani stringevano la nera terra nei pugni serrati. E le lacrime continuavano a scendere sul suo viso. Non pronunciava parola, il guerriero, se ne stava lì, fermo, ad ascoltare quella melodia che da tanto desiderava udire.
La voce tacque per qualche secondo, poi: “Continua con me Darkho, Amor mio.”
Il mezzelfo non riusciva a parlare, era troppo, anche per lui: “Non… non ci riesco…”
“Suvvia, non dire così! Ti sei forse dimenticato come finisce la mia canzone preferita? Eppure prima la cantasti tutta, senza commettere il minimo errore!” Lo incoraggiò la voce.
“Ricordo perfettamente quelle strofe, Anima mia, è solo che… non capisco… tu sei… sei…” le parole gli si strozzavano in gola.
“Morta? Già. Ma questo non conta niente…” Reghina sorrise e, anche se Darkho non poteva vederla, intuì la sua tristezza.
“Ecco ora io parto…” Riprese allora la voce. Il mezzelfo prese un profondo respiro e si unì a lei nel canto: “Ma amor mio non aspettarmi chè non ritornerò. Ecco ora io ti lascio, ma il mio cuore sarà sempre con te.” Le lacrime sgorgavano calde dagli occhi del guerriero, che aveva ancora il viso rivolto verso l’alto e teneva ancora gli occhi chiusi.
“Non c’è che dire… questa canzone è sempre stupenda” sussurrò la voce, un po’ malinconica.
“Mai quanto te, Amore mio! Nulla è più bello di te.” Darkho pronunciò quelle parole lentamente ed esse empirono l’aria di dolcezza, come il profumo dei ciliegi in primavera.
Reghina sorrise e i suoi occhi invisibili si fecero lucidi. Nella sua mente, il mezzelfo, vedeva chiaro il volto della ragazza, i suoi delicati lineamenti, i fluenti capelli, la pelle chiara.
“Sei sempre troppo dolce con me, Darkho.” Disse in risposta lo spirito.
“Non smetterò mai di esserlo, Reghina… nemmeno adesso che non ci sei più!” furono le parole del giovane, chinato in terra, davanti alla tomba della sua amata.
“Ma io ci sono, Amore mio. Io sono sempre con te… non mi senti proprio lì, vicino al tuo cuore? Io ci sono e ci sarò sempre, Darkho! Sempre e solo per te!”
Una sensazione di morbido tepore pervase il guerriero, come se qualcuno lo stesse abbracciando. E così era infatti. Le braccia dell’Elfa si poggiavano delicate sulle forti spalle del compagno e il profumo dei suoi capelli inebriava l’aria. Poi lo spirito ammorbidì la presa e andò ad inginocchiarsi di fronte al cacciatore. Le sue invisibili mani si levarono nell’aria sino a giungere sulle gote dell’amato. Poi fu il di lei viso a muoversi, lento. Alcuni secondi dopo le labbra di Reghina sfioravano quelle di Darkho. E per un meraviglioso istante, si baciarono.
“Portami via con te, Reghina.” Le chiese in un sussurro.
“Non posso. Tu hai la tua strada da percorrere.” Fu la risposta.
“Se non lo farai… sarò io a raggiungerti. Ti prego.” La supplicò nuovamente il mezzelfo.
Un lieve sospiro uscì dalla bocca del fantasma. “Così sia.”
Reghina si avvicinò nuovamente a lui e lo abbracciò.
Poi si baciarono di nuovo. Fu un bacio lungo e sognante.
Piansero entrambi e le loro lacrime commossero anche gli Dei e gli angeli del cielo, tanto che una leggera pioggia prese a cadere sul bosco.
Il buio scendeva tra le cime degli alberi, ma i due amanti non accennavano a separarsi. Restavano fermi come statue, accarezzati dal vento e dalla pioggia.
Darkho non era mai stato più felice. Il suo cuore era calmo e lieto. Il battito rallentò mentre la sua mente pensava solo a lei, a lei che lo stringeva a se.
Un solo pensiero balenava nella sua mente: “Saremo di nuovo insieme… e stavolta sarà per sempre”. Le loro labbra si allontanarono. Il guerriero riaprì gli occhi e vide davanti a se la cosa più meravigliosa che potesse desiderare. La sua amata era lì, di fronte a lui, visibile e tangibile.
Si abbracciarono ancora.
“A tra poco, Amore mio…” gli sussurrò Reghina con un sorriso.
“A tra poco, Vita mia.” Rispose egli, ricambiando. Poi il suo corpo si fece debole e il cacciatore si lasciò andare. Si sdraiò in terra, chiuse gli occhi e morì.
Il giorno seguente un giovane fauno traversava il bosco. Era stanco e decise di sedersi ai piedi di un’enorme quercia. Sulla corteccia dell’albero spiccavano due iscrizioni runiche: una era consumata e confusa, l’altra, invece, pareva essere stata appena scolpita. Non riuscendo a leggerle le lasciò stare, si appoggiò al massiccio tronco e si rilassò, godendosi la frescura della foresta. Tutto taceva. Poi una voce. Anzi, due. Il vento cullava tra le fronde degli alberi le note di una canzone che mai aveva udito. Tese l’orecchio e ascoltò in silenzio:
“Ecco ora io vedo il sole e la luna.
Ecco ora io scorgo il giorno e la notte.
Ecco ora io attraverso il cielo e il profondo mare.
Ecco ora io accarezzo il vento e la dura terra.
Ecco ora io tocco le stelle e le soffici nubi.
Ecco ora io vinco l’orso e il volo degli uccelli.
Ecco ora io ascolto la voce dell’albero e del lupo.
Ecco ora io giungo da te, Amor mio, per non lasciarti più.”
E al suono di quella meravigliosa melodia, il fauno, si addormentò e i suoi sogni furono animati dalle figure danzanti di un guerriero e della sua amata, uniti per sempre nel canto dell’amore.