Sono giorni che c’è qualcosa che mi turba. Vivo vicino alla periferia di una piccola città lungo la costa ad un’ora da Roma. Sono in questa casa da anni , conosco tutti nei dintorni e non ho mai avuto problemi. Ma è da qualche giorno che mi sento osservata. Quando esco dalla doccia, quando guardo la televisione, quando rientro a casa dal lavoro sento degli occhi che si poggiano su di me e mi scrutano senza mai stancarsi. Ho cominciato a vivere con le serrande delle finestre abbassate. L’estate è torrida e così non entra un filo di vento, ma perlomeno mi sento protetta. Le mie amiche dicono che sto sbagliando, che non mi devo rintanare. Devo capire cos’è che mi angoscia ed affrontarlo. Forse hanno ragione. Dopo una settimana di buio assoluto, di luce artificiale e di uscite guardinghe decido che è l’ora di reagire. Spengo la luce e mi avvio alla finestra del balcone. Il sole estivo mi assale , è il mezzogiorno di una domenica di luglio e la sola vista mi fa dimenticare il perché non abbia spalancato prima queste dannate serrande. Un alito di vento mi accarezza, lo stesso vento che mi sfiora quando vado al lavoro od a fare la spesa, ma mi sembra diverso. Mi guardo intorno alla ricerca di quello sguardo che tanto mi ha angosciata e non vedo nulla. Non una persona od animale sembra guardare verso di me se non brevemente. Un’occhiata curiosa, un cenno di saluto od un semplice sguardo di passaggio sono le prove della mia insensata ossessione. Tento di tranquillizzarmi ma il timore non passa, continuo a sentirmi osservata. Dal ciglio del balcone , col ventre poggiato sul parapetto , aguzzo la vista in cerca di ulteriori conferme. Un volto mi attrae come fosse una calamita. Non so spiegarmi il perché ma la sola vista di quella persona mi fa voltare verso di lei. Ho trovato quegli occhi. Sono gli occhi di una donna quelli che per una settimana mi hanno rinchiusa in casa. È troppo lontana per riuscire a vederne il volto, ma sono sicura che mi spii e di questa certezza non riesco a farmene una ragione. Ogni giorno, quando torno, mi affaccio al balcone. Tento di convincermi che lo faccio per il fresco o per la vista, ma i miei occhi si poggiano sempre li, sul balcone della signora, in cerca di un indizio, di una spiegazione del perché ella mi osservi, osservi la mia casa, la mia vita come fosse una telenovela od uno dei tanti reality che girano in televisione. Cerco di capire dove abiti, cosa faccia nella vita, quanti anni abbia, dove poterla incontrare semmai decidessi di darci un taglio definitivo. Intanto mi abituo. Mi abituo al suo modo di osservarmi, alla sua costanza. Dopo una settimana non mi disturba più, quasi fosse il cicalio estivo inizialmente fastidioso ma che col tempo diviene musicale. È la fine di luglio quando non la vedo più sul suo balcone. Io continuo ad affacciarmi al mio, ma lei non si fa più vedere. Ho smesso anch’io, non aveva più senso continuare. Ora che questa storia è finita quasi mi dispiace per lei, quasi mi manca. Quando ne parlo con i vicini nessuno sa dirmi di chi parlo, nessuno la conosce. Ho tentato di cercarla anche sotto casa sua. Ho scoperto che abita in un condominio insieme ad altre cinque famiglie. Nonostante il modesto numero di vicini, nessuno sa dirmi nulla su quella signora del balcone. Spesso mi rispondono che non sapevano neanche che ci abitasse qualcuno in quella casa. Al suo citofono non vi è nome e nonostante passi appositamente nelle vicinanze ogni volta che mi reco al lavoro, non l’ho mai vista uscire. Forse quel suo sguardo curioso era solo una richiesta di compagnia. Forse quella signora era più anziana di quel che poteva sembrare da lontano, o semplicemente non aveva più nessuno. Deve esserle capitato qualcosa. Sono giorni ormai che non si fa più vedere. Non potevo rimanere col dubbio. Sarei uscita di casa recandomi da lei, avrei suonato quel citofono senza nome e mi sarei fatta aprire. Avremmo chiacchierato, ci saremmo conosciute e forse saremmo divenute amiche, perlomeno conoscenti. Una storia iniziata male, dai tratti da maniaco dello stalking, che finiva con due donne che fanno amicizia sarebbe stato un bel modo di concludere. Poi lei si riaffacciò al suo balcone. Pallida in viso come se avesse visto un fantasma, era corsa al parapetto con tale foga che per poco non cadeva di sotto. Guardava verso casa mia con aria allarmata. Ero stata colta alla sprovvista e la mia reazione non fu immediata. Mi misi a guardava per casa, frugando tra le tende, tre gli spazi nei mobili, in ogni luogo in cui si poteva nascondere qualcosa. Cercai nei posti più ovvi ed in quelli più impensabili, senza rendermi conto che in molti era impossibile che fosse arrivato il suo sguardo. Quando mi calmai in casa sembrava fossero arrivati i ladri. Avevo svuotato i cassetti, gli armadi ,le mensole, lo sgabuzzino , ed ora che ero lucida, che lo spavento di quello sguardo allucinato, del terrore che mi aveva ispirato la signora del balcone, era finalmente scemato, feci mente locale e mi accorsi che la mia era stata una reazione esagerata. Per prima cosa, anche se mi fosse successo qualcosa, dentro casa lei non poteva vedere. Inoltre abitando distante ,qualunque cosa di cui lei si fosse accorta l’avrei notata anch’io, od almeno un mio vicino. Accantonai il fatto come uno sbaglio causato da un brutto sogno o da uno scherzo giocato dalla vista. Avrà scambiato qualche panno steso per un ladro, od io mi sarò immaginata l’espressione spaventata che avevo intravisto. D'altronde era impossibile che avessi notato un simile particolare, siamo troppo lontane. Qualunque sia il motivo, mi ritrovai con il cuore ancora in subbuglio ed una serata sprecata a rimettere tutto in ordine. Quasi ,quasi lascio tutto così…. Nei giorni seguenti tornò il silenzio di sguardi. Le serrande del balcone della signora erano state serrate, senza mai venir riaperte neanche di uno spiraglio. Dannazione al mio carattere! Nonostante tutto quel che mi sta facendo passare, ora mi fa ancor più pena. Si sarà accorta dello sbaglio e si sarà rintanata in casa per la vergogna. Sa che anch’io ormai la osservo , sa di questo nostro bizzarro rapporto di amicizia, se così si può definire, ed avrà immaginato la mia reazione alla sua gaffe. Credo sia inutile anche farle visita, se si è chiusa per una cosa simile. Non mi aprirebbe, peggiorerei solo la situazione. Non so quanti giorni siano passati da quando si è chiusa in casa, ma sembra che questa sera le serrande si stiano muovendo. Si aprono di scatto, come se avesse fretta. Posso capirla , siamo ad agosto ed il caldo è asfissiante. Anche col condizionatore si riesce a sentire il calore di questo sole estivo. Se poi ripenso a quando tutto è iniziato, al momento in cui fui io ad aprire le mie serrande, ne comprendo appieno l’urgenza. Finalmente la signora è uscita, ma ho come l’impressione che qualcosa non vada. La osservo da una finestra. Non ne sarei sicura ma sembra arrabbiata, quasi furiosa. In mano sembra avere un oggetto. Non ci scommetterei sopra ma mi pare un binocolo e quando se lo poggia sugli occhi la vedo che guarda dentro casa mia dalle finestre aperte. Per quanto posso avere buon cuore, ci sono dei limiti che non si possono superare. Mi stava bene, mi faceva quasi piacere quando mi guardava da casa sua , mi dava l’impressione di essere protetta, riuscivo a sentire uno sguardo quasi materno che era da tanto che non sentivo più. Ma non avrei accettato un simile atto di invadenza. Mi diressi verso il balcone per farle capire che stava esagerando. Dietro di lei comparve un’ombra che la sovrastava di poco. Non so come l’abbia vista data l’ora ormai tarda. Forse la luce lunare, forse una qualche lucetta in casa della signora… non lo so, però ero sicura di averla vista. Dalla stazza sembrava un uomo. Forse era suo figlio, finalmente venuto a trovarla. Lei però non sembrava accorgersene e continuava col binocolo puntato verso di me. Mi guardò e rimase pochi secondi immobile, poi il volto impallidì. Sembrava non riuscire a proferire parola. Indietreggiò lasciando cadere il binocolo di sotto, fino a quando la sua schiena non si scontrò contro quella dell’uomo alle sue spalle. La vidi rimanere interdetta mentre una mano le tappava la bocca. Poi non si mosse più. La luce della luna illuminò fiocamente quel balcone ed intravidi una scintilla di riflesso brillare dal suo petto, li dove si espandeva una macchia scura. Corsi sul balcone con il cuore in gola e mi fermai in tempo quando stetti per inciampare. Speravo di aver visto male. Non potevo aver visto quel che avevo visto. Non un omicidio…non un omicidio. Osservai intorno disperata cerando qualcuno che confermasse quanto fosse successo, poi incrociai il mio sguardo con quello della signora e la vidi sboccare sangue. Mi afferrò il panico e non seppi che fare. I miei occhi vagarono intorno a quel balcone come in un foglio bianco in cui non sai dove soffermare lo sguardo. Non so quanto ci misi a muovermi, so solo che mi ripresi quando mi accorsi che l’assassino mi guardava. Corsi in corridoio ed afferrai la cornetta del telefono. Composi il numero della polizia. Poi scappai verso quel condominio. Era illogico quel che stavo facendo. Lui mi aveva visto, poteva riconoscermi. Io no. Però presi ugualmente la macchina e mi precipitati verso quella casa. Dietro la porta a vetro del palazzo sembrava esserci il portiere. Bussai sul vetro freneticamente <<APRA! LA PREGO APRA!>>. Dovevo sembrare una pazza , tanto che l’uomo si avvicinò alla porta ma non osò aprirla << Lei non abita qui. Vada via>>. << C’E’ STATO…UN OMICIDIO…IN UNO…DI QUESTI APPARTAMENTI!>> il mio respiro era affannato. Mi sentivo esplodere. Ma il portiere non mi voleva credere. Quando arrivò la polizia li indirizzai alla casa giusta. Ci rimasero un paio di ore ed ormai si era fatta l’una passata. Intorno a noi si era creata una folla di curiosi, ma nessuno osava avvicinarsi più di tanto, quasi avessero paura di venire coinvolti. Un poliziotto mi prese in disparte. Sembrava una persona gentile. Pensai si fosse preoccupato delle mie condizioni, della mia agitazione. Mi sbagliavo. Con voce tranquillizzante mi fece sedere sul primo appoggio che trovammo, poi con tutta calma mi chiese di raccontare ciò che avevo visto. Gli raccontai di tutto. Di come ci siamo conosciute, del perché ci osservavamo quasi tutti i giorni, di come si era rinchiusa negli ultimi tempi e del perché fosse successo. Il raccontare quella vicenda così bizzarra mi fece distendere un attimo i nervi. Mi sentii quasi più leggera. << E’ sicura di ciò che ha visto?>> mi chiese l’agente mentre dava degli ordini ad un paio di uomini. Non ero sicura dei dettagli, non potevo saperli , ma confermai quanto avevo detto. << Dentro quella casa non c’è nessuno. Sembra ,anzi, che siamo noi i primi ad entrare da molto tempo e…>> << Signore, sembra non ci sia nessuna traccia di un binocolo nei dintorni>> affermarono gli agenti a cui prima era stato dato l’ordine di cercare lo strumento. <<Non è possibile!...io…io l’ho vista…io…>> non ebbi la forza di continuare. Non volevo crederci. Mi fiondai verso il punto in cui avevo visto cadere il binocolo. Niente, neanche le schegge. Entrai dentro quella casa, quella maledetta casa di quella maledetta signora. Trovai solo polvere. Sui divani, per terra, sui tappeti , sulle finestre. Solo polvere e le impronte di scarpe mie e dei poliziotti. Passai la notte in questura a ripete decine di volte ciò che avevo visto o fatto negli ultimi tempi. Continuavo a non voler credere a ciò che stava succedendo, ma perfino il portiere di notte confermò che in quella casa non vi abitava nessuno da mesi. Chiamarono a testimone anche gli altri condomini e da loro vennero a sapere delle domande che feci giorni addietro sulla presunta inquilina di quella casa. Mi sentivo una ladra, o peggio come se fossi io l’assassina. Loro sussurravano ma io li sentivo. Mi credevano pazza. Uscì da quel luogo quando ormai si era fatta l’alba. Non venni arrestata per procurato allarme, falsa testimonianza o ,come cavolo si chiama quando fai intervenire di corsa la polizia senza motivo, solo perché Alberto, uno dei miei vicini, aveva lavorato in polizia prima di andare in pensione ed aveva assicurato per me. Avevo fatto passare una nottata in bianco a molte persone per nulla. Mi fecero capire chiaramente che non ero una persona gradita. << Ma che è successo?>> mi chiese Alberto mentre mi riaccompagnava a casa. << Niente…niente>> risposi con voce stanca. << Non può essere niente se hai passato la notte in questura. Quando li ho visti in faccia sembrava volessero fucilarti!>>. << Niente. Sono solo stanca…ti prego!>>. Quando rientrai in casa mi sdraiai sul letto senza cambiarmi. Non mi importava che avevo sudato, che da li a poche ore mi sarei dovuta alzare per andare al lavoro. Volevo solo piangere mentre ripensavo a ciò che mi era successo, agli sguardi, ai pensieri così palesi , alle loro frasi sussurrate. Volevo solo piangere, ma non ci riuscì e non presi neanche sonno. Andando a lavoro l’adrenalina della notte prima era passata. Tentai di svegliarmi con una doccia fredda ed una tazza di caffè, ma durò poco. Mi rese solo più sensibile agli sguardi. Mi sentivo osservata da tutti, come se tutti sapessero ciò che avevo fatto. Per quanto clamore ci fosse stato, non poteva essere già divenuta una notizia così risaputa. Al lavoro fu peggio. Le colleghe sembravano volermi evitare e quelle che mi parlavano lo facevano con toni rassicuranti, come se potessi esplodere da un momento all’altro. Mi credevano tutti pazza, per una sola volta, una sola dannatissima volta che avevo fatto un errore. Non lo avevo mai fatto, non avevo mai dato nessun segno di squilibrio…e per un falso allarme ora mi trattavano come una squilibrata. Mi chiamò il capo. Al pomeriggio ero a casa. Mi hanno dato delle ferie anticipate, mi è stato detto. Sono stressata ed ho bisogno di riposo, mi è stato detto. Due settimane di vacanza, ufficialmente. Sapevo di essere stata tagliata fuori. Quando tornai sul mio letto piansi le lacrime che trattenevo da ore. Mi stava sfuggendo tutto di mano. Come ero arrivata a questo? Ma per quanto ci riflettevo non trovavo risposta. Il mio pensiero tornava sempre alla signora del balcone. Era colpa sua. Ma come poteva essere colpa di una persona che non esiste? L’ho visto io stessa la casa, piena di polvere e di sporcizia. Non vi erano vestiti, ne nessuna traccia di spesa. A sentire i bisbigli delle mie colleghe sembra che anche luce e gas fossero staccati. Il portiere di notte aveva confermato che stavano ancora cercando a chi affittarla. Per scrupolo andai a cercare anche tra gli annunci immobiliari. C’era. Tornai nel mio buio. La vergogna e la paura mi fecero rintanare in casa, serrande chiuse, luce accesa perennemente per timore di rivedere quell’ombra. Ogni tanto mi facevano visita le mie amiche, portando con loro un po’ di spesa che avevano fatto al posto mio, ma erano visite silenziose. Nessuna aveva il coraggio di scherzare e non avevano idea di come consolarmi. “ Può succedere a tutti” non avrebbe attaccato, non era credibile. “ Vieni fuori, un po’ d’aria ti farà bene”, può darsi, ma non mi sentivo pronta a sopportare la gente che mi fissava mentre spettegolava . Sarei uscita tornando al lavoro, quando le acque erano ormai calme e le chiacchere aveva trovato un altro protagonista da tormentare. L’ossessione però non si placava. Per quanto mi isolassi dal mondo avevo ancora negli occhi l’immagine di quell’omicidio ed ogni tentativo di distrarmi accentuava il ricordo. Non potevo fare nulla. Accendevo la televisione e lo schermo si riempiva di incidenti, omicidi nei gialli, sparatorie ed accoltellamenti da telefilm. Il giornale non osavo toccarlo. La radio tra una serie di canzoni ed un’altra trasmetteva le notizie flash, insistendo su di un caso di omicidio seriale nei pressi di Roma. La notte osavo guardare fuori dal vetro e non appena il mio sguardo si posava sulle finestre di quella casa vedevo il volto di lei che mi scrutava, come un fantasma , una persecuzione. Se qualcuno me lo avesse raccontato prima l’avrei preso per scemo, ma iniziai a desiderare davvero che si fosse trattato di uno stalker. Sarebbe bastata una telefonata alla polizia. Ma se c’era di mezzo il cervello c’era poco da fare. Il solo pensiero di essere divenuta pazza, che tutte quelle voci su di me fossero vere, mi tolse l’appetito. Non so quanto tempo passai senza dormire, svegliata ogni notte da incubi di fantasmi, assassini e manicomi, ma da quanto mi dicevano le mie amiche nelle visite sempre più rade, sembrava mancassero una decina di giorni alla fine di agosto. Una sera, infine, la rividi. Era su quel maledetto balcone. Finsi di non averla vista, ma lei non si schiodava da li e sembrava che riuscisse a fissare verso di me nonostante fossi in casa. Ho letto in qualche manuale che il miglior modo per sconfiggere una psicosi è affrontarla a muso duro e così feci. Per la seconda volta dall’inizio di quest’estate spalancai le serranda cercando di metterci meno tempo possibile. L’aria fresca dell’esterno mi si avventò contro sopraffacendo l’odore di aria viziata che regnava da tempo in casa. Il caos assordante di una festa di piazza giunse alle mie orecchie come lo scoppio di una bomba. Ignorai ogni fastidio. Mi sentivo furiosa contro me stessa e contro quella donna, quella visione. Volevo vederla in faccia. Capire come era fatta e di chi aveva il volto. Prima di precipitarmi al balcone afferrai un binocolo professionistico, un regalo di un mio ex appassionato di birdwatching, ed uscii. Lei puntava un dito verso di me, piangendo. Non le diedi peso. Qualunque fosse la verità, illusione o persona in carne ed ossa, non le volevo più dare il diritto di farmi influenzare da lei. Dal binocolo vidi le sue labbra muoversi, ma le lenti erano sfocate. Riuscivo a vederne i tratti anche se non erano perfetti. Era una vecchia. Una nonnetta di almeno ottanta anni a giudicare dal numero di rughe che aveva. Ma volevo saperne di più quindi regolai le lenti per rendere più nitida possibile l’immagine. Il mio cuore perse un colpo. Il mio sangue divenne ghiaccio. Quel che io avevo visto rughe erano brani di pelle ormai marcia. Sotto un viso di ragazza. Il mio. Le mie mani persero ogni forza lasciando la presa sul binocolo che cadde di sotto. Persi la voce. Mi allontanai d’istinto. Un alito caldo mi soffiò sul collo. Mi tornarono in mente le labbra di quella creatura, ogni sua lettera. “s-c-a-p-p-a”.
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