
Ieri ho avuto occasione di vedere “La battaglia dei tre regni” di John Woo, e dopo una prima parte splendida, impregnata di senso epico, il film comincia a perdere lentamente di espressività.
Eccezionale la scenografia, con un numero di comparse mobilitate davvero imponente, sebbene l’impostazione del film è a tratti quasi confusionaria con parecchi cambi di scena troppo rapidi e un eccesso di primi piani anomali durante le battaglie.
Non mi è dato sapere se il problema di un susseguirsi troppo rapido delle scene sia dovuto al fatto che il film è arrivato in occidente accorciato della metà (giacché l’originale aveva una durata di circa 4 ore), ma sembra un ipotesi plausibile.
Il classico finale alla John Woo in stile The Killer e Hard Boiled, con il “cattivo” che per salvarsi la pelle prende in ostaggio Caio, mi è sembrato piuttosto fuori luogo, poco pertinente con qualsiasi senso storico e anche un po’ ridicolo.
Perlomeno non ci sono protagoniste che si prostituiscono per salvare il regno e anzi, devo dire che i personaggi femminili hanno una certa dignità pregevole, complice il fatto che non c’è nemmeno l’ombra di quell’arrapamento maschile morboso nei confronti della donna che ormai regna sovrano nel cinema e nella mentalità occidentale. Malgrado ciò la caratterizzazione di personaggi come Xiao Qiao a tratti risente di una certa artificiosità metodica nel montaggio e di uno smodato utilizzo di filtri digitali.
E’ un colossal di proporzioni notevoli di indubbie qualità, come l’enfasi riposta nella pianificazione strategica, l’importanza dell’intuire i piani dell’avversario e di come la giusta previsione delle condizioni climatiche possa rovesciare l’esito di un intera battaglia.
Ottima la recitazione, sebbene il copione a tratti risulta banale e nell’intera opera traspare una certa assenza di profondità che avrebbe giovato non poco al giudizio complessivo.
Concludendo: si tratta di un film dai larghi mezzi, dalla bella colonna sonora e dalle coreografie spettacolari, ma che manca di quella concezione di cinema superiore che fa perennemente rimpiangere i grandi maestri del passato come A. Kurosawa.