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 Oggetto del messaggio: Romania. La transizione compiuta
MessaggioInviato: ven apr 28, 2006 11:04 
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Alla scoperta di un paese amico

di Pierluigi Mennitti

Ci sono molti modi per raccontare un paese amico. Uno è quello di raccogliere dati e informazioni e scrivere un bell’articolo pensoso, un’analisi profonda che spieghi e descriva. Un altro è quello di affidarsi alle mappe geografiche, misurare vicinanze e distanze, strategie e proiezioni. Invece, questa volta, l’editoriale di apertura è un racconto di viaggio. E’ una lunga striscia d’asfalto arrostita dal sole d’agosto, che parte da Bors, dogana di confine a una manciata di chilometri da Oradea all’estremo occidente, e si conclude a Sulina, la cittadina all’estremo Est, sull’ultimo braccio del Danubio, lì dove il fiume padre dell’Europa si getta nel Mar Nero dopo aver creato un reticolo di magia unico in tutto il continente. Una striscia d’asfalto che attraversa campagne e città, montagne e laghi, miniere e monasteri. Che mette a contatto con i popoli rudi delle fattorie, con le carovane girovaghe degli ultimi nomadi d’Europa, con i musicanti radunati per il festival di Passo Prislop, con gli intellettuali inquieti della scena artistica della capitale, con i preti silenziosi dei monasteri della Bucovina, con i commercianti del turismo di Costanza, con i politici indaffarati nei ministeri di Bucarest.

Tanto diversa e tanto composita è la Romania, che riassumerla in un cliché unico, come facciamo qui in Italia, è innanzitutto scorretto. Il dinamismo “veneto” del Banato, delle cittadine invase dagli imprenditori italiani del Nord-Est di Oradea e Timisoara è lontano anni luce dalle malinconie agresti della Transilvania, dove i carretti vengono ancora trainati dagli asini e le ore del giorno sono scandite dai tempi di una vita autoreferenziale e chiusa negli steccati di villaggi fuori dal tempo. Le pulsioni europeiste di Bucarest, dove le burocrazie si affannano con i dossier di Bruxelles per non mancare l’appuntamento del primo gennaio 2007 hanno un’eco lontana nei centri spirituali dei monti al confine con l’Ucraina, dove fratelli e sorelle di una fede cristiana ortodossa osservano con rassegnato fastidio il turista che entra nei monasteri variopinti per rubare immagini di vita monastica. La vocazione commerciale della costa orientale, la laboriosità sgraziata dell’umanità portuale che attraverso il Mar Nero si vede proiettata sui mercati dell’Asia centrale si assopisce tra i naviganti dell’oasi naturalistica nel Delta del Danubio, dove i pescatori cucinano sulle rive la famosa ciorba di pesce (una zuppa saporitissima) e i pellicani svernano nell’ultimo rifugio d’Europa.

E poi, dipende dalle strade. Ci sono quelle tortuose del Nord che si arrampicano sui monti verdissimi dei Maramures, dove gli chalet disegnano un panorama quasi alpino e se non ci fossero i tetti a cipolla delle case e delle chiese si farebbe fatica a credere di essere sui Carpazi. E quelle piatte e diritte che seguono lungo la piana della Valacchia la striscia grigia del Danubio, laddove il corso naturale farebbe una piega a gomito, e il corso di Ceausescu s’incaponì in un’opera tanto grande quanto inutile (e mortale per tanti lavoratori che vi persero la vita) per risparmiare una manciata di chilometri e aprirsi con un canale artificiale la scorciatoia per il Mar Nero. E poi ci sono le strade a zig zag nel distretto petrolifero di Ploiesti, immagine di una Romania meno rurale e anzi ricca di risorse energetiche, con quei pozzi che pompano oro nero dalle viscere della terra e le pipeline che si perdono lontane all’orizzonte. Così come ci sono strade larghe e lunghe dei quartieri di regime di Bucarest, come il monumentale Bulevardul Unirii che porta dritto a sbattere sulla mole megalomane del Parlamento, che la follia di Ceausescu volle alto dodici piani per farne il palazzo politico più grande del mondo, dopo il Pentagono; e i piccoli vicoli di Sibiu, una delle perle della Transilvania, cittadina piena d’arte e di fascino che rammenta le sue lontane origini tedesche e che il prossimo anno dividerà assieme a Lussemburgo il titolo di capitale europea della cultura, una sorta di riconoscimento ufficiale per l’ingresso di tutto il paese nel club esclusivo di Bruxelles.

Città diverse, paesaggi vari, etnie differenti. Orgogliosi e latini i rumeni, che non smettono di ricordarti che in qualche modo sono imparentati con gli italiani pure loro e per testimoniartelo in maniera definitiva ti spediscono al museo nazionale di storia rumena di Bucarest ad ammirare la copia della Colonna Traiana di Roma, dove sono scolpite le gesta imperialiste di Traiano che si incuneò nella Valacchia per assoggettare i daci: una sconfitta che dovrebbe dimostrare l’antico sangue romano infuso nelle vene degli attuali rumeni. Silenziosi e timorosi gli ungheresi, minoranza che vive di rimpianti nelle regioni occidentali del paese, sognando un giorno di rivedere la Transilvania magiara che mai tornerà, specie adesso che arriva l’Europa a sanare le ferite della storia. Allegri e rumorosi i rom, insomma gli zingari, refrattari alle leggi, all’ordine e alle fisse dimore, che percorrono il paese su carrozzoni da film d’avventura ma che non vengono poi visti di buon occhio dai residenti: e però basta che mettano mano ai violini e ai tromboni e l’aria si riempie dei suoni travolgenti della musica zigana, e allora si balla e si canta seguendo ritmi antichi e danze dei tempi andati.

Infine la Romania degli italiani, e l’Italia dei rumeni, che non è solo roba da museo della storia. E’ attualità, esperienza quotidiana di un rapporto felice, assai più sereno di quello che i dispacci d'agenzia sono solite enfatizzare. D’altronde, tutte le immigrazioni creano vantaggi ma anche tensioni ed è quasi inevitabile che la cronaca nera privilegi le seconde. L’importante è darne il giusto peso. Perché poi i rumeni che lavorano nel nostro paese sono tanti e laboriosi, e l’estate, proprio su quelle strisce d’asfalto che collegano l’Italia alla Romania, colonne di rumeni su auto italiane con targa italiana, rientrano a casa per le ferie. E nelle regioni dell’emigrazione, a Baia Mare o nella Bucovina, sembra quasi di essere a casa da noi, tra gente che ama parlare il nostro idioma appreso sul luogo di lavoro e che non vede l’ora di restituirti l’ospitalità ricevuta. E’ un pezzo di Romania che parla e pensa in italiano, quella che ritorna per le vacanze in patria. E rafforza la buona immagine del nostro paese. Così come gli imprenditori italiani più bravi, che hanno delocalizzato le loro attività soprattutto nelle province occidentali, a Oradea e Timisoara, ma anche a Bucarest, e che stanno imparando a prendere e a dare, a lasciare un segno importante nello sviluppo del benessere rumeno. Quando fra pochi mesi la Romania farà il suo ingresso in Europa, anche noi italiani dovremmo essere un po’ orgogliosi, perché il loro successo, per un pezzetto, sarà stato anche il nostro. Nel solco di un rapporto forte, che può solo intensificarsi.

pmennitti@gmail.com
Pierluigi Mennitti, giornalista, è direttore di Emporion.


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MessaggioInviato: ven mag 05, 2006 15:41 
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Ancora pochi mesi e il primo gennaio 2007 la Romania (con la Bulgaria) sarà quasi certamente membro ufficiale dell’Unione Europea. Si completa così la prima fase di allargamento a Est, avviata nel 2004. Per Bucarest è un riconoscimento importante, al quale ha lavorato l’intera comunità in uno sforzo unitario e senza divisioni. Una prova di maturità per un paese complesso e difficile, uscito da una delle più drammatiche dittature. In pochi anni, la Romania si è messa in moto, ha rinnovato burocrazie e sistemi economici e oggi si presenta piena di prospettive. Gli stretti legami di amicizia che la legano all'Italia, rendono questo successo rumeno un’ottima notizia anche per noi.


Per informazioni, vi segnaòlo questo sito... magari molti dei pregiudizi sulla Romania e sulla sua gente si dissiperanno:
http://magazine.enel.it/emporion/

Have fun :wink:


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