Il forum dei Drow, dei Vampiri e delle creature dell'oscurità
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Era una fredda notte primaverile, dal cielo limpido e senza stelle.
Avvolto nel suo giubbotto bruno, Philnmore Garner stava poggiato ad un muro di una casa. Sorretto da un piede su cui era calzata una scarpa classica di pelle, mentre l’altro faceva da divisorio tra la parete ed i suoi pantaloni di cotone beige. Supportati dalla sua altezza, gli occhi scrutavano nell’oscurità di quella notte senza luna.
Per le strade dissestate di quel quartiere privo di lampioni, solo la luce che usciva dalle finestre dei nottambuli illuminava debolmente le sagome degli edifici, nascondendo, come una passata di trucco, le crepe che li deturpava.
Le orecchie dell’osservatore erano tese a percepire ogni minima variazione del silenzio che dominava la zona.
La notte era inoltrata, e da molte ore Philnmore era lì ad aspettare che succedesse qualcosa. Gli avevano affidato un compito di sorveglianza perché i suoi superiori si fidavano del suo ferreo senso del dovere, ed era proprio ciò che gli serviva per rimanere anche un solo istante in più a sorvegliare il nulla.
Partito dalla propria città durante la mattinata, era giunto a Nario verso il tramonto, e da allora montava la guardia come gli era stato ordinato. E non era successo ancora niente.
Mancava poco all’alba, era questione di un paio ore, e cominciava a risentire la stanchezza dovuta al breve sonno azzardato durante il viaggio. Ma sapeva che non poteva andarsene, la sua assenza avrebbe compromesso una indagine importante.
Mentre questi pensieri gli riempivano la mente, il silenzio fu disturbato da un suono appena percettibile, che non poteva appartenere a qualche animale randagio. Non era neanche umano. Simile ad un sibilo di vento.
L’uomo,allarmato,prese posto tra le ombre delle case,accovacciato ed in silenzio,cercando di vedere cosa avesse prodotto quel suono.
Delle ombre nella notte. Sagome nere, talmente oscure da stagliarsi nel cielo notturno, incorporee e traballanti come fuochi fatui, apparvero davanti agli occhi del tremante Philn. Creature sibilanti dagli occhi spenti e dalle pupille completamente bianche. Piccole ma aguzze zanne s’intravedevano negli istanti in cui aprivano la bocca, e da esse colava un liquido trasparente che al solo contatto con il cemento creava un foro netto e profondo. Quattro arti superiori dotati d’artigli che si mimetizzavano con le dita lunghe e sottili.
Le creature erano circa una ventina e trasparivano intenti omicidi e profondi rancori sopiti, creando come un’oppressiva aura malvagia e gelida che penetrava nell’anima di chi le osservava. Solo una posta al centro del gruppo, dava una parvenza d’intelligenza. Era più alta e camminava, a differenza delle altre che erano ingobbite, completamente eretta. La sua sagoma era più umana, come se quella sembianza di spettro fosse solo una veste. Ma era anche quella che emanava la sensazione più opprimente.
Philn, spalle al muro e ben nascosto, si sentiva le gambe paralizzate e pur volendo, non riusciva a muoversi. Fortunatamente le creature sembravano non notarlo.
Doveva approfittarne per scappare, quindi ripreso coraggio ed iniziò a dirigersi lentamente verso l’entrata del vicolo più vicino. Svicolò tra le ombre cercando di cancellare la sua presenza, usando la maggior cautela di cui era capace.
Le creature continuavano ad ignorarlo, muovendosi disordinatamente verso una direzione fissa, come se sapessero esattamente dove si dirigevano.
Intanto Garner, aiutato dalla distanza che lo separava dai mostri, si era già infilato nel vicolo adiacente, coperto da un’oscurità più fitta, seduto a terra con la schiena che poggiava sul muro di un edificio. Quelle…cose non potevano essere umane, rifletté, ed il fatto lo spaventava. Da quanto sapeva, i recenti delitti su cui indagava erano ad opera di un setta. Non di creature del genere. Ma che mostruosità erano? Da dove erano venuti ed a quale scopo? Era inutile fare congetture su qualcosa di cui non sapeva niente, quindi cominciò a pensare a ciò che doveva fare.
Philn non aveva nulla per avvisare i suoi superiori. Se la situazione fosse come pensava, poteva solo cercare di intervenire ed evitare un altro massacro. Ma come? Non poteva affrontare le creature e la loro superiorità numerica. Il solo pensiero di un’azione del genere gli paralizzava le gambe. Ma doveva fare qualcosa! Non poteva abbandonare il suo dovere, lasciando in pasto a quelle mostruosità un innocente. La sua unica possibilità era di precederli e mettere in salvo il loro obiettivo, e lui sapeva chi era. Però avrebbe dovuto sbrigarsi per rendere possibile l’intercettazione. Per evitare di farsi vedere doveva attraversare i vicoli secondari della città, aumentando sensibilmente la strada da percorrere. Senza perdere altro tempo, prese a correre il più rapidamente che gli riuscisse, schivando bidoni della spazzatura, pali e qualsiasi cosa poteva bloccarlo, imboccando le strade che lo avrebbero portato al suo obiettivo. La sola immagine di quegli orrori gli faceva sembrare il suo agire come una pazzia, ma si rassicurava al pensiero di avere una difesa che lo avrebbe aiutato in caso estremo. L’aveva sempre al fianco durante i lavori pericolosi, ed adesso gli era utile più che mai.
Nella foga della corsa, non si accorse di una piccola crepa nel cemento che lo fece cadere rovinosamente e rumorosamente a terra. Senza preoccuparsi dei graffi e delle lievi ferite che si era procurato, si rialzò per riprendere a correre, ma uno strano rumore lo fece desistere. Philn, in silenzio, rimase ad ascoltare i suoni che lo circondavano. Un rumore simile allo strusciare del vento appariva con il ritmo di passi. Prima che poté fare qualcosa, due ombre fuoriuscirono dall’oscurità che gli era davanti e lo caricarono. Con le mandibole aperte cercavano di azzannarlo, mentre il loro raggelante sibilo fischiava nelle orecchie stordendolo. Solo l’istinto gli permise di salvarsi, buttandosi a terra, arrivando ai fianchi delle creature. Rotolando prese la pistola che teneva alla destra. La sua arma non aveva una grande potenza da fuoco, ma sperava che fosse sufficiente a fermare i due mostri.
Mentre le ombre si voltavano, pronte a riassalire, Philn mirò velocemente e sparò due colpi in successione. I proiettili perforarono le creature come se fendessero l’aria, trapassandole da parte a parte. Ma non era servito a niente. Rimasero ferme solo pochi istanti, come sofferenti, poi ripresero inesorabili l’assalto, incolumi.
Una sensazione raggelante prese possesso dell’uomo, inchiodandolo a terra, con la pistola puntata e con l’impressione che le creature gli risucchiavano il calore e le speranze. Le ombre approfittarono dell’indecisione azzannandolo e trafiggendolo con gli artigli. Le ferite gli provocarono dolori lancinanti e svuotarono il corpo del tepore necessario. Philn non sapeva cosa fare. Non aveva nulla con cui difendersi. In pochi, brevi secondi l’oscurità lo sommerse. E mentre si rassegnava ad abbandonare le sue energie, accasciandosi a terra, un oggetto cilindrico scivolò da una delle sue tasche, ed un cono luminoso infranse l’oscurità che lo avviluppava.
Le ombre furono investite in pieno dal fascio di luce, e gemendo infuriate, si dissolsero nel nulla, come una nube esposta ad un forte vento.
Rialzandosi Philn si trovò isolato. Non c’era più nessuno, ed osservando le strade del vicolo poteva sembrare che non fosse successo nulla. Ma lui era stato vicino alla morte.
Il caso aveva voluto che si salvasse grazie ad una torcia. E ciò gli aveva mostrato anche una potente arma da sfruttare a suo vantaggio. Ma doveva sbrigarsi, aveva perso già troppo tempo in quello scontro, ed ora più che mai aveva intenzione di portare a termine il suo obiettivo.










Vorrei i vostri commenti :wink:

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Ultima modifica di Akron il lun dic 18, 2006 17:42, modificato 1 volta in totale.

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Bello! mi piace!

secondo me l'hai scritto molto bene :wink:

mi raccomando, scrivi anche il continuo!!!!

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Non sono cattiva!!!! Sono solo molto suscettibile :sisi:

Spoiler: Visualizza


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Philn si alzò a fatica e si accorse di avere dei fori nei vestiti, ma nessuna ferita evidente, se s’ignorassero i lividi. Una debolezza fisica, però, stagnava lì dove vi erano queste macchie nere. Senza darle importanza ripose la pistola e riprese a correre in maniera malferma, convinto di farcela.
Il tragitto era completamente in salita, e nonostante fosse costretto ad attraversarlo tramite labirintici vicoli privi di luce, sapeva che la strada era giusta grazie ad un progressivo miglioramento dell’asfalto: si stava dirigendo verso il quartiere ricco.
Dopo decine di minuti estenuanti di corsa, finalmente raggiunse la sua meta. Al di là del marciapiede in cui si trovava, separato solo da una striscia di strada, un’abitazione si presentava ai suoi occhi.
La casa era una villetta bianca a due piani, circondata completamente da un muro alto due metri e da un giardino di modeste dimensioni, nulla di differente da una delle altre abitazioni che facevano mostra nella via.
Fermatosi per riprendere fiato, Philnmore si accorse che il suo arrivo era stato intempestivo. Le nere creature avevano già circondato l’abitazione ed uno di loro si apprestava ad entrarvi passando attraverso le sbarre del cancello chiuso.
L’uomo si sentiva impotente di fronte a quella situazione. L’unica difesa che aveva era una torcia mezza scarica che non avrebbe retto a lungo. Era costretto a risparmiare le batterie e, di conseguenza, doveva essere il più cauto possibile. Il piano doveva essere messo in moto subito, ora più che mai, non aveva un attimo da sprecare.
L’assalto al cancello era da escludersi: il grosso del gruppo era lì, sorvegliato dall’ombra umana. Era più prudente entrare dal retro dove, almeno sperava, vi erano meno nemici, e per farlo doveva attraversare la strada, esposto allo sguardo delle creature. Doveva ragionare su ciò che sapeva e ciò che aveva scoperto, come faceva ogni volta che era in pericolo. Ed era ciò che lo salvava sempre. Pensando a ciò che gli era accaduto sino ad ora, elaborò un piano. Niente poteva confermare la sua riuscita, però ci sperava.
Ogni singolo lampione era spento, e ciò normalmente era un vantaggio. Ma non contro di loro. Philn aveva capito di dover creare la situazione opposta se voleva passare inosservato. Si chinò a terra cercando con la mano un oggetto simile ad una pietra. Dopo aver tastato il terreno, prese un ciottolo, poi mirò verso un punto preciso. Con tutta la forza che aveva nel braccio lanciò la pietra, colpendo la finestra di una delle ville dell’altro lato della strada, sfondandola in un fragore di vetri infranti. Il rumore fece voltare verso la fonte le creature che, soffiando come felini infuriati, si avvicinavano al nascondiglio di Philn. Si accese una luce.
La stanza con la finestra infranta s’illuminò di una forte luce elettrica e delle voci irritate ne fuoriuscirono. Come una reazione a catena s’illuminò ogni abitazione nei paraggi, piene di persone curiose. L’improvviso rischiarimento del viale prese di sorpresa le ombre, che si trovarono costrette a rifugiarsi.
Philn n’approfittò, e, raccolte le forze, corse a più non posso verso la casa assediata., con il rumore dei suoi passi coperto dal vociare. La distrazione durò più a lungo del previsto, dandogli il tempo di scalare le mura esterne e di intrufolarsi nel giardino della casa.
Oramai all’interno, Philn Garner osservò ciò che lo circondava, non dando per scontata la possibilità d’essere ancora scoperto. Le luci provenienti dalle case intorno erano scomparse improvvisamente insieme al vociare preoccupato. Era strana la velocità con cui era successo, ma non aveva il tempo per rifletterci su. Le ombre si sarebbero rimesse in azione entro poco.
Il giardino della villa era silenzioso come una cripta. I fiori e gli alberi che lo decoravano erano quasi invisibili nella densa oscurità. Piante di rampicanti adornavano le mura. Era grazie a quelle che era entrato. Nulla sembrava muoversi, neanche il sottile strato d’erba che attutiva i passi dell’uomo.
Arrivato alla porta secondaria della casa, Philp fece caso ad un particolare che gli era sfuggito. Sin da prima di entrare, le luci dell’abitazione erano spente e sembrava che nessuno si fosse svegliato nonostante il rumore della strada. Possibile che fosse già troppo tardi?
Agitato dal pensiero sfondò la porta con un calcio, ignorando la cautela, e penetrò nell’edificio.

Si era addormentato da molto, in maniera improvvisa, con il sonno di una persona che non dorme da diversi giorni. L’ultima cosa che ricordava era un odore dolce e delicato come quello dei fiori di camomilla che la mamma adorava e che erano appassiti in inverno. In seguito aveva sentito delle voci arrivare dalla strada, ma non riusciva a svegliarsi. Si sentiva costretto a dormire. Poi un rumore secco e fragoroso venne dalle scale, seguito dal suono di una porta che sbatteva. Il ragazzo aprì gli occhi.
Daniel, seduto sul suo letto, fissava le spoglie pareti della sua stanza con occhi atterriti. Lo sguardo sbarrato ed il volto grondante di sudore freddo come il ghiaccio. Il suo respiro era strozzato e affannoso come se fosse la prima volta che respirasse dopo tanto tempo. Guardandosi intorno si accorse che era ancora notte. Lo strano profumo di fiori aleggiava ancora nell’aria, ma era molto più debole e tendeva a dissolversi. Non vi era nessuno nella sua camera. Nessuna cosa o persona, nessuna stranezza. Forse aveva appena avuto un incubo.
Cercando di riprendersi, si alzò a fatica. La stanza era impregnata d’oscurità e non si riusciva a vedere se non a pochi passi di distanza. Muovendosi a tentoni raggiunse l’interruttore della luce. La lampada sul soffitto si accese illuminando la camera ed accecando momentaneamente il giovane. Passato l’abbaglio Daniel si sistemò al meglio i suoi capelli mori mesciati di biondo, interrompendosi ogni tanto per strofinarsi gli scuri occhi, provando a focalizzare meglio lo specchio davanti a cui si era posto. Poi si riposizionò sul suo letto. Aveva perso il sonno e non sapeva cosa fare.
La casa era silenziosa e solo lievi rumori di riposo serpeggiavano tre le mura antiche dell’edificio.
All’esterno tutto era tranquillo e l’assenza di luce dovuta alla mancanza della luna evidenziava le lontane zone illuminate.
Annoiato si affacciò alla finestra. Il suo sguardo s’inoltrò fra le vie più strette e sui palazzi più lontani, fino a quando la luce e la vista glielo permettevano. La tensione del risveglio, che lo aveva tenuto alzato, era sparita da molto, ma il sonno non si degnava ad affacciarsi. Dalla profondità dell’oscurità del cielo, aveva intuito che erano trascorse al massimo tre ore da quando si era coricato, verso le dieci delle sera
Stufo di non fare nulla, decise che era il caso che si rimettesse a dormire, quindi si mise sotto le coperte e chiuse gli occhi.
Dell’aria fredda entrava dall’esterno, quindi si costrinse ad andare a chiudere la finestra, ma sentì uno strano rumore. Un ritmico fischio di vento proveniva dal corridoio. Incuriosito andò a controllare.
Il corridoio era deserto, le finestre tutte chiuse e la luce proveniva solo dalla sua stanza. Ma il sibilo continuava a sentirsi. Scrutò meglio e si accorse che, stesi lungo il corridoio, vi erano i suoi genitori. Corse verso di loro e si tranquillizzò vedendo che erano solo addormentati. Cosa ci facevano lì per terra?
Neanche il tempo di pensarci che l’unica fonte di luce si spense come con un calo di tensione, facendolo rientrare nel buio che lo aveva visto svegliarsi. Daniel rientrò subito in camera. Le luci non si accendevano, ma oltre a questo nulla di strano e decise di tornare nel corridoio per cercare di svegliare i genitori. Ora, però, avvertiva qualcosa di differente.
L’andito era gelido come il ghiaccio, ed il sibilo di vento che aveva incuriosito il ragazzo era più forte di prima, come se fosse vicinissimo. Sui suoi genitori un’ombra mostruosa era avvinghiata ai corpi. Li stava divorando.

All’interno dell’abitazione sembrava non esserci nessuno. L’illuminazione era identica a quella dell’esterno, se non più ombrata. Centinaia d’oggettini, dipinti, tavoli e lampadari suntuosi adornavano i corridoi e le stanze. L’unico rumore che si sentiva era il riecheggiare del tonfo della porta, oramai distrutta e buttata sul pavimento. Philn si era già pentito dell’entrata che aveva fatto, rischiosa ed inutile. Preferiva non pensare a quante creature aveva attirato in quel modo. L’unica cosa che poteva fare, ora, era sbrigarsi a trovare i proprietari della villa.
Fatta una rapida ispezione, si diresse verso il piano di sopra. Il corridoio, partendo dalle scale, si piegava verso destra in un angolo di novanta gradi, impedendo la vista di ciò che c’era a più di dieci metri. In compenso non vi era nessuna stanza, quindi si poteva procedere direttamente all’angolo.
L’uomo si diresse lentamente verso l’angolazione, con passo leggero, in modo da controllare bene ciò che stava succedendo.
Dall’altro lato del corridoio una delle creature incorporee era ferma ed occupava la visuale di ciò che succedeva davanti. L’importante, però, era d’averla trovata.
Philnmore scattò verso la creatura, torcia in mano, pronta ad accenderla. L’ombra sentendolo arrivare si voltò. Gli occhi bianchi lo guardavano carichi d’odio e desiderosi della sua vita.
Le macchie nere sul corpo dell’uomo ricominciarono a fiaccare le sue energie ed un freddo intenso si fece strada nel suo corpo. Si fermò ansimante, e quando la creatura si scagliò su di lui, accese la torcia. L’ombra si dissolse come un incubo al risveglio, cancellando ogni traccia della sua esistenza, poi la luce illuminò il volto di un ragazzo.
Philn vi si avvicinò e lo vide atterrito, tremante. Il volto esprimeva ciò che non riusciva a dire. Era ancora in pigiama, si era svegliato da poco. Probabilmente avrebbe preferito non farlo. Philnmore s’inginocchiò davanti a lui e cercò di farlo calmare, ma non era possibile. Il ragazzo diceva parole sconnesse che per lui non avevano senso.
D’improvviso Philn si accorse di un dettaglio. Preoccupato dal ragazzo, non aveva notato che l’aura di gelo delle ombre non era scomparsa.
Si girò in tempo per vedere altre due ombre che lo attaccavano e le schivò prontamente, portandosi dietro il giovane. Le creature urtarono contro un muro senza creare rumore, divennero nubi oscure e riattaccarono riprendendo la loro forma. Philnmore, però, fece scattare in tempo la luce della torcia, dissolvendo in un fascio di luce anche quest’ultime. Stavolta il gelo scomparve.
Riprendendo fiato Philn si guardò intorno alla ricerca di qualcun altro, ma la casa era completamente vuota. Non vi era traccia dei genitori del ragazzo. Neanche cercando nelle stanze trovava qualcuno. Non c’era nulla. Nemmeno i cadaveri.

Solo per te mia prima lettrice 8-)

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x piacere metteteci un commento! :crying:

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Confermo quanto detto prima......

....secondo me è proprio ben fatto!

Bravo Akron!!!! :clap: :clap: :clap:

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Se non ci fossi tu che mi sostieni... :oops:
però mi piacerebbe che anche altri dicessero qualcosa( mi andrebbe bene pure:" fai schifo. Datti all'ippica!". :crying:

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L’unico essere umano della casa era il sedicenne che aveva salvato. Non vi erano corpi da nessuna parte. “Probabilmente quella sera era solo” pensò Philn mentre scendeva le scale della casa trascinando per un braccio il ragazzo. Senza più preoccuparsi di cadaveri scomparsi iniziò a riflettere su un modo per scappare. La via più sicura, probabilmente, rimaneva l’entrata secondaria da cui era arrivato, poiché la principale era ancora sorvegliata. Finite le scale l’ormai familiare gelo, però, lo avverti della presenza di almeno quattro ombre all’uscita. Costretto a dirigersi all’entrata principale, imboccò silenziosamente il corridoio opposto alla porta sul retro, arrivando fino alla cucina. La stanza non era molto grande ed era occupata maggiormente dal tavolo e dalla zona cottura. Lo spazio rimanente bastava ad un comodo transito di una, massimo due persone. Tre porte permettevano l’uscita. La prima era alle spalle, quella da cui i due erano entrati. La seconda, da quanto Philn aveva capito nella precedente esplorazione, portava alla sala da pranzo, alla sua destra. In pratica un vicolo cieco. La terza era davanti e conduceva al salone principale, dove c’era l’entrata della casa.
Avvicinandosi alla porta di fronte a lui senti il gelo delle ombre avvicinarsi. Philnmore intuì di essere circondato. Le uscite erano irraggiungibili e sentiva le creature avvicinarsi. Tante creature. Almeno una decina.
Nella stanza c’era una finestra sufficientemente grande da far passare una persona ed i mobili sottostanti potevano far da scala per arrivarci. Il vetro era spesso ma non infrangibile. Bastava una buona pistola. Il problema era il rumore. Nel silenzio che regnava uno sparo e l’infrangersi del vetro avrebbero fatto l’effetto di un’esplosione in pieno centro. Era impossibile non aspettarsi un inseguimento più che immediato. Le ombre non gli avrebbero permesso neanche di uscire dalle mura del giardino. Forse, però, qualcosa si poteva fare.

L’ombra umana era in piedi, silenziosa, mentre il suo etereo corpo si divincolava dal leggero vento che spirava, con le movenze di una fiamma. Da davanti ai cancelli dell’abitazione, assisteva agli eventi che accadevano all’interno. L’umano che aveva intravisto all’arrivo in città li aveva raggiunti. La sensazione dei suoi servi che si scioglievano alla luce rimbombava vivida nella sua mente. Ora vedeva tramite la vista di quelli che aveva fatto entrare allo scopo di uccidere il fastidioso problema. Era rimasto solo. Sarebbe bastato lui a sorvegliare il cancello.
L’interno della casa era vuoto, e la visione in bianco e nero non faceva scorgere nessuno. Tutte le creature avevano udito un leggero rumore di passi al centro della casa, tra le due entrate e vi si avvicinarono lentamente, per gustarsi l’attesa del massacro. Sicure di trovare la preda.

Philn si accostò alle sedie e strappò due cuscini. Prese il ragazzo, rimasto in silenzio, apatico, e lo sollevò fin sul mobiletto. Presa l’enorme tovaglia di plastica che copriva il tavolo, la avvolse ai cuscini rimasti, come a formare un materasso d’emergenza. Posizionatosi sul mobile sotto la finestre, appoggiò in un punto preciso della finestra due cuscini, mirò al centro e sparò. Il proiettile non uscì. La pistola aveva fallito. Un’altra prova. Il cane della pistola continuava a colpire a vuoto. Ancora un colpo. Nulla.

Le ombre erano arrivate davanti alle porte. Il loro padrone diede l’ordine ed entrambe i gruppi entrarono ferocemente nella stanza, pronte ad aggredire. Non trovarono nulla. Solo due cuscini perforati, schegge di vetro, bossoli ed una finestra rotta.

Daniel si era sentito sollevare di peso, poi il vuoto per alcuni istanti. La caduta, anche se avvenuta su qualcosa di morbido, lo risvegliò dallo stato di torpore che lo aveva dominato fino a quel momento.
Si trovava nel giardino di casa. Sotto di se c’era la tovaglia della cucina ed alcuni cuscini delle sedie. Sopra, un uomo calvo e scuro era aggrappato alla finestra. Osservava all’interno con una pistola in mano.

Il vetro frantumato gli era costato il penultimo proiettile che aveva. Con l’ultimo aveva intenzione di colpire l’interruttore della luce, nel momento in cui le ombre sarebbero entrate. Con un solo colpo avrebbe eliminato almeno una decina d’inseguitori. Solo con un colpo. L’ultimo. Doveva bastare. Doveva centrare l’interruttore al buio. Era quasi impossibile, ma era l’unica cosa che poteva fare per avere qualche probabilità di fuggire.
Philn percepì la stanza raffreddarsi quasi fino a ghiacciarsi. Poi le ombre irruppero sfondando le porte. Per un attimo rimasero interdette non trovando nessuno. L’uomo, intanto, mirava. Le creature lo scorsero e si ammassarono alla finestra. Quando gli furono a pochi palmi di mano lui sparò. Il proiettile perforò l’essenza volatile delle creature, quasi ignorandole, poi, con un angolo, colpì di striscio l’interruttore. Giusto quel che serviva per accendere le luci. Le ombre si dissolsero in pochi istanti.
Philnmore, soddisfatto, si lasciò cadere dal muro, atterrando in piedi sull’erba del giardino.

L’ombra umana fu sommersa da innumerevoli sensazioni di morte. Contemporaneamente la forte luce che avviluppava i suoi servi lo abbacinò. Stordito, il suo unico pensiero era riprendere la vista ed andare personalmente a caccia.

Philn era certo che l’apparente calma non sarebbe durata. Altre ombre sarebbero giunte e l’avrebbero catturato insieme al ragazzo. Almeno, grazie alla luce della cucina, sapeva quando sarebbe accaduto. Ma non aveva intenzione di aspettare. Scosse il ragazzo per farlo riprendere, non poteva continuare a trascinarselo dietro. Il giovane reagì quasi subito. La caduta era servita a qualcosa.
<< Ce la fai a correre?>> chiese rapidamente.
<< Cosa?>> rispose con voce flebile il giovane, non capendo bene cosa dicesse.
<< Ce –la –fai -a -correre?>> scandì bene le parole.
<< S- si. Penso di si>>. La voce era atona e lo sguardo di Daniel rimaneva assente. Philn Garner lo aiutò ad alzarsi, poi gli fece il segno di seguirlo. Il ragazzo gli andò dietro meccanicamente.
C’era un punto, molto vicino a quello da cui era passato all’entrata, su cui si ergeva un enorme rampicante. I due vi si diressero ed arrivati iniziarono la scalata. Salì per primo Daniel, mentre sotto Philn lo reggeva e lo aiutava.
Scavalcato il muro intrapresero una corsa che li addentrava per i vicoli oscuri della città. Erano diretti verso i quartieri bassi. La speranza era rappresentata dall’automobile dell’uomo. Gli avrebbe permesso di depistare gli inseguitori e di uscire indenni da Nario.

La vista dell’ombra umana era tornata lentamente, ed era pronta a riprendere l’inseguimento. Per prima cosa doveva scoprire dove erano le prede. Alzò una mano verso il cielo, mentre le altre tre si stringevano al petto.
La luce della cucina si smorzò immediatamente.
Sul palmo della mano della creatura si formò una piccola sfera color petrolio che vorticava impazzita. L’ombra la posò a terra. La sfera si sparse sul cemento, allargandosi su tutta la strada. Dalla pozza emersero sedici ombre, che emisero il loro stordente verso, febbrilmente eccitate dal desiderio di uccidere.
Con un solo gesto il loro padrone le sguinzagliò per la casa. Distrussero tutto, ma nessuna traccia dei fuggitivi. Erano già usciti.
L’ombra umana richiamò a se le altre, salì sulla schiena di una e la usò come cavalcatura. Le creature presero a correre come impazzite, sempre dirette dal loro signore. Attraversarono la strada adorna dei corpi d’impiccioni, diretti ai quartieri bassi. L’ombra sapeva cosa volevano fare le prede.

La corsa era estenuante. Philn non si riposava da più di tredici ore e gli era capitato di tutto. Si era fatto coinvolgere in una storia inverosimile, ed in meno di un giorno aveva rischiato diverse volte di rimetterci la pelle. Come se non bastasse non aveva armi se non una torcia elettrica.
Neanche Daniel se la passava meglio. Appena svegliato era stato aggredito dalle creature. Non aveva scelto di essere coinvolto, ma volente o nolente si era ritrovato a correre per strada in pigiama, con calzettoni come unica protezione per i piedi. Fortunatamente il fisico di entrambi era piuttosto allenato, e la strada in discesa li aiutava ulteriormente. Ma la strada era molta e la stanchezza si faceva sentire ugualmente. L’unica cosa che li spronava era la paura. Non avevano intenzione d’incrociare nuovamente gli occhi di quelle creature. Quegli occhi bianchi che ti sommergono di terrore prima di avvolgerti nel gelo più assoluto.
Dopo un’infinita corse, la strada iniziò ad inclinarsi, diminuendo progressivamente la pendenza. Erano arrivati dove per Philnmore era iniziato tutto. Ormai lontani e sicuri di aver preso un distacco evidente dagli inseguitori, rallentarono il passo per prendere fiato. Presero a camminare. La macchina era ad una quarantina di metri da loro, andando sempre dritti.
I due ebbero giusto qualche minuto di fiato. L’uomo si fermò come se cercasse di sentire qualche rumore. Spaventato riprese a correre, incalzando il ragazzo a fare altrettanto.
<< Merda !>>.
<< Cosa sta succedendo?!>> Daniel non capiva il motivo di tanta fretta. Avevano distaccato gli inseguitori. Perché non poteva riprendere fiato?
<< Ci stanno alle costole. Ci hanno gia raggiunti!>>. Philn non comprendeva com’era possibile, ma il sibilo di vento ed il gelo improvviso erano una chiara conferma della sua intuizione.
Alle loro spalle si delinearono le sagome degli inseguitori. Come uno stormo di corvi impazziti, le ombre travolgevano ogni cosa che incontravano, correndo carponi su tutti gli arti. Come bestie cercavano solo il sangue delle loro vittime.
Philn si sentiva braccato. Gli era bastata una sola occhiata alle spalle per sentirsi il fiato sul collo. L’enorme distacco iniziale si stava trasformando in un vantaggio di pochi metri.
Finalmente si cominciava a vedere la sagoma dell’auto, un’utilitaria bianca, ingrandirsi. Philn aveva deciso di non farsi prendere ora che era così vicino alla meta. Daniel la pensava allo stesso modo. Con sforzo sovrumano, ignorando i crampi alle gambe, scattarono ancor più veloci verso il mezzo. Il distacco dagli inseguitori aumentò di poco.
Arrivati all’automobile Philn aprì le porte ed i due entrarono senza perdere un secondo.

L’ombra, in groppa al suo servo, si stava avvicinando alle prede. Erano a pochi metri e gli umani volevano scappare grazie al loro mezzo. Ma stava perdendo tempo per partire.
Certo di riuscire a catturarli, l’ombra umana fece aumentare il passo.

Philnmore non riusciva ad inserire la chiave per l’accensione. La paura e la tensione gli facevano tremare le mani. Daniel gli faceva segno di partire. Un tonfo sul tettuccio dell’auto scosse i nervi ad entrambe. Tre paia d’artigli neri tranciarono la carrozzeria come fosse carta stagnola graffiando ovunque l’uomo ed il ragazzo. Philn riuscì ad inserire la chiave mentre un’ombra stava per artigliarlo. Il motore, con un suono elettrico, si mise in moto, l’acceleratore al massimo. Le ruote girarono a vuoto qualche istante ed appena toccarono il suolo fecero schizzare in avanti la macchina, facendo cadere le ombre a terra. In breve tempo il distacco dagli inseguitori divenne esponenziale, fino a quando le loro spettrali sagome scomparvero.

L’ombra umana, accortasi di non riuscire ad inseguire le prede, diede l’ordine di fermarsi.
<<È inutile inseguirli>> ringhiò l’ombra con voce profonda e cavernosa << Trovate piuttosto un posto in cui accamparci. L’alba è alle porte. Domani notte cattureremo i fuggiaschi!>>. “So già come fare”, disse infine tra se l’ombra prima di seguire i suoi schiavi all’interno di uno scantinato abbandonato.

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